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Prove di tortura Nocs: sulle reclute

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Violenze nella caserma dei Nocs, sindacati di polizia sorpresi: non ci risulta

di Paolo Salvatore Orrù

Il rito dell’“anestesia” consiste nel colpire una vittima in un punto del corpo sino a renderlo insensibile al dolore per poi strappargli la carne (in genere da un gluteo) a morsi. Un cerimoniale mafioso, una consuetudine della camorra o un rituale della ‘Ndrangheta´? Molto più semplicemente, secondo la denuncia shock di un agente, una prassi comune negli ambienti del Nucleo operativo centrale di sicurezza (Nocs). Il fatto, denunciato da Repubblica, riconduce ai tempi della “naia schifosa”, quando le reclute erano anestetizzate a “pompate” (flessioni) e secchiate d’acqua gelida (il battesimo) dai “nonni cattivi” o dal “capo stecca”.

Innocenti, si diceva allora, scherzi da caserma che qualche volta però degeneravano: la cronaca registrò anche il caso di un militare costretto, perché con un cognome di origine ebraica, a “fare il cane” e ad abbaiare attaccato con fune e guinzaglio alla branda di un “fantasma” (congedante): accadde in una caserma di Livorno nel 1981, la scioccante notizia fu riportata a lettere cubitali dal quotidiano il Tirreno. Cose da burbe d’antan, fatti che con la professionalizzazione dei militari non sarebbero più dovuti succedere.

La denuncia dell’ex Nocs è corredata da foto, immagini, audio e video. I documenti, sono nelle mani del pm Elisabetta Ceniccola, parrebbero dimostrare che nel reparto d’elite della polizia vige una sorta di regime del terrore: davvero strano in un’istituzione che già da qualche tempo può contare sul sostegno delle libertà sindacali (precluse – invece – ai cittadini in grigioverde). E in effetti, le associazioni di categoria sono concordi nell’affermare di essere state colte di sorpresa dalla notizia. “Conosco piuttosto bene la struttura e il personale di Spinaceto: nessuno ci ha mai prospettato una simile situazione di sofferenza. La denuncia del collega é grave: spero che la magistratura chiarisca al più presto la vicenda”, commenta Domenico Pianese, segretario generale aggiunto del sindacato indipendente della Polizia di Stato (Coisp).

Dispiace costatare che chi è riuscito a farsi conoscere a livello internazionale con la liberazione del generale di brigata dell’esercito degli USA, James Lee Dozier, sequestrato da un gruppo di terroristi delle brigate rosse (era il 28 gennaio 1982), possa essere implicato in questi atti di violenza e prevaricazione. Soprattutto dispiace pensare che chi sia a conoscenza di fatti simili preferisca rinchiudersi in un ostinato “mutismo e rassegnazione”: anche questa è omertà. “Stento a crederci: mi sembra strano che fra i Nocs, fra gli uomini di un reparto che agisce il più delle volte in squadra, possano succedere cose simili”, conclude Pianese.

Il numero dei membri del Nocs è un segreto di Stato, ma gli esperti sostengono che a essere operativi siano non più di un centinaio di agenti: l’unità si compone di tre (c’è chi dice due) sezioni operative. “Nelle caserme, anche in quelle di polizia, molto spesso si preferisce lavare i panni sporchi in famiglia: il sistema, insomma, si regge non sui valori fondanti l’istituzione ma su altri, che non possono essere quelli di un corpo spesso chiamato all’azione per la tutela di uno Stato democratico”, sostiene Luca Marco Comellini, segretario del partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm).

Storie di violenza, il pane quotidiano per molte reclute. “Che le violenze siano psicologiche o che riguardino l’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto non fa differenza in un mondo – quello delle divise – dove spesso vige la regola del “non vedo non sento e non parlo perche voglio campare tranquillo”, commenta ancora Comellini. Se chi indossa un’uniforme si rendesse conto che il raggiungimento degli obiettivi e il perseguimento dei fini istituzionali si ottiene anche e soprattutto con l’eliminazione delle “mele marce” allora le cose potrebbero iniziare a cambiare in meglio e la disciplina diverrebbe uno stile di vita e non più un’arma di repressione”. Occorre, dunque andare oltre l’antico ritornello: “Faccio i c …. miei e campo cent’anni tranquillo”.

Aspetta con fiducia l’esito delle indagini della magistratura Michele Alessi, segretario nazionale della SIULP Cgil: “Non credo che Spinaceto accadano queste cose. Sono più propenso a pensare a una strumentalizzazione: c’è chi approfitta di queste situazioni per avere visibilità. Mi preoccupano più i tagli alla sicurezza voluto dal governo in carica”, conclude il sindacalista della Cgil.

15 settembre 2011

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Trent’anni fa, invece… Le foto di Cesare Di Lenardo

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