Due venti soffiano in direzione opposta e si scontrano provocando un mulinello. Da un lato una domanda di democrazia e partecipazione, dall’altro una resistenza autoritaria a ogni cambiamento che domina economia e politica, concentrando i poteri in mano a caste sempre più separate dalla società e a rappresentanze che si appropriano di ogni decisione. Nel mulinello c’è la Fiom, che con le sue lotte è un punto di riferimento di ogni mobilitazione sociale ma, al tempo stesso, è vissuta dalla politica, dal padronato e ormai dall’establishment sindacale come un corpo estraneo, un intralcio di cui liberarsi con ogni mezzo. L’accordo su contratti e rappresentanza sottoscritto dalla Cgil non aiuta la pratica Fiom. Di questo, della manovra e della Fiat parliamo con il segretario Maurizio Landini.
I dati della trimestrale diffusi da Marchionne, dietro numeri apparentemente positivi, nascondono il buco nero in Europa e la crisi della produzione in Italia. Marchionne minaccia voi e persino l’Italia, che pure stende tappeti di velluto per farlo camminare sul morbido.
Le dichiarazioni del Cda Fiat confermano l’arroganza del modello Marchionne: o si fa come voglio io o non ci sono le condizioni per produrre in Italia. Non sopporta che da noi ci siano leggi, e su tutte lo Statuto dei lavoratori, che non consentono comportamenti antisindacali, come ha ulteriormente confermato il giudice di Torino condannando la Fiat per antisindacalità, in relazione al contratto di Pomigliano. Mi colpisce il silenzio e l’accondiscendenza del governo, nonostante sia chiaro come la testa e le gambe della Fiat stiano volando fuori dall’Italia. Qui cresce solo la cassa integrazione. Dei 20 miliardi promessi, escluso l’investimento a Pomigliano, s’è persa ogni traccia. La Fiat in Italia produce più licenziamenti che auto: sono già saltate o rischiano di saltare tre fabbriche, la Cnh di Imola, la Irisbus di Avellino sotto minaccia e Termini Imerese che vorrebbero mandare in pensione il 31 dicembre. Stiamo parlando di 4.500 posti di lavoro. Sappia Marchionne che per la Fiom è inaccettabile la chiusura della fabbrica siciliana in assenza di un’alternativa industriale concreta, a tutt’oggi inesistente. Il ministro Sacconi si dice disponibile a tutto, meglio che ad asfaltare la strada antisindacale della Fiat siano le parti sociali, altrimenti non sarà lui a negare una legge ad hoc. Dal canto suo Confindustria è pronta a lanciare il contratto speciale dell’auto per tener dentro la Fiat servendole i desiderata su un piatto d’argento. Governo, Confindustria e Fiat hanno una strategia tesa a cancellare diritti e libera contrattazione.
L’accordo siglato dalla Cgil sarà votato solo dagli iscritti, ai lavoratori sarà presentata solo la posizione della segretaria Camusso che l’ha firmato e quei reprobi della Fiom che dicono no e intendono far votare anche i non iscritti sono interdetti dal diffondere i risultati della consultazione, tranne quelli dei tesserati. Si riapre lo scontro interno alla Cgil che sembra puntare a isolare e sconfiggere la Fiom. Avete tutti contro?
Abbiamo già avviato la consultazione nel rispetto della decisione del Direttivo confederale (il voto degli iscritti) e nel rispetto del Comitato centrale della Fiom che ha confermato quel che sta scritto nel nostro statuto: qualunque ipotesi d’accordo dev’essere sottoposta al giudizio determinante degli interessati. Nello statuto c’è anche scritto che l’unico caso in cui può essere impedito il referendum è quando vengono sottoposti al voto diritti inalienabili. Questa è la ragione per cui riteniamo illegittimo il referendum imposto dalla Fiat a Pomigliano, Mirafiori e alla Bertone. Noi siamo contrari a quell’ipotesi di accordo perché toglie ai lavoratori il diritto di voto, prevede deroghe e addirittura impedisce l’esercizio dello sciopero. La Cgil sapeva che queste sono le nostre posizioni, non aver cercato una approdo condiviso è una precisa responsabilità di chi ha diretto la trattativa. È sbagliato pensare che per uscire dalla crisi si debba ridurre il ruolo del contratto nazionale e il diritto di negoziazione. Chi lavora ha due possibilità per far pesare il suo punto di vista: 1) la pratica della democrazia, costruendo le piattaforme e votando gli accordi; 2) scioperare, agendo collettivamente il conflitto per far valere le proprie ragioni. Se vengono meno queste possibilità passa un’idea autoritaria nella gestione delle imprese e dei processi sociali e politici.
In fabbrica non siete soli, ma non c’è solo la fabbrica…
È una rappresentazione sbagliata, politicista quella che ci vorrebbe in un angolo. Abbiamo avviato la consultazione sull’accordo in diverse regioni e la nostra opposizione è condivisa dalla maggioranza dei lavoratori. Inoltre, la democrazia ha un valore generale che riguarda tanto i luoghi di lavoro quanto le scelte di politica economica per uscire dalla crisi. Noi ci battiamo per un diverso modello di sviluppo che deve affrontare il nodo, oltre che del come, del cosa produrre e della sua compatibilità ambientale. Non possono essere poche multinazionali a decidere per tutti, deve tornare in campo un’autonoma politica economica. C’è una forte domanda di democrazia e partecipazione che i partiti non sono in grado di cogliere e dunque non hanno risposte. Non vedo un isolamento della Fiom che invece incrocia questa domanda di giustizia sociale.
La manovra del governo passata quasi in silenzio produrrà danni sociali. Che ne pensa la Fiom?
Una manovra varata in tre giorni dal Parlamento. Sarà devastante per i lavoratori, i pensionati e soprattutto per i giovani, perciò sarebbe necessario che tutto il movimento sindacale reagisse. Invece, a oggi Cgil, Cisl e Uil non hanno detto una parola unitaria contro la manovra. Il limite dell’accordo unitario sui contratti è che non è sostenuto da una strategia unitaria e non risolve nulla sul fronte degli accordi separati, con il risultato che quando le idee sono diverse a decidere sono le imprese. È un accordo che limita i diritti e prevede la possibilità che i delegati non siano eletti dai lavoratori ma nominati dalle organizzazioni. Ora, se non vuol perdere il rapporto con chi rappresenta la Cgil dovrà pur fare i conti con la manovra mettendo in campo una grande mobilitazione, fino allo sciopero generale.
Poi c’è il rinnovo del contratto nazionale dei meccanici, quello disdetto da Fim e Uilm con un contratto separato.
Il 22 e 23 settembre riuniremo l’assemblea nazionale dei delegati per preparare la piattaforma che sottoporremo al voto di tutte le lavoratrici e i lavoratori. Vedo 4 o 5 aspetti prioritari: a) la democrazia, con la validazione garantita dal referendum; b) il superamento della precarietà, con il principio che a parità di prestazione debba corrispondere una parità di retribuzione e diritti; c) un nuovo rapporto tra orari, articolazione, flessibilità e occupazione; d) la reale difesa e l’incremento del valore reale dei salari; e) la non derogabilità del contratto. Vogliamo porre le basi per un diverso modo di produrre, con il diritto preventivo di conoscere progetti industriali e investimenti. Insomma, il contratto come occasione per costruire forme nuove e condivise di democrazia economica.
I dati della trimestrale diffusi da Marchionne, dietro numeri apparentemente positivi, nascondono il buco nero in Europa e la crisi della produzione in Italia. Marchionne minaccia voi e persino l’Italia, che pure stende tappeti di velluto per farlo camminare sul morbido.
Le dichiarazioni del Cda Fiat confermano l’arroganza del modello Marchionne: o si fa come voglio io o non ci sono le condizioni per produrre in Italia. Non sopporta che da noi ci siano leggi, e su tutte lo Statuto dei lavoratori, che non consentono comportamenti antisindacali, come ha ulteriormente confermato il giudice di Torino condannando la Fiat per antisindacalità, in relazione al contratto di Pomigliano. Mi colpisce il silenzio e l’accondiscendenza del governo, nonostante sia chiaro come la testa e le gambe della Fiat stiano volando fuori dall’Italia. Qui cresce solo la cassa integrazione. Dei 20 miliardi promessi, escluso l’investimento a Pomigliano, s’è persa ogni traccia. La Fiat in Italia produce più licenziamenti che auto: sono già saltate o rischiano di saltare tre fabbriche, la Cnh di Imola, la Irisbus di Avellino sotto minaccia e Termini Imerese che vorrebbero mandare in pensione il 31 dicembre. Stiamo parlando di 4.500 posti di lavoro. Sappia Marchionne che per la Fiom è inaccettabile la chiusura della fabbrica siciliana in assenza di un’alternativa industriale concreta, a tutt’oggi inesistente. Il ministro Sacconi si dice disponibile a tutto, meglio che ad asfaltare la strada antisindacale della Fiat siano le parti sociali, altrimenti non sarà lui a negare una legge ad hoc. Dal canto suo Confindustria è pronta a lanciare il contratto speciale dell’auto per tener dentro la Fiat servendole i desiderata su un piatto d’argento. Governo, Confindustria e Fiat hanno una strategia tesa a cancellare diritti e libera contrattazione.
L’accordo siglato dalla Cgil sarà votato solo dagli iscritti, ai lavoratori sarà presentata solo la posizione della segretaria Camusso che l’ha firmato e quei reprobi della Fiom che dicono no e intendono far votare anche i non iscritti sono interdetti dal diffondere i risultati della consultazione, tranne quelli dei tesserati. Si riapre lo scontro interno alla Cgil che sembra puntare a isolare e sconfiggere la Fiom. Avete tutti contro?
Abbiamo già avviato la consultazione nel rispetto della decisione del Direttivo confederale (il voto degli iscritti) e nel rispetto del Comitato centrale della Fiom che ha confermato quel che sta scritto nel nostro statuto: qualunque ipotesi d’accordo dev’essere sottoposta al giudizio determinante degli interessati. Nello statuto c’è anche scritto che l’unico caso in cui può essere impedito il referendum è quando vengono sottoposti al voto diritti inalienabili. Questa è la ragione per cui riteniamo illegittimo il referendum imposto dalla Fiat a Pomigliano, Mirafiori e alla Bertone. Noi siamo contrari a quell’ipotesi di accordo perché toglie ai lavoratori il diritto di voto, prevede deroghe e addirittura impedisce l’esercizio dello sciopero. La Cgil sapeva che queste sono le nostre posizioni, non aver cercato una approdo condiviso è una precisa responsabilità di chi ha diretto la trattativa. È sbagliato pensare che per uscire dalla crisi si debba ridurre il ruolo del contratto nazionale e il diritto di negoziazione. Chi lavora ha due possibilità per far pesare il suo punto di vista: 1) la pratica della democrazia, costruendo le piattaforme e votando gli accordi; 2) scioperare, agendo collettivamente il conflitto per far valere le proprie ragioni. Se vengono meno queste possibilità passa un’idea autoritaria nella gestione delle imprese e dei processi sociali e politici.
In fabbrica non siete soli, ma non c’è solo la fabbrica…
È una rappresentazione sbagliata, politicista quella che ci vorrebbe in un angolo. Abbiamo avviato la consultazione sull’accordo in diverse regioni e la nostra opposizione è condivisa dalla maggioranza dei lavoratori. Inoltre, la democrazia ha un valore generale che riguarda tanto i luoghi di lavoro quanto le scelte di politica economica per uscire dalla crisi. Noi ci battiamo per un diverso modello di sviluppo che deve affrontare il nodo, oltre che del come, del cosa produrre e della sua compatibilità ambientale. Non possono essere poche multinazionali a decidere per tutti, deve tornare in campo un’autonoma politica economica. C’è una forte domanda di democrazia e partecipazione che i partiti non sono in grado di cogliere e dunque non hanno risposte. Non vedo un isolamento della Fiom che invece incrocia questa domanda di giustizia sociale.
La manovra del governo passata quasi in silenzio produrrà danni sociali. Che ne pensa la Fiom?
Una manovra varata in tre giorni dal Parlamento. Sarà devastante per i lavoratori, i pensionati e soprattutto per i giovani, perciò sarebbe necessario che tutto il movimento sindacale reagisse. Invece, a oggi Cgil, Cisl e Uil non hanno detto una parola unitaria contro la manovra. Il limite dell’accordo unitario sui contratti è che non è sostenuto da una strategia unitaria e non risolve nulla sul fronte degli accordi separati, con il risultato che quando le idee sono diverse a decidere sono le imprese. È un accordo che limita i diritti e prevede la possibilità che i delegati non siano eletti dai lavoratori ma nominati dalle organizzazioni. Ora, se non vuol perdere il rapporto con chi rappresenta la Cgil dovrà pur fare i conti con la manovra mettendo in campo una grande mobilitazione, fino allo sciopero generale.
Poi c’è il rinnovo del contratto nazionale dei meccanici, quello disdetto da Fim e Uilm con un contratto separato.
Il 22 e 23 settembre riuniremo l’assemblea nazionale dei delegati per preparare la piattaforma che sottoporremo al voto di tutte le lavoratrici e i lavoratori. Vedo 4 o 5 aspetti prioritari: a) la democrazia, con la validazione garantita dal referendum; b) il superamento della precarietà, con il principio che a parità di prestazione debba corrispondere una parità di retribuzione e diritti; c) un nuovo rapporto tra orari, articolazione, flessibilità e occupazione; d) la reale difesa e l’incremento del valore reale dei salari; e) la non derogabilità del contratto. Vogliamo porre le basi per un diverso modo di produrre, con il diritto preventivo di conoscere progetti industriali e investimenti. Insomma, il contratto come occasione per costruire forme nuove e condivise di democrazia economica.
da “il manifesto” del 28 luglio 2011
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