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Ultime dalla manovra: spaventapasseri contro l’evasione

Tutti i quotidiani danno oggi un quadro dettagliato delle varie misure, delle ultime correzioni, delle possibile conseguenze, di chi pagherà più e chi meno. Abbiamo scelto gli articoli che ci sembra aiutino meglio a capire quel che c’è scritto in questa orgia di misure antipopolari, che cambiano forse definitivamente il “modello sociale” italiano. Che non era affatto, come sappiamo, “il migliore dei mondi possibili”. Ma non c’è nemmeno limite al peggio….

Il testo dell’emendamento sul fisco:

emendamento-governo-manovra.pdf

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Spaventapasseri contro l’evasione

Francesco Piccioni
Tremonti torna e mette «ordine» nel decreto. Il fisco avrà qualche strumento in più e farà conto sulle denunce tra vicini di casa. Ma il saldo (45,5 miliardi) è irraggiungibile e diventa certa una terza finanziaria in autunno. Un solo «nemico» vero: il lavoro, il suo salario, i suoi diritti «Inevitabile» un nuovo intervento in autunno, con pensioni e aumento dell’Iva nel piatto

Ricompare il mago dei conti – o della «finanza creativa» – e il polverone di proposte bislacche su come trovare le coperture sembra diradarsi. Ma è un’impressione dovuta alla retorica, poco altro. Dopo un rapido vertice di maggioranza, Giulio Tremonti illustra gli emendamenti del governo alla manovra (siamo ormai alla quarta versione), cercando di convincere tutti che i cambiamenti rispetto al testo di partenza sono soltanto due.
Il gettito previsto dalla Robin Tax sulle società del settore energetico andrà ora tutto a copertura dei minori tagli nei trasferimenti alle autonomie locali, invece che diviso equamente con i minori tagli ai ministeri nazionali.
In secondo luogo, il buco aperto dalla scomparsa – solo per i manager del settore privato – del «contributo di solidarietà per i redditi sopra i 90.000 (+5%) e i 150.000 euro annui (+10%) sarà compensato con «un apparato di norme antievasione di grande efficacia». Anche così, spiegano subito gli analisti, mancano circa 4 miliardi per arrivare ai fatidici 45,5 che l’Unione europea pretende di vedere sul piatto.
Ammesso e non concesso che le nuove norme contro l’evasione fiscale siano «veramente efficaci», il loro gettito reale potrà essere stabilito solo dopo l’applicazione, mai prima. E, andando nel dettaglio, si tratta di misure in gran parte «spaventa-passeri», ovvero minacciose all’aspetto ma funzionanti solo se attivate con grande impegno. Difficile da credere, in un governo che degli evasori è spesso espressione sfacciata. Un esempio? Il «carcere per chi evade» è rappresentato dall’«impossibilità» di concedere la sospensione della pena a chi abbia «evitato» di versare la non modica cifra di 3 milioni di euro. A occhio, non tantissimi. Specie se si considera che, proprio ieri, il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera ha reso noto che dei 4 miliardi attesi dall’ultimo condono ben 2,5 o più sono «inesigibili».
Più seria – ma sempre di impossibile quantificazione – è la possibilità per i Comuni di verificare tra i propri residenti chi abbia immobili o auto di lusso incompatibili con il proprio 730. Ci guadagneranno il 100% delle cifre recuperate; un bell’incentivo. Più propagandistica, e vagamente da «caposcala» di fascista memoria, la pubblicazione sui siti comunali delle dichiarazioni dei redditi. La speranza palese è che ci possa essere una corsa alla «denuncia anonima» del vicino. Più sottile, apparentemente, l’obbligo di indicare, nella dichiarazione dei redditi, le banche o gli operatori finanziari con cui si è in rapporto; ma l’anagrafe dei conti è già esiste, basterebbe consultarla.
Efficace potrebbe essere l’indagine sistematica dei casi di «concessione in godimento dei beni dell’impresa a socie e familiari» (auto, appartamenti, ecc), specie in combinazione con la possibilità data all’Agenzia delle entrate di ricostruire in tal modo un reddito più alto del dichiarato.
In ogni caso, si tratta di un insieme di misure che possono contribuire a far sentre gli evasori meno certi dell’impunintà. Il problema, come già detto, è che queste per ora non «coprono» le cifre a vario titolo depennate. E quindi restano in campo l’ipotesi di aumentare l’Iva di almeno l’1% e la promessa – meglio dire: la minaccia – di metter mano a una nuova «e definitiva» (quante volte ce l’hanno già detto?) «riforma delle pensioni» che alzi subito a 65 anni l’età del ritiro per le donne del settore privato, che acceleri la progressione degli «scaglioni» per aumentare l’età pensionabile per tutti (obiettivo dichiarato: 70 anni). E così via.
E’ la «manovra di autunno», certa come la pioggia, qualsiasi sia il governo che dovrà farla. Ma la cosa più ignobile della pantomima messa in piedi in questi giorni è che ha fatto concentrare – con la complicità dei media – l’attenzione pubblica su «ipotesi balzane» di breve durata e tutto sommato «minori». La carne viva di lavoratori stabili, precari, giovani e anziani, donne e uomini, viene invece colpita soprattutto da quelle «norme dimenticate» (non se ne discute più da quasi un mese) che inchiodano il lavoro a una condizione semischiavistica: abolizione dell’art. 18; recepimento dell’accordo del 28 giugno» tra Confindustria, Cisl, Uil e Cgil (che consegna la rappresentanza sindacale ab aeterno a chi ha firmato quel testo) e suo superamento (che rende il sindacato una «firma a progetto»); eliminazione del contratto nazionale di lavoro e possibilità per quelli aziendali di «derogare» persino alle leggi dello stato. Non è un elenco completo, ma ci sembra già troppo.

da “il manifesto” del 2 settembre 2011
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STAMPA ESTERA
«Un messaggio confuso dagli effetti devastanti»

Wall Street Journal: «In passato le buffonate di Silvio Berlusconi hanno danneggiato l’Italia. Oggi rischiano di fare lo stesso con l’intera Eurolandia». «L’Europa potrebbe finire per pagare a caro prezzo il teatrino politico italiano». Financial Times: Parla di “Promesse spezzate” e si chiede per quanto tempo ancora la Banca centrale europea continuerà ad acquistare titoli di Stato italiani. Handelsblatt: «E’ difficile non cadere nei vecchi pregiudizi dopo aver ascoltato le notizie provenienti da Roma. I soliti imprevedibili italiani, estremamente creativi nella loro gestione dei conti, grandi promesse e piccoli risultati». Spiegel: «La casa è in fiamme e nessuno sta portando l’estintore». Die Welt: il premier dovrebbe «ritenersi fortunato che la banca centrale europea stia comprando i suoi bond». «Dopo che gli investitori avevano espresso dubbi sul fatto che l’Italia fosse in grado di realizzare le riforme Berlusconi ha dovuto dimostrare la sua volontà di realizzarle». Süddeutsche Zeitung: «A Berlusconi questo non importa. È interessato solo ai calcoli politici.Fa tutto il possibile per non peggiorare il dimagrimento della sua coalizione. È pura aritmetica parlamentare quella che consente alla sua malconcia e confusa coalizione di sopravvivere». Financial Times Deutschland: «Le ‘modifiche’ fatte da Berlusconi non comportano nulla dal punto di vista economico, ma sconvolgono gli investitori in quanto nessuno sa quanto sia serio l’intento del governo di ridurre il debito. Con l’abbandono della tassa di solidarietà sui ricchi, il governo ha eroso la base sociale, già debole per il suo pacchetto austerità»

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Operai-manager, 356 euro di differenza ogni giorno

Le retribuzioni degli italiani continuano a perdere colpi: secondo l’Istat, in luglio hanno registrato un rialzo dell’1,7% sullo stesso mese dell’anno scorso, perdendo ben un punto di potere di acquisto, dato che l’inflazione negli stessi mesi considerati ha subito un aumento del 2,7%. E intanto dall’Incontro nazionale di studi delle Acli, quest’anno a Castel Gandolfo, arrivano dati tristissimi sulle buste paga dei lavoratori: un operaio guadagna in media 356 euro al giorno in meno rispetto a un dirigente; rispetto alla retribuzione di un quadro, la differenza si riduce, ma resta comunque notevole: si tratta di 127 euro al giorno. Infine la forbice si restringe rispetto agli impiegati: «soltanto» 22 euro in meno.
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dal Sole 24 Ore

Fisco in banca a caccia di evasori

di Dino Pesole

«Al posto del contributo di solidarietà avremo un contributo dall’evasione». Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti ha commentato così ieri in Senato il nuovo pacchetto di emendamenti alla manovra di Ferragosto, che riscrive le misure fiscali della manovra.

Le nuove misure compensano il mancato gettito (3,8 miliardi a regime) del «contributo di solidarietà» del 5% sui redditi oltre i 90mila euro e del 10% oltre i 150mila euro, che esce definitivamente di scena.

Le novità sono molteplici. In primo piano l’introduzione dell’obbligo per i contribuenti di segnalare in dichiarazione dei redditi le banche e gli operatori finanziari presso cui si effettuano le operazioni. Su questa base, l’Agenzia delle Entrate predisporrà «specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo». Si punta dunque a rafforzare le verifiche attraverso il canale bancario, così da rendere più cogente il ricorso al redditometro e all’accertamento sintetico del reddito dei contribuenti ritenuti a maggiore rischio di evasione. Una misura che per Tremonti dovrà agire soprattutto sotto il profilo della deterrenza. Gettito previsto dall’obbligo di indicare gli operatori finanziaria 145 milioni nel 2012-2014, mentre l’elaborazione delle liste selettive consentirà di incassare 156,2 milioni nel 2012, 545,7 nel 2013 e 665,4 nel 2014 1,3 miliardi.

Le imprese e gli esercizi che utilizzano «strumenti di pagamento diversi dal contante» potranno avere uno sconto sulle sanzioni, in caso di violazione delle dichiarazioni Irpef e Iva. Gli incassi effettivamente realizzati dai Comuni nella lotta all’evasione verranno attribuiti non più al 50% come previsto dal decreto legislativo sul fisco municipale, ma nella totalità. Sarà un decreto del presidente del Consiglio, su proposta del ministro dell’Economia, a stabilire criteri e modalità per la pubblicazione sul sito del comune delle dichiarazioni dei redditi, «anche con riferimento a determinate categorie di contribuenti». In tal modo – ha osservato Tremonti – la collaborazione dei comuni diverrà «effettiva, necessaria e non solo teorica. Abbiamo 8mila comuni e 4 milioni di partite Iva, molte auto di lusso rispetto a quanto viene riportato nelle dichiarazioni dei redditi».

Si punta altresì a rafforzare la lotta all’evasione sotto il profilo della rilevanza penale: qualora l’imposta evasa o non versata sia superiore a tre milioni di euro, non verrà applicata la sospensione condizionale della pena contemplata nell’articolo 163 del codice penale. In sostanza, potrebbero aprirsi le porte del carcere. La stima è di 210 milioni di maggiori entrate nel 2012, 457,5 nel 2013 e 407,5 nel 2014.

Quanto alle società di comodo, si conferma la stretta annunciata nei giorni scorsi attraverso una maggiorazione del 10,5% della relativa aliquota Ires. L’emendamento del governo precisa che tale incremento di tassazione si applicherà al reddito «imputato per trasparenza». La stretta “vale” 25,1 milioni di maggior gettito nel 2012, 33,5 milioni nel 2013 e 33,5 milioni nel 2014. Le società che presentino dichiarazioni in perdita fiscale per tre anni consecutivi saranno considerate inoltre «non operative». Chiaro anche in questo caso l’intento antielusivo perché di fatto scatterà l’equiparazione alle società di comodo, con un maggior gettito stimato in 622,3 milioni nel triennio 2012-2014.

Sono in arrivo al tempo stesso norme antielusive più stringenti per i casi di «concessione di godimento di beni dell’impresa a soci a familiari». Per l’omissione della comunicazione sarà applicata una sanzione del 30%, e l’Agenzia delle Entrate potrà «controllare sistematicamente» la posizione di quanti abbiano utilizzato i beni «concessi in godimento ai fini della riscostruzione sintetica del reddito». I costi relativi ai beni d’impresa ceduti a soci e familiari dell’imprenditore, per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento, non saranno in ogni caso ammessi in deduzione del reddito imponibile. Si stima nel totale un maggior gettito di 148,6 milioni sempre nel triennio 2012-2014.

Per quel che riguarda le cooperative, sale dal 30 al 40% la tassazione sugli utili accantonati a riserva. Per le cooperative di consumo si passa dal 55 al 65 per cento. Stando alla relazione tecnica, si avrà un maggior gettito di 46,2 milioni nel 2012, 61,7 milioni nel 2013 e 61,7 milioni nel 2014.

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Non un disegno organico contro l’evasione, ma il pacchetto contiene segnali da non sottovalutare

Analiisi di Salvatore Padula

 

No, non passerà alla storia come un piano organico contro l’evasione. Eppure il pacchetto di norme per scovare chi non paga le tasse, presentato ieri in Senato dal Governo, offre alcuni segnali da non sottovalutare. E contiene alcuni elementi di discontinuità rispetto al disagio, quasi all’imbarazzo, con cui la maggioranza di centro-destra ha spesso maneggiato il tema dell’evasione fiscale.

Ci sono, così, molti aspetti di rilievo: una nuova stretta sulle società di comodo, vale a dire quelle utilizzate per mettere immobili, barche e beni di lusso “personali” al riparo dalle pretese del fisco; un ulteriore coinvolgimento dei sindaci nella caccia a chi non paga le tasse, con tanto di minaccia di “gogna mediatica”, attraverso la pubblicazione online dei redditi dichiarati; il pugno pesante con le imprese strutturalmente in perdita, che saranno di fatto equiparate alle società di comodo; l’obbligo di indicare nelle dichiarazioni gli estremi dei rapporti con banche e operatori finanziari; il premio della riduzione delle sanzioni amministrative per i contribuenti (artigiani, commercianti, professionisti) che non usano il contante; il pesante giro di vite sul penal-tributario, forse la norma che farà più discutere.

Non sappiamo ancora se il rigore proposto tra i commi serve solo a dare credibilità a misure dai risultati incerti (come sempre sono le norme contro l’evasione) decisive però per mantenere inalterati i saldi della manovra, dopo la rinuncia al contributo di solidarietà e ai minori tagli agli enti locali. Non sappiamo neppure se questo intervento avrà la forza per superare indenne e senza annacquamenti l’esame dei due rami del Parlamento.
Quel che sappiamo, invece, è che l’evasione fiscale resta uno dei grandi problemi di questo paese, non l’unico purtroppo, ma di sicuro uno dei più preoccupanti. E che per risolverlo serve un po’ di coraggio e tanta onestà intellettuale. Non possiamo lamentarci ogni volta per l’elevato livello di evasione salvo poi recriminare prontamente di fronte a ogni iniziativa finalizzata a colpire i disonesti. Distinguendo però tra il rigore e gli eccessi.

Si pensi al penal-tributario: sanzioni più severe possono sempre essere accettate (è curioso – sia detto per inciso – che il superamento della legge “manette agli evasori”, nel 2000, sia arrivato proprio per mano dell’allora ministro Visco e che oggi sia proprio il ministro Tremonti a riproporre la linea dell’intransigenza, linea che in realtà non aveva dato in passato risultati travolgenti). Ma come la mettiamo con tutti quei casi in cui la contestazione di evasione non si basa tanto su violazioni sostanziali (fatture false; operazioni inesistenti; dichiarazioni non presentate) quanto sull’applicazione di norme interpretative, sull’abuso del diritto piuttosto che sull’antieconomicità di un comportamento? Ecco, se non vogliamo che tutto il contenzioso fiscale venga trasferito nelle Procure della Repubblica dobbiamo almeno auspicare uno sforzo di realismo da parte dell’amministrazione finanziaria.

 

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Confindustria: «Manovra debole e inadeguata»

di Nicoletta Picchio

 

Una manovra «debole e inadeguata». Per una serie di motivi che vengono elencati: «Alcune componenti della manovra non sono valutabili e non c’è la certezza sui saldi». Non solo: «La manovra è squilibrata sulle entrate e non contiene le adeguate misure per la crescita». Inoltre «rinvia sine die i tagli ai costi della politica e degli apparati amministrativi».

Servono misure strutturali, una riorganizzazione della macchina dello Stato, tagli ai costi della politica: «In questo nuovo scenario gli imprenditori non si tireranno indietro di fronte ad ulteriori impegni e sacrifici». Dalla Confindustria arrivano durissime critiche alla manovra, proprio mentre al Senato si stavano presentando gli emendamenti al testo. Ieri a Milano, in Assolombarda, si è riunito il direttivo straordinario della confederazione, il primo dopo le vacanze. Un appuntamento che si sarebbe dovuto tenere la prossima settimana, ma che è stato anticipato, anche per una tempestiva analisi della manovra.

E il giudizio di Confindustria non poteva essere più netto nel giudicarla «inadeguata, a quasi un mese di distanza dal monito della Bce», una posizione che è stata condivisa unanimamente dal direttivo, al quale hanno partecipato, oltre alla presidente, Emma Marcegaglia, imprenditori di spicco del vertice confindustriale, tra cui Alberto Bombassei, Giuseppe Recchi, Marco Tronchetti Provera, Gabriele Galateri di Genola, Luigi Abete, Giorgio Fossa, Gianmarco Moratti, Carlo De Benedetti, Diana Bracco.

Tutto il direttivo ha espresso «forte preoccupazione» per come viene affrontata la «grave situazione della finanza pubblica e della ripresa della crescita». E sia il dibattito, sia il comunicato finale hanno sottolineato i rischi che una gestione inadeguata di questi problemi possa avere per l’Italia ma anche per tutta l’Europa.

«Occorre altro», si legge nel titolo del testo. E gli imprenditori richiamano la politica alla necessità di agire con «grande senso di responsabilità e determinazione», facendo appello alla «coesione» delle forze politiche e sociali. Soprattutto vanno superati i corporativismi: «I sacrifici, purtroppo necessari, devono essere distribuiti equamente fra tutti».

Per Confindustria l’imperativo è coniugare il rigore dei conti con la crescita. E per raggiungere questo obiettivo si sollecitano una serie di interventi: agire sulle pensioni, allungando la vita lavorativa, in linea con i Paesi europei più avanzati; ridurre le tasse su chi produce, lavoratori e imprese, spostando il carico su tutto il resto, «nulla escluso».
Inoltre privatizzare, a partire dalle società dei servizi pubblici locali, e dismettere il patrimonio pubblico; liberalizzare le professioni e i servizi pubblici locali in modo più incisivo rispetto a quanto previsto dalla manovra; investire in infrastrutture attraverso i fondi europei.

Misure che vanno attuate contemporaneamente, «in un disegno strutturale e unitario», per valutarne costi e benefici in una visione d’insieme. Interventi che dovranno essere accompagnati, continua il comunicato, da una profonda riorganizzazione del funzionamento della macchina dello Stato, da una riduzione del suo perimetro e dei suoi costi, sottolineando che i tagli ai costi della politica «non sono rinviabili».
Tra i commenti, all’uscita del direttivo, quello di De Benedetti, che ha sollecitato le riforme, come quella delle pensioni, ed ha ipotizzato anche la patrimoniale, all’interno di una riforma fiscale che riduca le tasse sul lavoro; Moretti Polegato ha lanciato l’idea di un taglio del 50% dei contributi per i giovani, per favorire l’occupazione.

Tra i messaggi di preoccupazione per la situazione economica del Paese, anche quello di Paolo Graziano, presidente degli industriali di Napoli, che critica la mancanza delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni, delle riforme strutturali e misure per la crescita, del Piano Sud. Vuoti particolarmente pesanti nella situazione economica di Napoli e della Campania.

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Poca roba, dunque. Ma Berlusconi – secondo il retroscena di Repubblica, non sappiamo quanto attendibile (dobbiamo sempre ricordare che il “re dei retroscenisti” italiani era Augusto Minzolini) – avrebbe bollato anche queste misurine come “socialismo reale”.

 

Manovra, ira del premier e dei ministri
“Sono misure da socialismo reale”

Blitz di Giulio Tremonti per mettere a punto gli emendamenti alla manovra. Rivolta nel Pdl. Per Berlusconi, la lotta all’evasione impostata così è “roba che neanche Visco”. Lega irritata per norme sui comuni. Tagli ai dicasteri, per La Russa sono “insostenibili”. Il Cavaliere pronto ad aumentare l’Iva per decreto

di CARMELO LOPAPA

La manovra versione 3.0 – la terza in tre settimane – matura in un blitz al Senato tutto targato Tremonti. Che manda su tutte le furie i colleghi ministri, irrita l’area più liberale del Pdl e piace poco o nulla al presidente del Consiglio Berlusconi. Convinto che la lotta all’evasione impostata così è “roba che neanche Visco”, che lui sostiene di non aver autorizzato. Non in questa formulazione da “socialismo reale”, per dirla con uno dei suoi più stretti collaboratori.

GLI EMENDAMENTI ALLA MANOVRA 1

Il fatto è che il Cavaliere – impegnato al vertice sulla Libia a Parigi – si ritrova a dover difendere ventre a terra il giro di vite per il pareggio dei conti nel 2013. Il decreto sarà approvato a breve, garantisce comunque al presidente Ue Barroso e ai partner europei. Ma a Roma il quadro resta critico, come gli riferisce ora dopo ora Gianni Letta. E i conti continuano a non tornare. Il Quirinale segue l’evolversi della situazione con attenzione, in stretto contato col presidente del Senato Schifani, e non senza apprensione. Le ragioni della preoccupazione espressa dal presidente Napolitano al Meeting di Cl, due settimane fa, non sono venute meno. Attraverso le lenti del Colle, quell'”angoscioso presente” di cui ha parlato a Rimini il capo dello Stato sembra proseguire.

A questo punto Berlusconi si riserva di intervenire con nuove correzione, di riprendere in mano la situazione, se occorrerà. Soprattutto, come anticipa lasciando l’Eliseo, con quella “clausola di salvaguardia”, il decreto che aumenti l’Iva di 1-2 punti. Un provvedimento della presidenza del Consiglio, sottolinea quasi all’indirizzo del ministro dell’Economia, non del governo.

A preoccupare il premier è la tenuta politica della maggioranza. A pesare e parecchio a fine giornata è il silenzio della Lega. I ministri del Carroccio tacciano dopo la presentazione in commissione degli emendamenti Tremonti. Trapela tuttavia la forte irritazione di Roberto Maroni per quei tagli ai comuni che, dopo il “caminetto” di Arcore, sarebbero dovuti passare da 6 a 3 miliardi: restano invece pesanti, lo sconto finale è solo di 1,8 miliardi. A sera inoltrata, il ministro dell’Economia è ancora al tavolo con Sacconi e Calderoli per una cena che diventa occasione di chiarimento. L’ennesimo. In mattinata, il minivertice di Gianni Letta con lo stesso Calderoli e Maroni non era bastato a calmare i leghisti già sul piede di guerra.

Tremonti, d’altronde, aveva fatto di testa sua. Tornato a Roma da Lorenzago, si era chiuso coi soli tecnici di via XX Settembre e aveva riscritto il decreto poi portato in commissione al Senato. Pacchetto chiuso. I saldi tengono, assicura. Mancano all’appello almeno 3 miliardi, gli rinfaccia D’Alia dalle file dell’Udc.

Sospetto che attraversa anche i ranghi della maggioranza, mentre i ministri entrano in fibrillazione: i 6 miliardi di tagli ai dicasteri restano per intero. “Difficile andare avanti” sbotta il responsabile della Difesa La Russa, “insoddisfatto” si dirà anche Altero Matteoli dalle Infrastrutture. Il ministro dello Sviluppo Paolo Romani prima di protestare attende adesso il provvedimento che spalmerà quei colpi di forbici tra i dicasteri. Sono ore in cui fuori dal Palazzo monta la protesta, gli imprenditori in testa. A Parigi, un Berlusconi innervosito dagli sviluppi dell’inchiesta Tarantini, coi soliti fendenti a pm e sinistra fa scendere a suo modo il sipario su un’altra giornata nera. 


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Un retroscena anche da La Stampa (devono esser corse parole grosse, ieri, e anche piuttosto urlate).

Tremonti chiama Silvio: “Dammi il via libera”

UGO MAGRI

ROMA
Di buon mattino Tremonti ha chiamato Berlusconi, in partenza per Parigi. Voleva che Silvio avesse ben chiaro quanto lui stava andando a proporre su fisco, carcere ai grandi evasori e tutto il resto. Precauzione indispensabile, quella del Professore, conoscendo il suo interlocutore. Tanto più che queste misure sconfessano un dogma del berlusconismo, la tesi cara al premier secondo cui bisogna «pagare meno tasse per pagarle tutti», e chi si sottrae al dovere di contribuente in fondo non fa che difendersi da un fisco oppressivo. Ora Tremonti, con il via libera del Number One, vuole affermare il principio opposto: occorre pagare tutti per arrivare un giorno (forse) a pagare meno. Nel frattempo, caccia grossa all’evasore con un armamentario ideologico di cui i meno giovani rintracceranno il genoma nella scuola socialista dei primi anni ‘80, quando al ministero delle Finanze sedevano i Reviglio e i Formica.

Era allora un fiorire di redditometri, un proliferare di scontrini, un tintinnare di manette di cui fece le spese addirittura la Loren nell’82, rinchiusa a Poggioreale. Si mettevano nel mirino gli yacht, i cavalli da corsa, le auto di grossa cilindrata, insomma tutti i segni esteriori del lusso nella speranza di spaventare l’esercito degli evasori. Di quel movimento il giovane Tremonti faceva parte e adesso, a sentire i suoi detrattori nel Pdl, getta la maschera tornando alle sue origini social-riformiste. Proprio come aveva dato l’allarme un paio di settimane fa il liberal-reaganiano Martino.

Cicchitto, altro «ex» del Garofano alla corte del Cavaliere, boccia la lettura ideologica: «Il socialismo non c’entra, semplicemente abbiamo dovuto prendere il toro per le corna nel contesto di una manovra obbligata». Non una giravolta culturale, bensì una dura necessità «perché le pensioni no in quanto la Lega non vuole, l’Iva nemmeno» (o perlomeno non ancora), dunque l’unico modo per rastrellare denari sarebbe scucirli a chi evade. Anche perché non finisce qui, con i tagli a Comuni e Regioni: sta per arrivare il turno dei ministeri, La Russa grida disperato «sarà difficile andare avanti», nel governo c’è già chi ipotizza un «secondo tempo» della manovra basato sulla vendita di asset pubblici.

Ma pure nella chiave pragmatica, questa svolta tremontiana è destinata ad avere contraccolpi politici. Col Pdl che rischia di farne le spese. Basti ricordare le polemiche nel centrodestra dopo la batosta alle amministrative. Ne diedero tutta la colpa a Tremonti e alle sue «ganasce fiscali», che avevano indispettito il popolo delle partite Iva. I Formigoni e i Crosetto gareggiavano nel tiro al bersaglio, col Cavaliere che applaudiva. Ma pure Bossi dal palco di Pontida tuonò minaccioso: «Caro Giulio, se vuoi ancora i voti della Lega in Parlamento non puoi più toccare gli artigiani e le piccole imprese, altrimenti metti in ginocchio il Nord».

Giulio continua a toccarli, eccome. Trasforma i Comuni in esattori, rispolvera i consigli tributari, eccita la delazione, infila nel redditometro l’uso privato dei beni di impresa. Insomma, fa tutto quello che ci si aspetterebbe da una vera sinistra al governo.

 

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