Bambini a pane e acqua perché i genitori non pagano la retta: dopo il Veneto la pratica arriva in Piemonte e Lombardia
di Gianni Trovati
Non bastava il caso di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, che l’anno scorso era salito alla ribalta della polemica nazionale per la decisione del sindaco di lasciare a pane e acqua a scuola i figli delle famiglie non in regola con il pagamento della retta. L’idea di bambini che sbocconcellano un pezzo di pane mentre il compagno di banco mangia pastasciutta, hamburger e insalata aveva mobilitato i partiti di opposizione alla Giunta leghista, la Caritas, i consumatori.
Con scarso successo, perché in questi giorni l’idea è tornata in auge a Galliate, 15mila abitanti alle porte di Novara, dove per combattere la morosità e l’evasione il sindaco Davide Ferrari ha deciso di mettere in pratica lo stesso sistema. Anche qui, polemica (per ora solo locale) con l’opposizione alla Giunta di centrodestra, con tanto di grida del consigliere comunale dell’Idv che viene allontanato dall’Aula del consiglio per «intemperanze».
Più che politica, però, la questione è di buon senso, perché nessuno schieramento può dirsi immune dal vizietto del rigore a danno dei bambini invece che degli adulti non paganti. Lo sanno per esempio a Cesate, in provincia di Milano, dove il Comune di centrosinistra ha deciso che i figli dei morosi hanno diritto solo a un panino e un succo di frutta. Senza sforzarsi di capire se l’acqua è di destra e il succo di frutta di sinistra, c’è solo da notare che sono almeno una decina i casi (noti) di gruppi di bambini messi a dieta forzata dal sindaco perché i genitori non hanno voluto o potuto pagare la retta della mensa (intorno a Milano è accaduto anche a Pessano e Concorezzo, per esempio).
I propugnatori di questo sistema rivendicano l’efficacia del meccanismo anti-evasione. A Montecchio Maggiore il Comune ha appena fatto i conti e ha scoperto che quest’anno il tasso di mancati pagamenti è crollato e praticamente tutti i 651 bambini iscritti alla refezione hanno i conti in regola. L’anno scorso, in realtà, il servizio era offerto a 800 bambini ma le defezioni, ha assicurato l’assessore al Bilancio al Giornale di Vicenza, sono dovute a «motivi familiari».
A Galliate il sindaco invita sulla propria pagina Facebook a «dirla tutta», e spiega di «aver scoperto gente con tre cellulari che non si faceva trovare sapendo di avere 600 euro di debito», o addirittura di aver ricevuto «una persona venuta a chiedere aiuti perché non aveva soldi per pagare le bollette tra cui l’abbonamento a Sky». Certo, il campionario delle «colpe dei padri», in un Paese in cui l’evasione fiscale rimane una pandemia a tutti i livelli, è ricco, ma già i Greci (quelli antichi) avevano capito che queste non devono «ricadere sui figli». Una via alternativa per i Comuni ci sarebbe, e passerebbe attraverso controlli serrati e attività di riscossione efficaci. A meno che, mentre la manovra estiva chiama i sindaci a collaborare contro l’evasione fiscale attraverso una rete sempre più fitta di incroci telematici di banche dati, si finisca per scoprire che il mezzo più efficace è tagliare i viveri ai figli degli evasori.
da Il SOle 24 Ore
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