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Il Pd è davvero un partito “normale”

La vicenda di Filippo Penati, fin qui astro nascente dei “realisti” – quelli che volevano far concorrenza alla Lega sui loro temi, dall’immigrazione al “legge e ordine” – lo mette in crisi proprio sull’unico terreno che avevno difeso disperatamente: quello della “questione morale”, dell’onestà, della “differenza di comportamento” rispetto agli squali berlusconiani.

Una differenza ridotta a ben poco, ormai. In pratica, lo invitano un inquisito  “fare un passo indietro” e non sbraitano (in pubblico) contro i magistrati che indagano. Per il resto, parlano le inchieste e gli articoli della stampa “normale”. Per carità d patria, o per eccesso di nausea, evitiamo i giornali berlusconiani. Vi consigliamo però di iniziare con il corsivo di Robecchi, apparso du “il manifesto” di domenica. Cominciare con una risata aiuta a prendere col dovuto distacco emotivo il percorso di infamia di questi figli degeneri  del “comunismo riformista” italiano e non solo.

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Una ronda per Penati

Alessandro Robecchi

Ma il Filippo Penati di cui si parla tanto, colpevole di concussione secondo la Procura e «solo» di corruzione secondo il Gip, è lo stesso Filippo Penati che andava distribuendo lezioncine di legalità a destra e a sinistra (soprattutto a sinistra)? È per caso lo stesso Filippo Penati che diceva amenità tipo «Milano non è la capitale del Burundi, ma ci sono troppi rom e clandestini»? Si tratta della stessa persona? Il Filippo Penati di cui oggi il Pd discute animatamente se debba dimettersi da tutte le cariche, fare un passo indietro, rinunciare alla prescrizione in modo da essere da esempio per la diversità della sinistra di fronte alla questione morale, è per caso lo stesso Filippo Penati che un tempo faceva il presidente della Provincia di Milano e – primo gonzo in tutta Italia – sganciava 250.000 euro ai comuni che volevano organizzare le ronde? Il famoso sceriffo della sinistra che sapeva illuminare le plebi oppresse con frasi come «Basta parlare di accoglienza, i rom non sono mica i Gipsy Kings?». Come mai il Pd vuole liberarsi di lui adesso che l’hanno beccato, mentre prima – quando sembrava un Calderoli qualunque – lo faceva crescere nelle gerarchie e nelle cariche del partito? Persino Pierferdinando Casini disse (aprile 2009): «Penati mi fa venire il latte alle ginocchia se segue la Lega sul terreno delle ronde». Erano i tempi del decreto sicurezza, dei sindaci sceriffi. Erano i tempi del Non si può lasciare la sicurezza alla destra!». Tempi in cui il Pd – oggi tanto impegnato a sembrare «diverso» – si sbracciava tanto per essere «uguale». Passati appena un paio d’anni, Penati non va in carcere perché la prescrizione per i reati di corruzione è stata dimezzata. Una specie di nemesi storica: law & order non tirano più, a far paura non sono i Rom ma la Borsa, non gli stranieri ma i banchieri, non il Burundi, ma la crisi. La stella degli sceriffi era di latta, la paura percepita era una truffa e la sinistra che si travestiva da destra una farsa orribile e vergognosa. È sempre antipatico dire: «Io l’avevo detto», e allora non lo dirò. Dopotutto, Penati non è mica i Gipsy Kings!

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da Repubblica, disperata.

I VERBALI

“Nell’affare Falck anche le Coop”
le accuse lambiscono il Pd nazionale

Le indagini dei pm di Monza Walter Mapelli e Franco Macchia: la partecipazione delle cooperative sarebbe stato “snodo fondamentale” per l’esito e per il “loro rapporto organico con i vertici nazionali” del partito 

di SANDRO DE RICCARDIS e WALTER GALBIATI

Le cooperative dovevano “necessariamente” entrare nell’affare dell’area Falck di Sesto San Giovanni. Per i pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia, che indagano sul sistema di presunte tangenti e che hanno chiesto l’arresto dell’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati e del suo braccio destro Giordano Vimercati, la presenza del Consorzio cooperative costruttori di Bologna era la condizione per “compiacere la controparte politica nazionale”. Proprio indagando sul ruolo del consorzio, la procura intende chiarire i legami tra gli affari e i casi di presunte corruzioni a Sesto e il partito nazionale.

Secondo i pm, l’imprenditore Giuseppe Pasini, uno dei grandi accusatori di Penati, accetta le coop perché le riconosce come “snodo fondamentale per il buon esito dell’affare” e per il “loro rapporto organico con i vertici nazionali del Pds”.

“Stupisce – scrivono i pm – come a fronte delle inadempienze del socio emiliano (la Ccc non pagherà la quota per rilevare i terreni), Pasini riconosca loro il diritto a entrare in ogni caso nell’affare senza chiedere corrispettivi né pretendere indennizzi, ma anzi pagando mediazioni inesistenti”, fino a 3,5 milioni di euro ai due professionisti Francesco Agnello e Giampaolo Salami, che stando all’inchiesta, ricevettero quattro pagamenti da 620mila euro senza realizzare nulla.

Dazioni che sarebbero “destinate a regolare i conti, a spese di Pasini e non di tasca loro, con la politica a livello centrale”. Il costruttore è chiaro con i pm: “Non potevo contraddire le coop se non rischiando di affossare tutta l’operazione, perché sono il braccio armato del partito”. L’area Falck fu acquistata nel 2000. L’input di coinvolgere i bolognesi sarebbe arrivato direttamente dall’allora sindaco Penati e da Vimercati. Lo racconta ai pm Luca Pasini, figlio del costruttore. “Durante la trattativa conobbi Degli Esposti e un certo Salami come rappresentanti delle coop: ci venne detto, mi pare da Vimercati, che avrebbero garantito la parte romana del partito”.

Lo scenario, secondo un altro teste, l’ex genero di Pasini Diego Cotti, era molto più grossa. “Penati insistette affinché la riconversione dell’area Falck fosse appannaggio di un imprenditore locale, per dare un segnale di potenza sia ai vertici romani del partito sia alla famiglia Falck, interessata all’acquisto di Adr e perciò bisognosa del placet della direzione centrale del Pd”.

Anche per queste rivelazioni, la procura ha configurato per Penati e Vimercati l’ipotesi di reato di concussione, non accolta dal gip che ha derubricato in corruzione. I pm hanno presentato ricorso. “L’inferiorità di Pasini è accentuata dalle dimensioni dell’operazione, tale da superare l’ambito locale e da imporre l’esigenza di rapportarsi, tramite le cooperative e Agnello, a livello centrale del partito”.

Relazioni di “straordinaria attualità – per i pm – perché a dieci anni di distanza Vimercati e Degli Esposti sono ancora coinvolti nell’operazione non più come compagni di avventura di Pasini, ma dei nuovi azionisti”. Nell’argomentare le esigenze cautelare i pm parlano di “oltre un quindicennio di gestione a profitto privato dell’attività edilizia di Sesto”, peculiare “sia per il numero di persone coinvolte in sede locale, con “proiezione” in sede nazionale, sia per la molteplicità degli addebiti”.

Proprio a livello nazionale, arrivarono fino a Roma i rumors sull’inchiesta. Il 29 aprile la segretaria di Vimercati, intercettata, confida al telefono: “Ieri sera è venuto Vimercati, chiaramente la cosa si è ripercossa a Roma.. cioè.. è un casino.. hanno tutti i telefoni sotto controllo..”. È Vimercati a preoccuparsi dei riflessi romani dell’inchiesta perché “è lui al fianco di Omer Degli Esposti – scrivono i pm – nella gestione dell’operazione e il riferimento alle preoccupazioni romane dà spessore alla tesi del “doppio binario” di finanziamento per le Falck: un primo flusso a Penati e a Vimercati per la Federazione milanese, un secondo alle persone indicate da Degli Esposti e alle coop emiliane per il livello nazionale”.

Di un doppio livello aveva già parlato il grande accusatore del “Sistema Sesto”, Piero Di Caterina. Raccontando di circa 3,5 miliardi di lire finiti a Vimercati e Penati tra il 1994 e il 2003. “Loro – spiega – mi dicevano che avevano bisogno di ingenti finanziamenti e ho collegato la crescita del fabbisogno all’esplosione delle spese della politica dovute anche alle elezioni sia a Sesto che a livello nazionale”.

 

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da Il Sole 24 Ore

Caso Penati: oggi doppio interrogatorio nel carcere di Monza

 

Oggi nel carcere di Monza il gip Magelli interrogherà l’ex assessore all’edilizia di Sesto, Pasqualino Di Leva, e l’architetto Marco Magni, finiti in carcere giovedì scorso per corruzione. Quattro «fatture» da circa 620 mila euro l’una e una «richiesta» di altri «2 miliardi di lire», per un totale di quasi 3,5 milioni di euro.

È la cifra che, stando agli atti dell’inchiesta dei pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia sulle presunte tangenti per i progetti di riqualificazione delle aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, avrebbe dovuto versare alle «cooperative emiliane» l’imprenditore Giuseppe Pasini, su indicazione di Filippo Penati, il dimissionario esponente Pd ed ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani.

Nell’affare immobiliare sull’area ex Falck, infatti, come spiega il gip di Monza Anna Magelli, «tra le condizioni previste dai politici» c’era anche «l’ingresso delle cooperative». E nell’ambito «delle trattative», si legge ancora, Pasini accettò «di garantire a Penati non solo il pagamento di somme di denaro (stando alle indagini, versò una tangente da 4 miliardi di lire a favore dell’ex presidente della Provincia di Milano, ndr), ma anche altre utilità come per l’appunto l’affidamento di parte delle opere residenziali a soggetti terzi, notoriamente vicini politicamente all’amministrazione comunale». Ossia, quelle cooperative che Pasini, in un interrogatorio davanti ai pm del 26 maggio scorso, definisce «il braccio armato del partito» e con le quali «non era opportuno litigare».

Se infatti, come spiega Diego Cotti – consigliere comunale quando Penati era sindaco a Sesto e sentito dai pm nel marzo scorso – Pasini apparteneva alla categoria degli imprenditori locali e quindi «più gestibili, cioè in condizione di poter essere condizionati nelle loro scelte dal potere politico», alle «cooperative emiliane» spettava il ruolo di figurè «più strutturate e più vicine al partito».

Pertanto, si legge nelle carte, Giuseppe Pasini e il figlio Luca «prima di incontrare i Falck si incontrarono con i rappresentanti delle cooperative», ossia con Omer Degli Esposti, vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruzioni e con «un certo Salami».

Luca Pasini poi «conobbe Francesco Agnello, che venne presentato da Degli Esposti, da Salami o da Vimercati (l’ex braccio destro di Penati) come anello di congiunzione tra la proprietà Falck, l’amministrazione pubblica, le cooperative ed il gruppo Pasini», nonchè come «persona che era in stretti rapporti con Penati». Luca Pasini, sentito dai pm, ha raccontato inoltre che gli uomini delle cooperative dissero di non aver «soldi» per entrare nell’affare, «ma che comunque loro si ritenevano nostri soci per almeno un anno» e che si sarebbero occupati «dell’edilizia convenzionata».

I pm hanno acquisito, «a riscontro dei rapporti economici tra Pasini e Francesco Agnello», due «scritture private datate 13-2-2001» stipulate tra Pasini e «la società Gruppo Aesse srl». E poi fatture emesse anche dalla «Fingest srl, società quest’ultima anch’essa riferibile alle cooperative emiliane, la quale in data 12-10-2003 ha inviato a una società del Gruppo Pasini (San Clemente srl) la richiesta di autorizzazione ad emettere fattura per l’importo di 2 miliardi di lire». Tracce di pagamenti per un totale di circa 3,5 milioni di euro da Pasini verso le cooperative con un «fattore comune»: le società, stando alle indagini, non avrebbero erogato «alcuna prestazione a fronte dei pagamenti».

Le cooperative, secondo i pm, avrebbero fatto parte di quel sistema Sesto che, dal ’94 al 2010, si sarebbe incentrato su una vasta «rete di relazioni» e su un giro vorticoso di mazzette: i pm ipotizzano che Penati – per cui il gip ha deciso di non disporre il carcere per intervenuta prescrizione del reato – o il suo ex braccio destro Vimercati abbiano ricevuto tra gli 8,5 e i 9 milioni di euro. Due milioni di euro almeno, sempre secondo i pm, Penati li avrebbe usati per finanziare illecitamente il suo partito, reato a lui contestato fino «al dicembre 2010».

 

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Vicenda Penati, Pd sotto choc. «Rinunci alla prescrizione», il caso in Commissione di garanzia

 

Rinunciare alla prescrizione. È la richiesta a Filippo Penati che arriva da più voci nel Pd. A cominciare dal vice segretario, Enrico Letta.
Per lunedì prossimo è stata convocata la Commissione nazionale di Garanzia guidata da Luigi Berlinguer che chiederà al gip e agli avvocati difensori dell’esponente democratico gli atti pubblici dell’inchiesta, in modo da farsene un’idea precisa.

Anche di questo parla Letta, per chiarire come ciò che la commissione dirà dovrà essere accettato. «Questa è la differenza tra noi e l’atteggiameno di altri», dice il vice segretario. «Da noi chi è toccato da questi fatti si deve dimettere e si deve far processare, altri diventano ministri. Non ci può essere alcuna macchia in questa storia».

Le pressioni per l’espulsione dal partito dell’ex presidente della Provincia di Milano si fanno sempre più insistenti.
Ne parla pure Matteo Renzi. Se fossi segretario del Pd, dice, «lancerei un appello pubblico a Filippo Penati per rinunciare alla prescrizione». Il sindaco di Firenze invita l’ex presidente della provincia di Milano a fare un altro passo e lasciare la carica di consigliere regionale.
La pensa allo stesso modo Luiciano Violante. «È arrivato il momento che si decida (Penati, ndr): o si dimette da consigliere regionale della Lombardia o rinuncia alla prescrizione».

Intanto Giorgio Oldrini, il sindaco in carica di Sesto San Giovanni scrive una lettera al Corriere della Sera per ribadire che come primo cittadino ha «cercato di amministrare» la città, ma non ha commesso alcun reato. Oldrini sottolinea di non aver ricevuto «fino ad ora» alcun avviso di garanzia. E si dice preoccupato «per un atteggiamento generale per cui tutto quello che hanno dichiarato due imprenditori che accusano è di per sé vero, e tutto quello che dicono gli amministratori e i politici è falso, o è anche un reato».

La questione preoccupa tutto il Pd e l’opposizione attacca.
Per Maurizio Gasparri (Pdl) «l’illegalità è riferita al partito nella migliore, si fa per dire, tradizione del Pci» e Penati «è solo una pedina di un sistema più ampio». Walter Veltroni lo querela per diffamazione.
Ribatte il presidente democratico, Rosy Bindi: «Il Pdl vuole delegittimare il ruolo di governo e la credibilità del Pd per distogliere l’attenzione dalle difficoltà della maggioranza di fronte alla pesante e iniqua manovra di ferragosto».

La vicenda Penati sarà al centro della direzione del Pd milanese fissata per martedì prossimo. E l’assessore comunale alla cultura, Stefano Boeri, intende chiedere di organizzare, a partire dalla Festa democratica, «una Conferenza programmatica che metta al centro il rapporto tra politica, sviluppo del territorio e economia» e che serva a «rigenerare» la classe dirigente.

Un altro assessore milanese, Pier Francesco Maran, è al centro di una polemica sollevata dall’Italia dei valori, da tempo in discussione con Giuliano Pisapia per l’esclusione dalle nomine fatte dalla nuova amministrazione. L’Idv punta il dito contro il giovane assessore comunale ai Trasporti, definito dal partito di Di Pietro un «pupillo di Penati». Una polemica «assurda e ingenerosa» secondo Roberto Cornelli, segretario metropolitano del Pd. Tutte le scelte di Pisapia di questi mesi, dice Cornelli, «a partire dalla formazione della Giunta, dimostrano la sua capacità di governare con assoluta trasparenza e correttezza».
Il sindaco di Milano ribadisce in una nota come nel formare la giunta abbia preso «le decisioni in totale autonomia» e sottolinea: «in particolare non ho mai avuto incontri, colloqui, suggerimenti, e tanto meno pressioni dirette o indirette, da parte di Filippo Penati, come da nessun altro».

 

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