Dato a Silvio il salvacondotto che chiede – evitare il carcere, per un ultrasettantenne con le sue disponibilità economiche è una passeggiata; più serio è il problema di mantenere in vita le sue aziende – il problema è creare un assetto che tenga nel tempo. La straordinaria inettitudine della classe dirigente italiana è dimostrabile proprio in questi frangenti: hai un premier impresentabile dentro e fuori il paese, un’eterodirezione europea in materia di finanza pubblica e politica economica, un’opposiozione parlamentare che più inutile e servile non si può onestamente pretendere, sindacati confederali talmente addomesticati che si mettono a difendere le borse mentre si massacrano i lavoratori (l’indimenticabile Bonanni)… che ci vuole a prendere in mano il timone?
Ci vuole una classe politica, appunto. Gente che per mestiere sappia interpretare le esigenze della finanza, della produzione e del commercio, trovando le opportune mediazioni empiriche e le formule retoriche adeguate a imbesuire una popolazione incapace di vedere l’intera posta posta in gioco e abbastanza rassegnata – anche quando si mobilita robustamente – a rimanere “nel particulare”.
In queste situazioni, nei salotti della borghesia, si rimpiange la vecchia e buona Democrazia Cristiana.
E quindi eccoli, più veloci della luce, i vecchi marpioni pronti a cogliere il mutare del vento, vecchi marinai abituati all’angiporto e senza velleità di andare mai in mare aperto. I “cattolici” di tutti gli schieramenti sentono che è tornato il loto momento. Casini si era posizionato “al centro” da parecchio tempo. I Fioroni e i Letta fremono per poter dimostrare il loro senso di responsabilità nazionale. Ai Pisanu e i Formigoni tocca il compito decisivo e modestamente rischioso: far franare la maggioranza di governo subito dopo l’approvazione definitiva della manovra.
Dopo. Su questo non c’è nemmeno da scherzare.
Berlusconi teme pm e sondaggi
“I magistrati vogliono uccidermi”. Le rilevazioni lo danno perdente anche se alleato col Terzo Polo
AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Nel giorno della fiducia, con i sondaggi a picco, Berlusconi sa che la tempesta non è finita. Anzi, la tempesta perfetta potrebbe arrivare nei prossimi 15 giorni. Il Cavaliere rimane chiuso a Palazzo Grazioli, assente dalla scena pubblica. Pensa solo ai guai giudiziari, al fango che gli sta piovendo addosso, le intercettazioni esplicite sulle sue prestazioni sessuali, le confidenze piccanti con Tarantini. Proprio quel Tarantini che insieme a Lavitola lo avrebbe ricattato, spillandogli soldi. Martedì prossimo i magistrati di Napoli andranno a sentire il premier a Palazzo Chigi come parte offesa. Ma per lui è chiaro che la musica dei pm non è suonata in sua difesa. «Vogliono uccidermi per le mie scopate. Vogliono delegittimare il governo, la mia persona in un momento così delicato per il Paese. È una vergogna pubblicare sui giornali conversazioni private. E nella maggioranza chi vuole fare altro ci metta la faccia, se ha il coraggio…».
Berlusconi non è andato al Senato per la fiducia e non andrà nemmeno alla Camera nei prossimi giorni. Deve prepararsi a rispondere, senza la presenza dei suoi avvocati, alle domande degli insidiosi magistrati napoletani (ieri pomeriggio ha ricevuto anche il senatore argentino, Esteban Caselli, il cui nome era saltato fuori in una telefonata tra lo stesso Berlusconi e Lavitola). Martedì prossimo tutto ciò potrebbe avvenire mentre i giornali spiattellano conversazioni telefoniche in cui il premier italiano esprime apprezzamenti poco lusinghieri su alcuni suoi colleghi europei. Sono questi i timori che serpeggiano nella maggioranza, il panico che prende alla gola ministri e capigruppo. Ed è solo una parte del problema. La via crucis infatti proseguirà mercoledì 13 settembre quando arriverà il voto in Giunta su Marco Milanese, ex braccio destro del ministro Tremonti. Un voto palese al quale farà seguito la settimana successiva quello a scrutinio segreto nell’aula della Camera. Dicono che la sorte di Milanese (il carcere) sia segnata e che le truppe fedeli a Maroni abbiano già pronto il pollice verso. «Quanto potrà resiste Tremonti al suo posto?», dicono i tanti nemici del ministro dell’Economia.
In questo lasso di tempo la manovra troverà sui mercati il suo banco di prova. Il punto di rottura sarebbe proprio questo: che tutto quello che è stato fatto non serva a fermare la speculazione, a evitare il crollo di Piazza Affari, a scongiurare il declassamento da parte delle agenzie di rating, ad accorciare lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi. Ecco, la tempesta perfetta che teme Berlusconi. A quel punto la Lega non potrebbe più reggere la botta e le tensioni al suo interno, con Maroni in movimento per il dopo Berlusconi, esploderebbero. E’ la tenuta del Carroccio che teme il segretario del Pdl Alfano, più che i movimenti dentro la maggioranza. Si vocifera però di riunioni segrete, ipotesi di documenti di gruppi della maggioranza. Il deputato calabrese Pittelli dal Pdl è passato al gruppo misto. I sudisti di Miccichè sempre più lontani, argini che nella galassia meridionale si rompono con il passaggio all’opposizione dell’Mpa.
C’è la paura del baratro se Berlusconi non farà un passo indietro per un esecutivo di larghe intese, come gli suggerisce Pisanu. Mentre Cazzola consiglia di «saper lasciare al momento giusto». In molti si preparano all’apocalisse. C’è chi spera, e chi ne è sicuro, che di fronte alla tempesta perfetta sarà Napolitano a dire al Cavaliere, «nonostante tutto quello che è stato fatto, l’Italia sta affondando: evidentemente il problema è la credibilità del governo, il problema è lei…».
Il Cavaliere si illude di poter resistere. Ma è proprio dentro la sua maggioranza che cresce la consapevolezza di una fase politica nazionale finita, gravata da una eccezionale crisi internazionale. Il premier potrebbe dire, «allora elezioni anticipate», facendo paura ai parlamentari che non vogliono andare a casa. Ma lo stesso Berlusconi sa che perderebbe rovinosamente. Gli ultimi sondaggi sono disastrosi, 12 punti in meno sul 2008. Col tandem Pdl-Lega testa a testa con la sinistra pure se si alleasse con Casini e il terzo Polo.
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L’INTERVISTA
“Il Cavaliere faccia un passo indietro, ora serve un governo di larghe intese”
Pisanu: “Patto di fine legislatura con le forze responsabili”. “Il voto sarebbe una sciagura. Ci esporrebbe alla speculazione. Con questa legge elettorale, e la questione morale, ci troveremmo in un Parlamento ingovernabile”
di CLAUDIO TITO
Un governo di larghe intese, “un patto di fine legislatura” tra “tutti gli uomini di buona volontà”. Con l’appoggio del Pdl e del Pd. E con un premier dotato di “credito internazionale”. Beppe Pisanu, uno dei fondatori di Forza Italia e presidente della Commissione Antimafia, esce allo scoperto. E chiede esplicitamente un passo indietro al Cavaliere. “La politica – avverte – non può subire la crisi in questo modo, deve invece dominarla con intelligenza e condurla verso il bene comune. Perché tutti devono capire che la casa brucia. Anzi, è già bruciata e va quanto meno restaurata”.
L’Unione europea e la Bce ci hanno avvertito da tempo che le fiamme stavano avvolgendo l’Italia ma si è fatto ben poco per spegnerle.
“L’Italia e l’Europa sembrano ancora oggi poco attente alla poderosa domanda di cambiamento che viene dalla drammatica evoluzione della crisi generale, dai giovani, dalle donne e dalle altre forze vitali. Questa domanda si è fatta sentire a Londra, a Madrid, nei comuni italiani e ai referendum. Soffia un vento innovatore e se non riuscirà a far avanzare cose nuove, si abbatterà furiosamente sulle vecchie”.
Anche Bruxelles quindi è arrivata in ritardo?
“L’Unione si sta spegnendo tra l’impotenza delle sue istituzioni e i rattoppi della banca Centrale. Si rialzano le barriere dei nazionalismi. Possono cadere nel vuoto gli angosciati richiami di Napolitano o quello lanciati proprio su Repubblica da Delors?”.
A cosa si riferisce?
“Ci vuole poco a capire che la caduta dell’Euro trascinerebbe anche il dollaro, spezzando le gambe in un solo colpo tanto alle economie quanto alle democrazie dell’Occidente. E in quel caso che se ne farebbe la Signora Merkel di un nuovo marco enormemente sopravvalutato sul dollaro e perciò incapace di sorreggere le esportazioni tedesche?”.
Il problema però è l’Italia non la Germania. Proprio la Merkel ha iniziato a paragonarci alla Grecia.
“E infatti dobbiamo renderci conto che siamo nell’occhio del ciclone e che in giro cominciano a guardarci male, come non era mai avvenuto. Siamo diventati, direbbe Montale, “l’anello che più non tiene”, quello che, cedendo, può spezzare la catena dell’Euro e dell’Ue. Su questo avverto silenzi e sottovalutazioni preoccupanti”.
Visto il balletto delle modifiche alla manovra la sottovalutazione è del governo.
“Lo stesso videogioco citato da Tremonti ci dice che i mostri sono tutti in agguato. Non basta però riconoscere la verità, bisogna dichiararla apertamente ai cittadini prima di chiedere loro sacrifici e collaborazione. Ma la diffusa convinzione che le elezioni anticipate sono alle porte ha fatto cedere il passo al calcolo elettorale. A parte i tentativi di Casini e pochi altri, c’è stata la sostanziale riluttanza dei gruppi maggiori a cercare intese impegnative sui grandi problemi”.
E lei convinto che non ci saranno le elezioni anticipate?
“Sarebbe una sciagura. Ci esporrebbe alla speculazione internazionale. Con questa elegge elettorale, poi, e la questione morale tristemente estesa da un polo all’altro, ci ritroveremmo con un Parlamento più screditato, più diviso e più ingovernabile”.
In che modo allora si può rimettere in piedi la casa bruciata?
“Non con le urne. Prima viene la crisi, poi la competizione elettorale. La durezza dei mercati ci impone oggi di rafforzare chiaramente la manovra finanziaria e di approvarla velocemente. Ma subito dopo bisognerà fare appello a tutte le energie disponibili e a tutte le persone di buona volontà per dare maggiore autorevolezza e credibilità politica al nostro Paese. Bisogna ritrovare l’etica della responsabilità. Non c’è tempo da perdere. È questione di settimane, forse di giorni”.
Vuol dire che questo governo non può affrontare l’emergenza?
“Da sola questa maggioranza non è più in grado di evitare il tracollo e riaprire la via dello sviluppo: i fatti sono molto più grandi dei suoi numeri in Parlamento. Però è tutta la politica che deve cambiare passo, respiro, visione, insieme ai gruppi dirigenti delle organizzazioni economiche e sociali. Bisogna cambiare”.
Quindi Berlusconi dovrebbe dimettersi per consentire la nascita di un nuovo esecutivo? Una coalizione di larghe intese?
“Se Berlusconi è una parte del gigantesco problema che il Paese ha davanti, sarà anche parte della soluzione che dobbiamo trovare. E una soluzione va trovata. Un patto di fine legislatura tra tutti i parlamentari di buona volontà per salvare il Paese e rimetterlo in cammino”.
Napolitano ha avvertito che fino a quando questo governo ha la maggioranza, lui non può intervenire. E difficilmente Berlusconi rassegnerà volontariamente le dimissioni. Lei che percorso immagina?
“Conosco bene le difficoltà. Penso a un’iniziativa vasta che non prenda di mira nessuno e non escluda nessuno. Che nasca all’insegna dell’emergenza. Le Camere e il Paese trovino il modo di avanzare una proposta unitaria. A fine legislatura poi ciascuno si presenterà agli elettori con i propri impegni e meriti o demeriti”.
E in questo progetto potrebbero entrare tutti? Sia il Pdl sia il Pd?
“Certo, tutti”.
Molti indicano in Mario Monti la persona più adatta per guidare un governo di questo tipo. Lei d’accordo?
“Io penso che serva una figura dotata di credito internazionale e in grado di interloquire positivamente con il Parlamento”.
Si tratterebbe dunque di un gabinetto tecnico?
“In una democrazia parlamentare tutti i governi sono politici. Chiunque lo presieda deve comunque contare sull’autorevole presenza di tutti gli schieramenti. Ma dobbiamo essere veloci”.
Perché è così preoccupato dai tempi?
“Non vorrei che in questo autunno pieno di insidie l’idea del patto unitario si imponesse brutalmente sotto la sferza dei mercati, delle istituzioni internazionali o, peggio, delle piazze in rivolta”.
(07 settembre 2011)
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Formigoni: “Berlusconi si ritiri entro Natale, così si rivince”
La proposta riportata da Repubblica ma lui poi precisa: mi hanno frainteso. E intanto attacca anche la Minetti Un passo indietro prima di Natale per consentire al centrodestra di rivincere le elezioni. Roberto Formigoni ha lanciato la sua proposta per il rilancio del Pdl chiedendo al premier Silvio Berlusconi di annunciare pubblicamente che non si ricandiderà alla fine della legislatura. “Un discorso che io definisco a reti unificate per annunciare che non intende ricandidarsi alla carica di primo ministro”, fa sapere il presidente della regione Lombardia, secondo quanto riportato in un articolo di Repubblica, che però ha poi raddrizzato il tiro con una nota nella quale dichiara che le sue posizioni sull’argomento sono state stravolte.
“Il mio pensiero su Silvio Berlusconi, il Pdl e sulle mie aspirazioni è molto chiaro e ho avuto modo di spiegarlo in questi giorni in alcune interviste e dichiarazioni ufficiali”, ha detto il presidente lombardo precisando anzitutto che “Berlusconi è il leader del Pdl e del centrodestra e il solo pensiero di sue dimissioni in un momento cosi complesso della politica e dell’economia internazionale è fuori di ogni razionalità e procurerebbe gravi danni al Paese”.
Formigoni sostiene poi che il “Pdl ha imboccato la giusta strada di un rinnovamento profondo con l’elezione di Alfano a segretario politico nazionale, la scelta del metodo dell’elezione diretta dal basso dei segretari politici locali e la scelta di elezioni primarie per le cariche elettive”. La sua ambizione, conclude, è “quella di contribuire al processo di rinnovamento del mio partito, ancorandolo sempre più alla nostra base elettorale e ai valori del Ppe. Non è dunque l’articolo di Repubblica a pagina 14 che può pretendere di stravolgere queste mie posizioni e queste mie convinzioni chiaramente espresse”.
Nell’articolo Formigoni aggiungeva invece: “Nel nostro elettorato più ancora della vicenda Ruby ha pesato il caso della Minetti. Chi poteva sapere che la candidata alla regione Lombardia non era solo una protagonista di ‘Colorado Cafè’? Gli elettori moderati sono rimasti colpiti per il fatto che Minetti la stiano pagando i contribuenti“. Un’ultima battuta è dedicata al federalismo: “Penso a un’unica macroregione con Piemonte e Veneto, insomma la Padania. Voglio proprio vedere se Cota e Zaia avranno il coraggio di dirmi di no”.
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