Al centro della cosiddetta «Guerra di Segrate» c’è lo scontro, avvenuto tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti per assicurarsi il controllo di uno dei maggiori gruppi editoriali italiani, soprattutto dopo che nel 1989 la Mondadori aveva acquistato l’Editoriale L’Espresso e il controllo di Repubblica, di una catena di quotidiani locali e di importanti settimanali come Panorama, L’Espresso, Epoca.
Il lodo arbitrale sul contratto Cir-Formenton è del 20 giugno 1990. La decisione fu presa dai tre arbitri, Carlo Maria Pratis (Presidente), Natalino Irti (per Cir) e Pietro Rescigno (per la famiglia Formenton), incaricati di dirimere la controversia tra De Benedetti e Formenton per la vendita alla Cir della quota di controllo della Mondadori, promessa a De Benedetti e poi venduta all’asse Silvio Berlusconi/Leonardo Mondadori. Il lodo è favorevole alla Cir e dà a De Benedetti il controllo del 50,3% del capitale ordinario Mondadori e del 79% delle privilegiate. Berlusconi perde la presidenza, da poco conquistata, che va al commercialista Giacinto Spizzico, uno dei quattro consiglieri espressi dal Tribunale, gestore delle azioni contestate. Nel luglio del ’90 la famiglia Formenton fa ricorso. Il 24 gennaio 1991, la Corte d’Appello di Roma, presieduta da Arnaldo Valente e composta dai magistrati Vittorio Metta e Giovanni Paolini, dichiara che, dato che una parte dei patti dell’ accordo del 1988 tra i Formenton e la Cir era in contrasto con la disciplina delle società per azioni, era da considerarsi nullo l’intero accordo e ,quindi, anche il lodo arbitrale.
La Mondadori sembra così tornare nelle mani di Berlusconi. Dopo alterne vicende di carattere legale e dopo l’approvazione della legge Mammì, nell’aprile 1991, con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, Fininvest e Cir-De Benedetti raggiungono un accordo: la transazione in sostanza attribuisce la casa editrice Mondadori, Panorama ed Epoca alla Fininivest di Belusconi, che riceve anche 365 miliardi di conguaglio, mentre il quotidiano La Repubblica, il settimanale l’Espresso e alcune testate locali a Cir-De Benedetti. Questa transazione è al centro del risarcimento chiesto in sede civile (complessivamente un miliardo) da parte della holding della famiglia De Benedetti alla luce della sentenza penale arrivata nel 2007 con la condanna definitiva per corruzione in atti giudiziari del giudice Vittorio Metta, dell’avvocato di Fininvest Cesare Previti e degli altri due legali Giovanni Acampora e Attilio Pacifico.
La Cassazione ha confermato l’ipotesi delle indagini avviate dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d’ Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. Tesi quest’ultima contestata dalla holding della famiglia Berlusconi secondo la quale dei tre giudici che annullarono il Lodo Mondadori nel 1991 due «avevano condiviso» la sentenza di annullamento «in piena autonomia». In primo grado il giudice civile Raimondo Mesiano, il 3 ottobre 2009, ha condannato Fininvest a versare alla controparte quasi 750 milioni di euro per danni patrimoniali «da perdita di chance» per un «giudizio imparziale». Oggi la conferma della condanna da parte della Corte d’Appello di Milano che ha però ridotto l’entità del risarcimento a circa 560 milioni.
Il pianeta Fininvest
Fininvest è la holding che raggruppa le proprietà della famiglia Berlusconi, ha un patrimonio di 2,5 miliardi e ha registrato utili nel 2010 per 87,1 milioni decidendo però di non versare alcun dividendo ai soci. Solo l’anno prima aveva distribuito cedole per 200 milioni di euro e così la decisione è stata collegata dagli osservatori all’imminente decisione sul Lodo Mondadori: anche dieci giorni fa, approvando i dati di bilancio, la finanziaria aveva però ribadito la convinzione che non ci fosse proprio alcun danno da risarcire, decidendo di non accantonare alcuna cifra per la vicenda.
L’intero gruppo che fa capo a Fininvest conta su ricavi per ben 5,8 miliardi e utili per 160,1 milioni. A fine anno aveva un indebitamento netto di 1,3 miliardi. La holding controlla il 39% di Mediaset, il 50% di Mondadori, il 36% di Mediolanum, oltre al Milan (100%) e al Teatro Manzoni (100%). Fa capo alla finanziaria anche la quota del 2% di Mediobanca, il ‘salotto buonò della finanza milanese: l’1% è conferito al patto di sindacato, e per la famiglia partecipa il presidente Fininvest Marina Berlusconi, consigliere anche dell’istituto di Piazzetta Cuccia. Fininvest ha poi una quasi il 24% di Molmed, lo spin off quotato del San Raffaele attivo nella ricerca oncologica, e il 2,06% di Aedes.
La famiglia Berlusconi controlla Fininvest tramite otto finanziarie, denominate tutte Holding Italiana, ma con diversa numerazione. Inizialmente queste ‘scatolè erano ben 22, ridotte a otto dopo l’ultimo riassetto del 2004. Il controllo fa sempre capo a Berlusconi con il 63% del capitale (tramite la Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava). I figli del primo matrimonio Marina (è anche presidente Mondadori) e Piersilvio (vice presidente Mediaset) hanno una quota del 7,65% a testa (rispettivamente attraverso le holding Quarta e Quinta). Nell’estate del 2005 anche i figli di secondo letto, Barbara, Eleonora e Luigi, hanno ricevuto una quota del patrimonio e hanno attualmente il 21,4% di Fininvest (attraverso la holding Quattordicesima).
Tra le vicende famigliari, resta intanto ancora aperta la causa di separazione tra Berlusconi e Veronica Lario, e con essa ogni eventuale impatto sul patrimonio di famiglia. Nella vicenda del Lodo Mondadori, Fininvest ha ottenuto di congelare il risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti, almeno fino all’esito del processo d’appello, presentando nel dicembre 2009 una fideiussione per 806 milioni di euro garantita da Intesa Sanpaolo e controgarantita da Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio. Tecnicamente la fideiussione scadeva in aprile ma nel frattempo è stata rinnovata in attesa della sentenza. Nel bilancio 2009 Fininvest spiegava di non aver presentato alcuna garanzia o pegno per la fideiussione, «anche in considerazione del valore del patrimonio netto contabile della capogruppo, del valore economico dello stesso ed infine del merito di credito conosciuto».
Il pianeta De Benedetti
Cir – Compagnie Industriali Riunite, è l’ammiraglia tra le società quotate del gruppo De Benedetti e comprende le attività dell’Ingegnere nei settori dell’energia (Sorgenia), media (Espresso), componenti auto (Sogefi), sanità (Kos) e nella finanza in genere. Nel 2010 Cir ha registrato ricavi consolidati per 4,8 miliardi di euro, un margine operativo lordo di 400,1 milioni di euro e un utile netto di 56,9 milioni di euro. Ha circa 12.900 dipendenti.
La holding è controllata per il 45,8% dalla Cofide, a sua volta quotata e in mano per il 52% alla cassaforte di famiglia, la Carlo De Benedetti & C sapa, dove con il fondatore Carlo De Benedetti (76 anni), figurano i tre figli: Rodolfo, che è ormai il capo azienda, con l’incarico di amministratore delegato di Cir e Cofide e presidente di Sorgenia e Sogefi (è anche consigliere dell’Espresso); l’ex amministratore delegato di Telecom Italia Marco De Benedetti, oggi managing director in Italia di Carlyle; e il più giovane Edoardo, cardiologo, coinvolto recentemente nel gruppo con un incarico nel consiglio di Kos.
Tra i soci accomandatari della Sapa figura anche Franca Bruna Segre, banchiera torinese alleata storica dell’Ingegnere. Storicamente l’altro ‘contenitorè della famiglia era la Romed, cui fa capo tutt’ora lo 0,44% di Cofide e che un tempo era l’intestataria della quota in Cdb Web Tech, poi ceduta al gruppo De Agostini, oltre che della quota di Management & Capitali. Su quest’ultima l’Ingegnere ha però lanciato un’offerta di acquisto inaugurando anche una cassaforte tutta nuova, la Per spa, di cui è l’unico azionista. In fase di lancio Management & Capitali aveva tra l’altro portato all’unico avvicinamento nel corso di tanti anni tra De Benedetti e Silvio Berlusconi, quando brevemente nell’estate del 2005 sembrò che il Cavaliere potesse investire accanto all’Ingegnere in questo fondo soprannominato ‘salva-impresè. Alla fine l’ipotesi naufragò non senza scambi reciproci di accuse e i due ‘arcinemicì hanno proseguito imperterriti la battaglia di sempre.
De Benedetti aveva annunciato poco più di due anni fa l’addio agli impegni diretti nel gruppo, dichiarando di voler lasciare la presidenza di tutte le società fondate. La passione di sempre per l’editoria ha però avuto la meglio: l’ ‘Ingegnerè per antonomasia della finanza italiana, Cavaliere del Lavoro e Ufficiale della Legion d’Honneur, amministratore delegato Fiat ormai 35 anni fa – prima dell’inizio dell’avventura in Cir e Olivetti – resta tutt’ora presidente dell’Espresso, oltre ad avere comunque la presidenza onoraria delle altre aziende del gruppo.
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