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15 ottobre, anche i media si mobilitano

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da “il manifesto”

Angelo Mastrandrea
LA SFIDA

Chi avrà più il coraggio di agitare il vessillo del conflitto generazionale, se oggi tutto andrà come previsto? Se la seconda superpotenza mondiale farà il suo ritorno in campo sotto le bandiere dell’indignazione? Un giorno saremo costretti a render merito a un giovane, novantatreenne, mite partigiano tedesco deportato a Buchenwald e arruolato nella Resistenza francese, per aver lanciato l’urlo decisivo che ha unito un’intera generazione in cerca della parola per affrontare la crisi dal verso giusto. L’indignez vouz di Stephane Hessel è rimbalzato da un lato all’altro del pianeta, dal Cile a Madrid, sobillando l’onda tellurica che covava fin dall’inizio della Grande Recessione globale.
Un sisma che oggi, 15 ottobre 2011, potrebbe sfociare in una giornata da ricordare: quella della prima risposta popolare globale alle politiche (dei governi e delle istituzioni sovranazionali) che scaricano i costi della crisi sui ceti medio-bassi e sulle nuove generazioni, proteggendo i principali responsabili: banche e finanza. Dieci anni dopo Genova, si aspetta il battesimo di un nuovo movimento che sogna un altro mondo possibile ma che stavolta non pensa sia così a portata di mano come si credeva allora, nonostante le alternative che basterebbe vedere e praticare.
In Europa la posta in gioco è particolarmente importante, riguarda la possibilità di invertire la rotta indicata dal duo Merkel-Sarkozy e dalla Banca centrale: l’austerity che sta azzerando diritti e stato sociale in tutto il continente. Viceversa, avanza l’idea di un’Europa sociale e includente, un orizzonte aperto, oltre le proprie frontiere.
Alle nostre latitudini, c’è un di più che si chiama Silvio Berlusconi. Ormai accerchiato e sostenuto solo da un manipolo di fedelissimi, ieri ha ottenuto l’ennesima risicata fiducia in un Paese stanco, sfiduciato. Buttarlo giù non sarà facile, e anche il dopo non sarà un pranzo di gala.
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Luca Fazio MILANO
MILANO Gli studenti prendono di mira i luoghi simbolo del capitalismo, da Fininvest a Goldman Sachs
Come antipasto uova strapazzate contro le banche

MILANO
Nella città più ricca d’Italia – e chissà mai che qualcuno se ne ricordi quando si dirà costretto a tagliare servizi ai cittadini – ci sono 1.171 banche. Belle vetrine e spazi che col tempo sono stati trasformati in luoghi sempre più aperti ed accoglienti, un raffinato restyling su larga scala con la coda di paglia. Perché lì sta il problema, ed è sempre stato sotto gli occhi di tutti. Colpisce però la facilità con cui adesso viene «segnalato» a colpi di uova e vernice, e quasi senza reazione alcuna. Gli istituti bancari, come minimo, saranno costretti a mettere a bilancio le spese di ripulitura di vetrine e facciate.
Se le manifestazioni studentesche milanesi finiscono sempre con una frittata sulle banche e nessuno si stupisce più di tanto, significa che il messaggio è pronto per essere recepito anche da chi non è abituato a fare casino in piazza. «E’ ormai palese a tutti che questo modello economico ha fallito e i giovani della debt generation si stanno ribellando in tutto il mondo contro il potere finanziario e contro i governi complici e parte di questo sistema», scrivono i Collettivi studenteschi che ieri per la seconda volta in una settimana hanno cercato di imbrattare i simboli del capitalismo, compreso quello più impresentabile di tutti, «Ma quale fiducia, cacciamo il Rais». E quell’1% che non sente la crisi (visto che tutto il mondo sembra essersi reso conto che We are 99%) oggi si presenta con la faccia smarrita e preoccupata di quel dipendente della Goldman Sachs che ieri in piazzetta Bossi ha cercato inutilmente di parare qualche chilo di spazzatura. E’ finita con un fitto lancio di verdura marcia anche davanti alla sede della Fininvest di Berlusconi presidiata da una polizia tutto sommato piuttosto paziente, «Not our premier-Spegni la Tv, accendi la rivolta».
E la scuola? I ragazzi e le ragazze certamente manifestano anche contro i tagli e gli strafalcioni del ministro Gelmini – «Save School not Banks» – ma lo sguardo questa volta sembra rivolto a un futuro che per loro ormai non si gioca più solo sui banchi di scuola. Gli studenti quest’anno scendono in piazza con il loro «Antibanks Tour», e per ora le manifestazioni hanno la forza di un’azione puramente simbolica che sta lasciando il segno e lanciando un segnale, l’hanno scritto e incollato sui vetri dell’Unicredit e di altri istituti bancari: «Pericolo sociale». Come dire che quelli socialmente pericolosi, comunque vada a finire la giornata di oggi e quelle a venire, sono i ricchi – per dirla come una volta – che questa crisi l’hanno creata.
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Paolo Gerbaudo LONDRA
QUI LONDRA
La Borsa o la vita, l’obiettivo è la City
«Il London Stock Exchange deve essere riportato sotto il nostro controllo»

LONDRA
«When America sneezes Britain catches the cold» (quando l’America starnutisce la Gran Bretagna si busca un raffreddore) recita un proverbio che ben condensa la vicinanza tra due paesi separati dall’Oceano Atlantico, ma uniti dal passato coloniale e da una stretta alleanza diplomatica e militare. Questa volta lo starnuto che arriva dal nuovo continente è quello della rabbia contro la politica di austerità e quello della passione e determinazione dei manifestanti di #OccupyWallStreet che da quasi un mese presidiano il distretto finanziario di New York.Se la Gran Bretagna si è davvero presa un raffreddore anti-finanza lo si vedrà quest’oggi quando migliaia di manifestanti prenderanno di mira il London Stock Exchange, la quarta più grande piazza d’affari al mondo, e la prima in Europa, con una capitalizzazione di oltre 3 trillioni di dollari. 13.618 utenti facebook hanno promesso che scenderanno in piazza, sulla pagina dedicata alla protesta. L’appuntamento è per mezzogiorno davanti alla cattedrale di Saint Paul. «Se non fosse stato per le proteste di Occupy Wall Street, credo che qui la gente non si sarebbe mossa», ammette Mark Barrett, uno degli agitatori che ha dedicato gli ultimi mesi a cercare di importare il fenomeno indignados oltremanica. «In molti a sinistra mi ripetevano che non era possibile fare come gli spagnoli o gli egiziani qui nella fredda Londra. Ma adesso che i cugini americani si sono mossi non ci sono più alibi».
Perché occupare la Borsa di Londra?
Il modo in cui siamo arrivati a questa scelta è un esempio della maniera democratica con cui funziona questo movimento. Molti tra quelli che fanno parte del gruppo di coordinamento del 15 ottobre a Londra pensavano inizialmente ad una protesta a Parliament Square o di fronte alla Banca di Inghilterra, come nel 2009. Però a dire il vero erano opzioni un po’ scontate, anche perché erano obiettivi già battuti ampiamente in occasioni precedenti. Poi è venuta autonomamente fuori una pagina facebook che proponeva invece di puntare sullo Stock Exchange. La cosa ha immediatamente riscosso successo sui social media e abbiamo deciso di sposare la proposta. La Borsa incarna tutto ciò che va male nella nostra economia. È la nostra Wall Street, un posto che ci controlla e che deve essere riportato sotto il nostro controllo.
Democrazia reale è la parola d’ordine di questa ondata di movimenti. Tu come come intendi in concreto questa domanda?
Democrazia reale per noi è prima di tutto democrazia assembleare. Le assemblee sono un punto di confluenza, una sorgente di potere, una proto-istituzione, o una «istituzione del comune» come forse la chiamereste voi italiani. Questo è il punto di partenza: tornare a fare politica dal basso. Ma noi vogliamo pure riformare le istituzioni dello stato così come hanno fatto tante generazioni di attivisti nel passato, come i popolani che hanno costretto il re ad emanare la Magna Charta, come i Levellers e i Diggers del 1600 che si opponevano all’emergere del capitalismo nelle campagne, come le suffragette e gli attivisti socialisti che hanno conquistato il suffragio universale. Ora tocca a noi continuare quel percorso di emancipazione e costruire una democrazia de-centralizzata e radicata nelle comunità.
Il successo degli indignados da Puerta del Sol a Wall Street suggerisce come in molti paesi il disincanto verso il neoliberalismo sia oramai maggioritario. E in Gran Bretagna?
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescente insofferenza delle persone di fronte a un sistema delegittimato. La crisi finanziaria e gli scandali politici degli ultimi mesi, dal caso Murdoch alle recenti accuse contro il ministro della difesa Liam Fox, stanno svelando che tra i politici non c’è nessuno capace di rappresentare le domande della popolazione. Ora tocca a noi attivisti saper attingere a questa ampia ondata di dissenso. E per fare questo bisogna smetterla con l’autoindulgenza e i comportamenti infantili che in passato ci hanno rinchiuso in un ghetto minoritario. Non è un caso che gli indignados spagnoli abbiano vietato l’alcool nei propri campeggi di protesta. È una regola semplice che manda un segnale di serietà ai media come alla gente che ci vede per strada.

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Slavoj Zizek
DISCORSO
Il comunismo che vogliamo? I beni comuni

Il tabù è stato infranto, non viviamo nel migliore dei mondi possibili, abbiamo il permesso, persino l’obbligo di considerare delle alternative. La strada davanti a noi è lunga, e presto dovremmo confrontarci con le domande veramente difficili – domande che riguardano non quello che non vogliamo, ma quello che vogliamo. Quale tipo di organizzazione sociale può prendere il posto dell’attuale capitalismo? Di quale nuovo leader abbiamo bisogno?
(…) Diranno che siamo violenti, che il nostro linguaggio, l’occupazione stessa, sono violenti… Sì siamo violenti, ma come lo era il Mahatma Gandhi. Siamo violenti perché vogliamo fermare l’attuale corso delle cose – ma cos’è una violenza puramente simbolica quando paragonata alla violenza necessaria per sostenere il funzionamento indisturbato del sistema capitalistico globale?
Ci hanno chiamato perdenti. Ma i veri perdenti non sono quelli che a Wall Street hanno dovuto essere soccorsi da centinaia di miliardi di denaro vostro? Vi chiamano socialisti – ma in Usa c’è già un socialismo, per i ricchi. Vi diranno che non rispettate la proprietà privata. Ma le speculazioni di Wall Street che hanno portato al crash del 2008 hanno eliminato più proprietà privata di quella che potremmo distruggere noi se ci mettessimo, tutti insieme, giorno e notte. Pensate alle migliaia di case confiscate…
Non siamo comunisti, se per comunismo si intende il sistema giustamente collassato nel 1990 – basta ricordare che i comunisti ancora al potere tengono le redini del capitalismo più spietato. Anzi, il successo del capitalismo gestito dai comunisti in Cina è proprio il segno incombente di come il matrimonio tra capitalismo e democrazia sia sulla strada del divorzio. L’unico senso in cui siamo comunisti è che teniamo ai beni comuni – della natura e della conoscenza – minacciati dal sistema.
Vi diranno che state sognando, ma i veri sognatori sono coloro che pensano che le cose possono andare avanti indefinitamente come sono, con qualche cambiamento di superficie. Non siamo dei sognatori, ma rappresentiamo il risveglio da un sogno che si sta trasformando in incubo. Non distruggiamo nulla, ma siamo i testimoni di come il sistema si stia gradualmente distruggendo. (…) Ma il cambiamento è veramente possibile ? Il possibile e l’impossibile, oggi, sono distribuiti in modo strano. Nei domini delle libertà individuali e della tecnologia scientifica, l’impossibile sta diventando gradualmente sempre più possibile (o così ci dicono). «Nulla è impossibile»: possiamo goderci il sesso nelle sue versioni più perverse; possiamo fare il download di interi archivi di musica, film e serie tv; chiunque abbia i soldi può viaggiare nello spazio; possiamo aumentare le nostre capacità fisiche e psichiche intervenendo sul genoma… Fino al sogno tecno-agnostico di diventare immortali trasformando la nostra identità in un programma di software. Ma nei domini delle relazioni sociali ed economiche siamo costantemente bombardati da «Non si può»… Non si può impegnarsi in gesti politici collettivi (perché portano inevitabilmente allo spettro del totalitarismo), o difendere il vecchio Stato sociale (perché ci rende non competitivi e porta alla crisi economica). Oppure ci dicono semplicemente che «bisogna fare così». Forse è venuto il momento di capovolgere le coordinate di quello che è possibile e impossibile. Forse non possiamo diventare immortali ma possiamo ottenere più solidarietà reciproca, e l’assistenza sanitaria.
* Testo tratto dal discorso tenuto qualche giorno fa ai manifestanti di Zuccotti park, a New York

da “il manifesto” del 15 ottobre 2’011
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da La Stampa

Indignati in piazza, Roma blindata

Tensioni a Roma e a Milano e una mobilitazione nazionale per la quale sono annunciate 100 mila persone a Roma in occasione della ’giornata della rabbià. Sale la temperatura delle proteste in attesa del corteo degli indignati che domani sfileranno in una Capitale blindata, dove si cercherà di scongiurare il rischio del ripetersi degli episodi dello scorso 14 dicembre, quando si scatenò nella città una vera e propria guerriglia urbana.

Oggi a Roma gli studenti hanno improvvisato un corteo raggiungendo piazza Montecitorio e dopo la notizia dell’esito delle votazioni sulla fiducia al governo hanno lanciato uova contro la Camera. Poi hanno bloccato via del Corso seduti in strada per alcuni minuti. A Milano, invece, hanno sfilato duemila persone e una ventina di studenti hanno tentato di entrare nella sede meneghina della banca americana Goldman Sachs: hanno lanciato ortaggi e sacchi di immondizia dopo essere stati respinti da alcuni dipendenti.

Alcuni momenti di tensione si sono verificati anche con la polizia che presidiava la sede della Fininvest. Un crescendo di proteste che si spera non culmini nel corteo di domani a Roma dove sono attese – secondo gli organizzatori – oltre 100 mila persone da tutta Italia, provenienti da 50 province diverse. Venti pullman sono previsti solo da Napoli. Il corteo di domani partirà intorno alle 14 da piazza della Repubblica, passando per via Cavour, i Fori Imperiali, via Labicana, fino a raggiungere piazza San Giovanni. E alla manifestazione parteciperanno anche alcuni politici, come il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, e l’ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti. In testa ci saranno i rappresentanti di varie realtà sociali in lotta, dai precari ai cassaintegrati. A seguire anche esponenti dei centri sociali, movimenti e studenti.

Tra di loro c’è il rischio che possano infiltrarsi alcuni “specialisti” dei tafferugli, come alcuni ultras che potrebbero agire a volto coperto creando tensioni. I manifestanti non escludono comunque blitz a sorpresa e deviazioni annunciando una mobilitazione permanente con degli accampamenti, tipo tendopoli, nei luoghi simbolo della città, come i Fori Imperiali. La questura di Roma si prepara ad affrontare quindi una giornata difficile e delicata. Oggi il questore di Roma, Francesco Tagliente, ha firmato un’ordinanza per garantire la sicurezza della città, domani. È previsto un dispositivo «ad assetto variabile», in continua evoluzione a seconda del cambiamento degli scenari volta per volta. Potrebbero essere circa 1.500 gli uomini delle forze dell’ordine impegnati. È stato elaborato per l’occasione un «modulo operativo aperto», per consentire la flessibilità e la rapidità dello spostamento dei mezzi e degli uomini delle forze dell’ordine così da assicurare la dinamicità e l’efficacia delle risorse impiegate anche di fronte ad eventi imprevedibili.

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