Eppure gli sarebbe bastato infilarsi in uno dei negozi sotto casa, in via del Campo Marzio a Roma, vuoti in tempi di saldi, per capire quanto sia profonda la crisi del paese. Ma il frugale Giulio Tremonti sembra poco uso a mettere mano al portafoglio, non vede e non sente. Parla però al senato, dove la sua manovra «giusta ed esatta» è stata approvata a rotta di collo in modo che almeno lui, se non il paese, abbia qualcosa cui appoggiarsi per restare in piedi.
Più che a Tito Livio, Tremonti potrebbe rifarsi a Dostoevskij, che scriveva un racconto in una settimana, per venderlo subito e poter tornare con qualche soldo al tavolo verde. Il suo è un miracolo da gioco d’azzardo per continuare la sua personale partita, se è vero che Berlusconi e buona parte della sua compagine ne farebbero a meno e che una manovra di bilancio dello stato considerata una mezza truffa dall’opposizione fino a una settimana fa, sta passando in un battito di ciglia. Il paese tartassato, che c’entra?
«La salvezza non arriva dalla finanza ma dalla politica. E la politica non può fare errori», dice oggi Tremonti, come se non fosse il superministro di un governo che è un insieme di errori politici, tanto da contare zero in Europa e con qualche decimale in meno altrove. La speculazione, che a giorni alterni si frega le mani quando punta il suo radar sull’Italia, non vincerebbe facile su Btp e spread se dietro il rischio del nostro debito pubblico non ci fosse la certezza di un paese senza guida. Con questa manovra, il ministro continua a truccare le carte, dopo avere ribadito più volte – ricordava Eugenio Scalfari su Repubblica – che i conti erano in sicurezza per il 2011-12 per essere poi smentito in modo clamoroso dai mercati. Nel frattempo, la manovra taglia lì dove solo gli italiani e non i politici devono stringere la cinghia, notava perfino il Wall Street Journal. Non è vero, punta «al bene comune», risponde Tremonti difendendo la sua creatura, ma se non se ne accorge nemmeno la bibbia mondiale del
liberismo, il problema è grande come una casa.
Tremonti, in effetti, non vede nemmeno le case. La storia del mega affitto per la sua dimora romana pagato dal consigliere politico Marco Milanese, deputato Pdl su cui pende una richiesta di arresto, fa a pugni con l’altra immagine rilasciata ieri sul destino incerto del paese, se non si fosse approvata in fretta e in furia la sua provvidenziale manovra: «E’ come sul Titanic: non si salvano nemmeno i passeggeri di prima classe». Ma perché si dovrebbe salvare soltanto lui? A Londra o a Washington, tanto per citare quel mondo anglosassone cui Tremonti culturalmente guarda, un ministro dell’economia non avrebbe ballato nemmeno un minuto di più sul ponte di qualsiasi translatlantico appena si fosse avuta notizia di accuse gravissime contro il proprio braccio destro. Se Milanese è colpevole o meno lo stabilirà un tribunale, ma l’assenza di una funzione controllante del ministro – che per esempio avrebbe dato al suo consigliere carta bianca o intestata (secondo occasione) per la guerra delle nomine in Finmeccanica o in minori consigli di amministrazione – è già un principio di colpa in politica. In quella stessa politica che, parole di Tremonti, «non può sbagliare».
Il ministro dell’economia sostiene poi che senza di lui, il diluvio. Lo sostiene, sia chiaro, per tenersi in piedi davanti ai suoi, più che per reggere ai frenatissimi assalti dell’opposizione. Agli occhi della speculazione mondiale e delle istituzioni europee, sarebbe soltanto la sua figura – sostiene – a incarnare l’ultimo baluardo del rigore di un paese indebitato e spendaccione. Ma se abbiamo un debito pubblico spaventoso, su cui gli speculatori salgono e scendono come su un taxi, dove è stato fino adesso il guardiano del rigore? Ha visto e non fatto nulla, o non ha saputo controllare? Sono le stesse domande che riguardano la sua estrema debolezza o
indifendibilità, a causa della vicenda Milanese.
In fondo, prima di diventare il ministro più potente dell’era Berlusconi, Tremonti era noto soltanto per essere il migliore fiscalista possibile nel paese dell’immensa evasione fiscale. «Bisogna essere davvero un grand’uomo per saper resistere anche contro il buon senso», scriveva Dostoevskij ne I demoni. Tremonti non lo è.
da “il manifesto” del 15 Luglio 2011
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