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Papa, deputato-magistrato, è in carcere

Da IlSole24Ore

Una scelta che cambierà il futuro del Centrodestra

di Stefano Folli

 

Come un missile fuori controllo, la questione morale è esplosa nella maggioranza e si è trasformata in una drammatica questione politica. Il voto favorevole di Montecitorio all’arresto di Alfonso Papa ha scavato un abisso tra Berlusconi e la Lega (Bossi era assente), mettendo il presidente del Consiglio all’angolo.

Erano ventisette anni che la Camera non concedeva l’autorizzazione all’arresto di un deputato. Lo ha fatto ieri con una scelta le cui conseguenze saranno pesanti, destinate a modificare presto o tardi, e forse prima che poi, i rapporti politici nel centrodestra. Lo ha capito il premier prima degli altri quando, al colmo dell’ira ma anche dell’impotenza, ha sibilato d’istinto: «Questo è un voto contro di me».

In fondo è proprio così. Nei calcoli del vertice del Pdl il segreto dell’urna doveva salvare il deputato inquisito e con esso gli assetti interni al centrodestra. È successo il contrario. Il Carroccio è andato in buona parte per conto suo – in omaggio alla linea proposta da Maroni – e non si può escludere che nello stesso partito berlusconiano qualcuno abbia giocato con il destino di Papa per colpire il presidente del Consiglio. Del resto, è ormai noto che esiste una fronda anti-Berlusconi nel Pdl: cautissima e silenziosa, scava un tunnel sotto terra come la talpa di Marx. E quale migliore occasione di un voto segreto sulla questione morale per indebolire il premier?

Alla fine è andata così. Con questo paradosso: il terrore di Berlusconi, cioè di «tornare al ’92», agli anni di Tangentopoli e della supremazia della magistratura in Parlamento, rischia di prendere forma. Allora la Prima Repubblica cadde per via giudiziaria. Stavolta, in un contesto comunque diverso, il voto contro Papa, con il suo sapore giustizialista, segnala in sostanza un bisogno urgente di moralizzazione da parte di una maggioranza trasversale: dalla Lega all’Udc al centrosinistra.

E tanta urgenza rivela a sua volta la paura dell’opinione pubblica, di quel risentimento dilagante che corre sul web (si veda il successo del misterioso «SpiderTruman») e si qualifica come movimento anti-Casta. In realtà, un’offensiva anti-politica la cui portata è accentuata dagli errori clamorosi della classe politica in un momento di crisi economica.
In altri tempi Berlusconi avrebbe cavalcato l’onda per poi domarla. Oggi appare un leader sotto assedio e sempre più debole. In questo ha ragione: il voto della Camera è proprio contro di lui. Ma non è il solo dato della giornata.

Sulla questione dei rifiuti a Napoli la maggioranza si è autoaffondata un paio di volte, smentendo le indicazioni del governo. Come dire che l’intransigenza della linea leghista ha contagiato qualche ambiente del Pdl con risultati disastrosi sulla gestione dell’emergenza. Anche in questo caso, dov’è la leadership? Dov’è la capacità d’imporre e di rispettare una disciplina politica nella coalizione? Lo spettacolo di una componente parlamentare che si dissolve e arriva a mettere in difficoltà il suo stesso governo su un tema cruciale per l’immagine dell’Italia come la spazzatura partenopea, si commenta da solo. Ai fini di valutare il futuro della legislatura e lo stato di salute dell’esecutivo, questo episodio è quasi altrettanto grave della vicenda Papa.

Non bisogna dimenticare peraltro quello che è avvenuto a Palazzo Madama, dove il senatore Tedesco, Pd, è stato salvato dall’arresto a differenza del suo collega di Montecitorio. L’interpretazione accreditata parla di un certo numero di voti del Pd che si sono uniti a Pdl e Lega nella segretezza del voto. Come dire: il partito di Bersani è un po’ doppiogiochista. Severo alla Camera quando c’è da colpire un avversario politico, astuto e levantino al Senato quando c’è da salvare un proprio esponente. Tuttavia occorrerà capire meglio la dinamica del voto. Allo stato delle cose, c’è da registrare che il Pd respinge sdegnato le insinuazioni e tenta da dimostrare che i voti in soccorso a Tedesco sono arrivati dalla Lega. Quello che non ha voluto fare alla Camera, in altri termini, il Carroccio lo avrebbe fatto al Senato.

Vedremo. Di sicuro, il dato politico della giornata viene da Montecitorio. Lo scollamento della maggioranza sulla questione morale e su Napoli apre le porte a qualsiasi ipotesi, compresa una crisi di governo in tempi ravvicinati. Anche perchè oggi si vota sulla missione in Libia e si rischia un’altra frattura fra Pdl e Lega su un punto strategico come la politica estera e di difesa. La domanda è ancora la stessa: come pensa Berlusconi di recuperare una sembianza di leadership? Come pensa di rinsaldare l’essenziale rapporto con la Lega, visto che le cene di Arcore servono a poco?

Il sasso rotola giù dalla vetta e potrebbe trasformarsi in valanga. Come si sa, la politica non tollera i vuoti di potere. Né l’Italia di oggi può permettersi uno stallo prolungato.

 

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Prima notte in carcere per Papa. Berlusconi: una vergogna

 

Prima notte in carcere per Alfonso Papa dopo il sì all’arresto arrivato ieri dall’aula di Montecitorio. Papa, secondo quanto riportano i quotidiani, si è costituito nel corso della notte nella casa circondariale di Napoli, a Poggioreale. Il deputato del Pdl, secondo quanto riporta La Repubblica, avrebbe voluto costituirsi a Rebibbia, poi nella casa circondariale di Orvieto.

Il gip di Napoli, subito dopo aver ricevuto dalla Camera dei deputati l’autorizzazione all’arresto di Papa, aveva revocato la sospensione dell’ordinanza di custodia cautelare e disposto l’esecuzione nella casa circondariale di riferimento della procura inquirenti, quindi il carcere di Poggioreale a Napoli.

Il voto in Parlamento
Tensione alle stelle, urla, applausi polemici, Maroni che vota sì con l’indice della mano sinistra, come suggeriscono Pd e Idv perché in questo modo «è impossibile non schiacciare il tasto a favore dell’arresto». E soprattutto l’ultimo, accorato, appello di Alfonso Papa che ribadisce «la sua innocenza» prima di affidarsi al responso dell’aula. Ma le sue parole non convincono i colleghi e alla fine la Camera accoglie la richiesta di arresto avanzata dalla procura di Napoli con 319 voti favorevoli e 293 contrari. Nessuno parla, nessuno applaude nell’emiciclo dopo la proclamazione del risultato che punisce l’ex magistrato accusato di corruzione, favoreggiamento personale, rivelazione e utilizzazione del segreto d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sulla P4.

Berlusconi: una follia per colpire me, ne parlerò con Bossi
Ma il disappunto della maggioranza è tutto nel volto scuro di Silvio Berlusconi che aveva difeso fino allo stremo la linea garantista. «Dobbiamo fermare il rischio di una escalation di arresti». Poi, quando Fini annuncia il sì alle manette, il Cavaliere fa una smorfia e batte una mano sul tavolo. Subito dopo abbandona frettolosamente l’aula per rifugiarsi qualche minuto nella sala del governo e lì da sfogo a tutta la sua rabbia.

«È una vergogna, è una vera vergogna», si scalda con i suoi. Dopo la condanna dell’aula, l’ex pm coinvolto nell’inchiesta sulla P4, che raccoglie qualche abbraccio da alcuni deputati pidiellini, afferma di sentirsi «un prigioniero politico, prigioniero della politica». «C’è una totale inusualità in quello che è accaduto. Mi sembra il trionfo del giustizialismo», prosegue il deputato del Pdl lasciando la Camera, pur definendosi «assolutamente sereno». E ancora: «Sono pazzi, è tutta una follia, pur di colpire me e buttare giù il governo rinnegano principi che dovrebbero difendere nel totale disinteresse per le persone». In serata alcuni parlamentari hanno poi riferito che il premier avrebbe dichiarato: «Venerdì in Consiglio dei ministri parlerò con Umberto Bossi di quello che è accaduto».

Maroni: «Siamo coerenti»
A chi gli faceva notare come il risultato del voto fosse un «regolamento interno alla Lega» ed in particolare «l’ultima puntata del regolamento di conti fra Maroni e Reguzzoni», il Cavaliere avrebbe annuito. In ogni caso, ha aggiunto Berlusconi, ciò ci conferma che dobbiamo continuare a lottare ed anzi che dobbiamo farlo con maggior vigore. «Siamo coerenti», ha confermato invece il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, commentando il voto sull’arresto di Papa. Ai cronisti che gli domandavano se dunque la Lega avesse votato a favore della richiesta dei magistrati, Maroni ha replicato: «Assolutamente sì, come avevamo detto».

Papa in aula: sono innocente ed estraneo a ogni accusa
A nulla è valso quindi l’accorato appello pronunciato poco prima della votazione. «Sono innocente ed estraneo a tutte le accuse che mi sono mosse nel merito. La verità non ha bisogno di difensori. La verità si manifesta con il tempo». L’ex pm pronuncia la sua arringa più importante. Confessa di essere «pieno di dolore dal punto di vista umano» e «turbato unicamente al pensiero dei miei figli di 12 e 10 anni ai quali ho dovuto spiegare stanotte come e perchè questo fine settimana potrei non tornare a casa». C’è scollamento, sostiene, «tra verità degli atti e quanto riportato dalla stampa, ma attraverso il processo dimostrerò la mia innocenza e la mia verità. Continuerò la mia battaglia di veritá se mi darete la possibilitá di farlo. Comunque, accetterò ogni vostra decisione. Affronterò giudizio con serenità».

Castelli a Radio 24: «La Lega non poteva fare altro»
«Mi dispiace per Papa». Così il viceministro Roberto Castelli alla Zanzara su Radio 24. Castelli per anni infatti ha collaborato col deputato: «Io di lui non ne posso dire che bene». Una circostanza, quella della collaborazione tra i due, ricordata recentemente anche dal giornalista Marco Travaglio: «Ma io Travaglio lo disprezzo, è una persona da non stimare». La Lega comunque «non poteva fare altro – ha continuato l’ex ministro della giustizia a Radio 24 – il politico deve essere come la moglie di Cesare».

Clima tesissimo prima del voto
Prima del verdetto sull’arresto dell’ex pm Alfonso Papa (Pdl), il clima in Parlamento si era fatto incandescente con il passare delle ore. E la scelta della maggioranza di puntare sul voto segreto, malgrado gli appelli dell’opposizione a rinunciarvi – a chiederlo sono stati i Responsabili con il capogruppo Silvano Moffa che si è beccato un «vergogna, servo» dai banchi dell’opposizione – aveva acceso ancora di più gli animi. Con l’opposizione che, dal Pd ai centristi di Casini, aveva accusato la Lega di aver deciso di “salvare” il deputato del Pdl, coinvolto nell’inchiesta sulla P4 in cambio del ritiro del contestatissimo decreto sull’emergenza rifiuti. In aula, poco prima del voto, il Carroccio aveva però ribadito il suo sì per l’arresto dell’ex pm. «La nostra posizione – aveva detto Carolina Lussana – è stata da sempre chiara. Se oggi si è arrivati in aula con un parere favorevole della giunta all’arresto è stato grazie all’astensione dei due rappresentanti della Lega».

Duro botta e risposta tra Pd e Lega
A criticare il Carroccio erano stati Pd e Idv che avevano parlato di «un patto scellerato» tra la Lega e il Pdl. A rivolgersi direttamente alla Lega – che ieri ha sciolto il nodo dichiarandosi favorevole all’arresto ma lasciando libertà di voto ai suoi deputati – era stato il leader democratico Pier Luigi Bersani: «Sui rifiuti c’è un appeasement sulle posizioni della Lega, che lascia intendere quale sia stato lo scambio. Se così non è stato la Lega si metta di traverso sul voto segreto per Papa.». A rincarare la dose ci aveva poi pensato anche il capogruppo del Pd a Montecitorio, Dario Franceschini: «Dovreste essere voi i primi a dire no al voto segreto che coprirà la vostra ipocrisia, un’ipocrisia che i padani non dimenticheranno. Non potete chiedere ai Responsabili di chiedere il voto segreto per coprire la vigliaccheria dei guerrieri padani». E anche il numero uno dellUdc, Pierferdinando Casini, aveva puntato il dito contro il presunto accordo. «Un patto tra Pdl e Lega? Ovvio che c’è».

Reguzzoni: i democratici mettono le mani avanti
La maggioranza aveva però rispedito al mittente le critiche. E la replica era stata affidata a stretto giro di posta al leghista Marco Reguzzoni. «È il Pd che sta mettendo le mani avanti: vi preparate a un voto dei vostri parlamentari a scrutinio segreto» per evitare l’arresto di Papa. «State mettendo le mani avanti – aveva accusato Reguzzoni – dopo che siete stati colpiti dall’avviso di garanzia a Penati (indagato per concussione e corruzione a Monza, ndr)» .«Rivendichiamo il voto segreto in quest’Aula, perché è giusto che non ci sia un gioco cinico e politico ma è giusto che ogni deputato decida in coscienza», aveva poi ribattuto anche il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, dopo che il finiano Italo Bocchino aveva bollato come «molto grave» la scelta di ricorrere al voto segreto. Ma il segreto dell’urna ha punito Papa.

Eseguita l’ordinanza di arresto
Il gip di Napoli, avendo ricevuto dalla Camera dei Deputati l’autorizzazione all’arresto di Papa, ha revocato in serata la sospensione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere e ne ha disposto l’esecuzione. La Guardia di Finanza ha poi eseguito l’ordinanza stessa. Il parlamentare – secondo quanto si è appreso – era intenzionato a costituirsi nel carcere di Orvieto (Terni), dove stata dirigendosi: quando la Finanza lo ha informato che il Gip aveva disposto di condurlo nel carcere di Poggioreale, Papa ha accettato di consegnarsi ai finanzieri che gli hanno notificato il provvedimento dell’autorità giudiziaria e lo hanno trasferito a Napoli.

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Da La Repubblica

Sì dalla Camera, Papa a Poggioreale
E il Senato salva Tedesco

L’aula di Montecitorio dà il via libera alla richiesta dei magistrati napoletani nei confronti del deputato del Pdl, che si difende: “Sono innocente”. In serata nel carcere napoletano.  Decisivi i voti della Lega. Opposto l’esito a Palazzo Madama, che boccia i domiciliari per il senatore ex pd, per l’indagine sulla corruzione della sanità pugliese. Berlusconi: “Una vergogna, ne parlerò con Bossi”. Bersani: “La maggioranza si è rotta”. Di Pietro: “Ma ora Tedesco lasci”

ROMA – Destini incrociati, esiti opposti. La Camera dà il via libera alla richiesta di arresto nei confronti del deputato del pdl Alfonso Papa, avanzata dai magistrati napoletani nell’ambito dell’inchiesta P4, mentre quasi contemporaneamente il Senato salva Alberto Tedesco, eletto nel Pd e passato poi nel gruppo misto, negando il sì agli arresti domiciliari chiesti per il senatore dal gip di Bari relativamente all’indagine sulla corruzione nella sanità pugliese. Un voto a sorpresa a Palazzo Madama, a scrutinio segreto, come quello tenutosi alla Camera, dove l’esito della votazione su Papa è stato accolto dal gelo, in un silenzio tombale di maggioranza e opposizione.

Dopo qualche ora Papa ha fato sapere di essere già in macchina alla volta del carcere di Orvieto per costituirsi. Ma è stato raggiunto da una pattuglia della Finanza che gli ha notificato la decisione del Gip di condurlo nel carcere napoletano di Poggioreale, dove è arrivato verso le due del mattino.

A Montecitorio sono stati 319 i sì e 293 i voti contrari espressi in modo non palese, come chiesto da Pdl e Responsabili fra le proteste dell’opposizione. Il Pdl era contrario all’arresto, mentre Lega, Udc, Pd e Idv si sono espressi in modo favorevole, anche se il Carroccio, dopo le posizioni altalenanti di Umberto Bossi nei giorni scorsi, ha lasciato libertà di coscienza. “Siamo stati coerenti” ha detto Roberto Maroni al termine della seduta, mentre il Senatùr non era presente in Aula.

Silenzio assoluto, quindi, alla Camera dopo l’esito della votazione, cui ha assistito anche un attonito presidente del Consiglio, che alla lettura del risultato ha sbattuto il pugno sul tavolo del banco di governo, lasciando poi l’emiciclo con una smorfia di delusione, senza parlare. Prima della votazione, Berlusconi si era detto ottimista e aveva invitato a “fermare le manette per evitare un ritorno al ’92”. Poi l’ira dopo il voto e con il vertice del Pdl riunito in serata: “E’ una follia, pur di colpire me e buttare giù il governo rinnegano princìpi che dovrebbero difendere nel totale disinteresse per le persone”, ha detto il premier. Ma il suo problema principale è una maggioranza che si sfarina e la Lega sempre più riottosa e meno controllata da Bossi: “Venerdì in Consiglio dei ministri parlerò con Umberto”, dice il premieravrebbe confidato il premier ad alcuni parlamentari. Nel mirino è finito anche Pier Ferdinando Casini, apostrofato come “garantista di facciata”, insieme all’opposizione.

E’ stata una seduta lunga, a tratti concitata, alla Camera, segnata soprattutto dallo scontro tra Dario Franceschini (Pd) e Reguzzoni (Lega) sul voto segreto. Il capogruppo dei democratici ha accusato il Carroccio di ipocrisia e la maggioranza di cercare uno scambio: “I rifiuti di Napoli in cambio del voto della Lega contro l’arresto di Papa”.
Immediata la replica a muso duro di Marco Reguzzoni: “Mettete le mani avanti e in realtà preparate un voto dei vostri parlamentari a scrutinio segreto” favorevole a Papa, ha risposto il capogruppo leghista.

Poco prima del voto Alfonso Papa ha preso la parola per difendersi: “Vivo questa giornata con grande serenità perché sono innocente e lo dimostrerò”, ha detto, aggiungendo di essere estraneo alle accuse, di affrontare una prova “che non auguro a nessuno”. L’unico turbamento, ha detto, è per i miei figli e di provare dolore per i suoi figli, di 12 e 10 anni, “ai quali ho dovuto spiegare stanotte come e perchè questo fine settimana potrei non tornare a casa”. Un discorso applaudito da Silvio Berlusconi, visibilmente incupito poi dall’esito del voto, dopo il quale Papa ha lasciato l’Aula fra gli abbracci dei colleghi. “Mi sento un prigioniero politico”, ha dichiarato in seguito il deputato del pdl, dicendosi orgoglioso dell’appoggio del premier.

Per Pierluigi Bersani la Camera “ha votato con coerenza, in modo serio, valutando nel merito”, dice il leader del Pd, ma qualcosa nella maggioranza si è rotto. “La Lega è quella che ha fatto la differenza sul voto ed è da registrare che in altri periodi il vincolo di maggioranza sarebbe stato rispettato mentre questa volta non è andata così”.

Contestualmente al voto su Papa, il Senato ha bloccato gli arresti domiciliari per Alberto Tedesco, ex Pd ora nel gruppo misto, relativamente all’inchiesta sulla malasanità in Puglia al tempo della giunta Vendola. Sono stati 151 i voti contrari, 127 i favorevoli, 11 gli astenuti: anche in questo caso il voto è stato segreto, come richiesto dal Pdl. A favore dell’arresto e del voto palese si era pronunciato lo stesso Tedesco, oltre che, in dichiarazione di voto, i gruppi del Pd, dell’Idv, del Terzo polo e della Lega.

“Quest’Aula non la può assolvere e lei non è un perseguitato, ma noi dobbiamo difenderla per difendere insieme a lei le prerogative del Parlamento”, ha detto Gaetano Quagliariello, intervenendo in Aula rivolto direttamente a Tedesco, annunciando che il Pdl avrebbe votato no alla richiesta dei domiciliari. Tra le proteste delle opposizioni il vicepresidente dei senatori del Pdl ha chiesto all’ex senatore pd di dimettersi: “In questo modo lei consentirebbe all’Assemblea del Senato di non perdere il Plenum, perché un altro rappresentante dei cittadini subentrerà al suo posto”. Richiesta caldeggiata anche dal leader dell’Idv Antonio Di Pietro: “Sia coerente e non accetti il salvagente-trappola propostogli dal Pdl, che lo ha salvato giudiziariamente per affossare politicamente la coalizione del centrosinistra”, scrive in una nota l’ex magistrato.

Per Fabrizio Cicchitto oggi il Parlamento ha scritto una delle sue pagine più brutte. E non sono mancati disordini e momenti di tensione: parapiglia in Transatlantico al Senato dopo il voto, fra Domenico Gramazio (pdl) e il senatore del pd Paolo Giaretta. “Vergogna, 24 dei vostri hanno votato contro l’arresto” ha urlato Gramazio, che si è spintonato con Giaretta, proprio al centro del Transatlantico. Rissa sfiorata anche alla Camera, dove dopo il voto su Alfonso Papa, il deputato del pdl Enzo D’Anna ha fermato il collega dell’Udc Angelo Cera e gli ha chiesto: “Guarda che nelle carte di Bisignani è citato più volte il nome di Cesa (il segretario dell’Udc, ndr). Quando arriverà la richiesta per lui come voterete?”. A quel punto Cera si è innervosito e si è lanciato contro il collega.

 

 

Il giorno nero di Berlusconi: “Tradito da Maroni e Casini”

Dopo il via libera della Camera all’arresto di Alfonso Papa per il premier l’incubo di una nuova Tangentopoli. Decisivi i voti della Lega: “Vedrò Bossi”. Il sospetto del Cavaliere: “C’è la regìa del ministro dell’Interno, diventato anti-casta” di FRANCESCO BEI

 

Il Cavaliere sapeva. Lunedì scorso ad Arcore Umberto Bossi gliel’aveva preannunciato: “Voteremo a favore dell’arresto di Papa”. Ma fino all’ultimo non ci aveva davvero creduto.

Il castello di illusioni è iniziato a crollare ieri mattina quando, cercando Bossi al telefono per avere delle rassicurazioni, il Senatur non si è fatto trovare. Una prima spia del disastro che si stava preparando di lì a poche ore, con Bossi assente da Montecitorio e Maroni a guidare il Carroccio di fatto fuori e contro il centrodestra.

Un incubo per il premier, che rivede proiettato il film della caduta del suo primo governo nel 1994. “È partito l’attacco finale – si è sfogato a sera il premier dopo il drammatico voto su Papa – e Maroni si prepara a tradire. Anzi ha già tradito. Ne parlerò venerdì con Bossi in Consiglio dei ministri e mi dovrà dare delle spiegazioni”.

Il premier teme ora che il ministro dell’Interno punti al “cambio totale” della maggioranza, facendolo fuori da palazzo Chigi, oppure al voto anticipato sull’onda di una campagna elettorale tutta giocata sull’anti-casta. Contro Maroni se ne sentono di tutti i colori nel Pdl. Da chi agita l’ipotesi di una richiesta di dimissioni, a chi di fatto lo vede già come il nuovo “segretario del Carroccio” con cui trattare. Tanto che il voto su Papa, per il vicecapogruppo Pdl Massimo Corsaro, avrebbe sancito di fatto “un congresso della Lega a scrutinio segreto”.

Nella maggioranza il clima è da resa dei conti finale. Lo stesso Corsaro sussurra all’orecchio di Enrico La Loggia: “Nei prossimi mesi sarà dura convincere i nostri a votare i provvedimenti di Maroni. E chi glieli vota più?”.

Il Cavaliere, uscito “pietrificato” dalla Camera, si è chiuso in serata a palazzo Grazioli per un vertice d’emergenza. Erano invitati anche i capigruppo leghisti Reguzzoni e Bricolo ma, vista l’aria, non si sono presentati. Alimentando così anche le voci su un’imboscata leghista nel voto di oggi sul decreto che rifinanzia le missioni all’estero. La sensazione nel Pdl è che stia crollando tutto, ma quasi al rallentatore.

“La resa dei conti – spiega uno dei partecipanti al summit serale con il capo del governo – è fissata per l’autunno, quando si uniranno “il fronte interno” rappresentato dal Carroccio, con il “fronte esterno” delle procure e dei poteri forti. Stretto da questa tenaglia il governo potrebbe saltare”. Oltretutto a settembre si voterà anche sulla richiesta di arresto per Marco Milanese e gli uomini di Berlusconi prevedono che Maroni ne approfitterà un’altra volta per dare un colpo al rivale Giulio Tremonti. “E se salta Tremonti – ammettono – salta tutto”.

La paura di Berlusconi è che, con l’arresto di Alfonso Papa, sia già franato l’ultimo argine: “Nemmeno durante Tangentopoli la Camera era arrivata ad autorizzare l’arresto di un suo membro. È un precedente pazzesco”. Il Cavaliere ha ora la certezza che un’ondata di richieste di arresto si abbatterà sulla maggioranza, che i suoi processi (Ruby e Mills) metteranno il turbo per arrivare a una condanna penale.

“C’è un accanimento giudiziario per intaccare la mia immagine”, aveva detto in mattinata ai coordinatori regionali del Pdl, ricevuti a palazzo Grazioli insieme ad Alfano. Un “accanimento” di cui il processo Ruby è il tassello più importante: “Una ignominia, un tentativo di intaccare la mia immagine con la storiella fantastica del bunga-bunga. Mi vogliono sputtanare a livello mondiale, avete visto cosa scrivono i giornali stranieri no?”. Da ultimo la nuova inchiesta per abuso di ufficio sul caso Santoro, in cui è finito “solo per uno sfogo comprensibile fatto al telefono con un amico”.

È appunto quell'”attacco finale” che pronostica nei momenti di maggiore scoramento, insieme alla voglia di mollare la politica. “Perché a 75 anni pensavo di averle viste tutte – ha detto ieri sera ai suoi – ma lo schifo di questo voto no, non passerà tanto presto”. A colpirlo è stato soprattutto – oltre ovviamente a Maroni – l’atteggiamento di Pier Ferdinando Casini, tanto che in aula lo devono persino trattenere, perché vorrebbe prendere la parola contro il capogruppo centrista.

Poco dopo, chiuso nel suo ufficio a Montecitorio, attorniato da ministri e parlamentari, il premier dà voce a tutta la sua rabbia contro il leader dell’Udc “Quello che ha fatto oggi è una vergogna che si porterà addosso per sempre! Ma da dove viene? Si è dimenticato di essere stato democristiano, si è scordato che stava con Forlani?”. Crolla anche il sogno di Alfano di una ricucitura con Casini, una ricomposizione della frattura sotto il segno della costituente moderata. “Con quello lì – ha chiuso Berlusconi riferendosi a Casini – non voglio più avere niente a che fare”.

 

 

 

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