Un “veterano” del movimento a cui chiedo di esprimere un giudizio sull’assemblea che si è appena conclusa al Teatro Ambra Jovinelli di Roma mi spiazza con una valutazione piuttosto originale: “questo è un evento che segna una rottura e un inizio”. Perché rottura e quale inizio? “La rottura è quella di un tabù sul fatto che le imposizioni dell’Unione Europea, come quelle della Banca d’Italia, nel nostro paese non vengono mai messe in discussione, neanche nella sinistra; l’inizio sta nel fatto che soggetti piuttosto differenti si sono riuniti e, miracolo, si sono dati cinque punti di un programma su cui proseguire”. Il mio interlocutore di assemblee così ne ha visto e fatte decine ma, confessa, raramente sono andate oltre la loro conclusione o la prima riunione di bilancio. “E’ la maledizione della frantumazione che ci perseguita”. Adesso, forse, i diktat della Banca Centrale Europea e una crisi economica e sociale che morde senza pietà lavoratori, disoccupati, giovani, donne, pensionati, immigrati stanno costringendo quelli che intendono “rompere” la normalizzazione del quadro politico e rimettere al centro il conflitto sociale, a guardarsi in faccia e a vedere come possono agire insieme per resistere e magari spostare un po’ in avanti la resistenza agli effetti antipopolari della crisi.
Il clima davanti all’Ambra Jovinelli è quello dei grandi eventi politici. Lo si intuisce dalla miriade di fogli, volantini, giornali, banchetti che assediano la sala dell’assemblea all’esterno e all’interno. Qualcuno sbuffa un po’ disperato, altri me lo danno come un indicatore positivo. Il teatro si riempie nella sala di sotto e poi nella galleria. I dipendenti del teatro faticano parecchio a convincere la gente a stare seduta, a non stare in piedi, ma la gente che è venuta qui dal Nord e dal Sud non è venuta per lo spettacolo, è venuta per capire se la proposta lanciata dall’appello “Dobbiamo Fermarli” può aprire effettivamente come annunciato “uno spazio politico pubblico” su cui far convergere le forze che intendono opporsi frontalmente a quella che Giorgio Cremaschi definisce più volte la schiavitù del debito. L’introduzione di Cremaschi è sorprendentemente calma e ponderata. Si sente tranquillo del fatto che la relazione introduttiva è stata distribuita in sala ed è il risultato di un lavoro comune dei promotori e quindi va a braccio. Ma il tono non è quello del dirigente sindacale che deve infiammare la platea, piuttosto è quello di un “leader politico” che snocciola i problemi e indica delle proposte su cui costruire un percorso con forze che sa diverse da lui e tra loro per esperienza, storie e posizionamento. Un piccolo miracolo c’è, in platea e sul palco si mischiano interventi (Tomaselli, Como) e presenza di attivisti della Rete 28 aprile-Cgil, della Fiom e della Usb. In realtà il “miracolo” c’era già stato ai cancelli di Pomigliano e Mirafiori dove erano stati gli unici a schierarsi apertamente per il No al diktat di Marchionne.
Ma quella dell’Ambra Jovinelli non è una assemblea sindacale e lo si capisce subito. Ci sono infatti soggetti politici e movimenti sociali con priorità diverse che vanno ricomposte. Giorgio degli universitari di Atenei in Rivolta snocciola nei cinque minuti previsti per gli interventi le conseguenze dei tagli sull’università che l’hanno trasformata in una ambizione quasi elitaria. Parla Di Vetta di Roma Bene Comune insistendo su reddito e precarietà come temi dirimenti, parla una attivista del movimento No Tav, ma subito dopo c’è Mauro Casadio della Rete dei Comunisti. La No tav racconta della lotta in corso e della necessità di tenere duro intorno alla Val di Susa e alla “libera Repubblica della Maddalena”. Il secondo pone il problema di come organizzare concretamente il conflitto e il blocco sociale per ridargli la rappresentanza politica che da anni gli viene negata. In apparenza linguaggi diversi ma il nesso tra le due esigenze appare ormai evidente.
Interviene il Forum Ambientalista (Pisacane), il Forum Diritti-Lavoro (Russo), i quali, mi dicono, sono in qualche modo l’onda lunga dei social forum degli anni passati. Il vincolo europeo viene individuato come il nodo da abbattere per aprire spazi di democrazia e di giusizia sociale. C’è poi c’è la nota abilità oratoria di Ferrando del Pcl e la verve polemica di Flavia D’Angeli (sinistra Critica) che adombra il rischio che i soggetti politici organizzati sovradeterminino i movimenti sociali. Un rischio che appare però piuttosto fuori tempo visto che oggi i partiti e le organizzazioni politiche della sinistra sembrano dimostrare una scarsa o scarsissima influenza sui movimenti sociali. Cinque anni fa poteva essere così ma oggi è un rischio piuttosto difficile da percepire ed anche un po’ curioso che venga sottolineato da chi, almeno da quanto risulta, è ancora un soggetto politico organizzato come gli altri.
Nella discussione interviene anche Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista, è un intervento sobrio che annuncia un interesse per il programma annunciato all’Ambra Jovinelli, il rischio dice Ferrero è quello però che poi “quando arrivano le elezioni si smonti tutto quello si è costruito”. Un consiglio che non si capisce se è diretto a chi è in sala o allo stesso Prc per il quale le elezioni sono diventate una vera e propria dannazione. Sinistra Popolare, affida ad un giovane (Mustillo) il compito di riaffermare che con il Pd non c’è alcuna possibilità di alleanza. Grassi (il mio vicino mi spiega però che non si tratta del dirigente del Prc ma di un esponente della corrente Falcemartello dentro il Prc) si sofferma sulla questione operaia e soprattutto sulla vertenza dell’Irisbus da cui trarre lezione. Francesco dei precari della scuola insista sulla territorializzazione del movimento e sulla convergenza dei vari settori impegnate nelle lotte.
A rendere più chiaro dove ci si unisce e dove ci si divide è la famosa lettera della Bce al governo italiano. Lo afferma Cremaschi lo ribadiscono molti interventi: chi intende respingere al mittente quella lettera è un nostro alleato, chi intende sostituire Berlusconi per attuare le indicazioni di quella lettera è nostro nemico. Il riferimento al Pd è chiaro. Enrico Letta lo aveva detto giovedì: “Un futuro governo non può che partire da quando indicato nella lettera della Bce”. Le chiacchiere e le illusioni stanno a zero.
In sala, prima che iniziasse l’introduzione era stata diffusa la voce profonda di Andrea Camilleri che è tra i firmatari dell’appello. Anche lui non esita ad affermare che il debito che arricchisce solo le banche non deve essere pagato. E dopo Camilleri sarà il turno di Giulietto Chiesa o del messaggio di padre Zanotelli che invita a dare battaglia per tagliare le spese militari. Un anziano ferroviere (Gallori) tiene la sala alla grande e raccoglie ovazioni raccontando la sua storia di sindacalista costretto a “mettersi in proprio”. Jacopo Venier, direttore di Libera Tv, che ha trasmesso indiretta streaming tutta l’assemblea, insiste invece sul tasto della libertà di informazione e della rete di fronte alle misure restrittive del governo. Evoca i Pirati che si sono imposti nelle recenti elezioni a Berlino. C’è spazio anche per il Popolo Viola che si dice interessato alla campagna contro il pagamento del debito e alla questione democratica sollevata nell’appello Dobbiamo Fermarli.
L’assemblea si conclude con la lettura di un breve documento che riassume i cinque punti del programma e le idee sul come procedere nelle prossime settimane: assemblee e comitati locali per approfondire i cinque punti, partenza della campagna “Noi il debito non lo paghiamo” con una petizione e una azione capillare, nuova assemblea nazionale a dicembre per resocontare e dare protagonismo ai comitati locali. Infine un appuntamento che mette d’accordo tutti: il 15 ottobre tutti in piazza insieme con uno striscione e uno spezzone comune di quelli che il 1 Ottobre si sono riuniti all’Ambra Jovinelli, quelli che “intendono rimandare al mittente la lettera della Bce” e mandare a quel paese coloro che intendono attuarla.
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