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Ma vogliamo parlare veramente di tasse?

Il blitz delle Fiamme Gialle a Cortina d’Ampezzo continua a suscitare polemiche ben al di sopra del senso di realtà. Il fatto che siano stati effettuati controlli sugli scontrini all’uscita dei negozi di un location d’elite per le vacanze dei ricchi, ha visto la isterica reazione non solo del Pdl ma anche di commentatori come Pigi Battista sul Corriere della Sera. Tutti lì a denunciare lo Stato intrusivo che opprime fiscalmente gli ostentatori deigli status symbol della ricchezza. Il dettaglio che quasi duecento delle macchine di lusso intercettate fossero di proprietà di società o di contribuenti che dichiarano meno di un bidello, viene passato come disdicevole ma fisiologico dai cultori del liberismo e della ricchezza come virtù strettamente individuale e intoccabile. Per costoro i tabù da rompere sono solo l’art.18, la licenziabilità facile, le pensioni di chi ha lavorato tutta la vita,i servizi sociali, il tabù della ricchezza – che continua ad essere irraggiungibile se si vive solo di lavoro e di stipendio – appartiene alla sfera dell’intangibile, anzi dei diritti acquisiti da parte dei più forti.

Ma una disamina onesta del sistema fiscale italiano, porta dritti alla conferma che anche davanti al fisco prevalgono le discriminazioni di classe con una storia, un presente e un futuro che vede il sistematico trasferimento di ricchezza dal lavoro alla rendita, anche sul piano dell’organizzazione delle imposte.

I dati della Banca d’Italia, ci dicono che l’Irpef raccolta dallo Stato nel 2010 è stata pari a circa 160 miliardi di euro. Di questi ben 120 provengono dai salari dei lavoratori dipendenti e dalle pensioni (erano 98 nel 2005), mentre quasi 13 provengono dai lavoratori autonomi, il resto dall’autotassazione. Il totale delle imposte dirette è pari a 213 miliardi, di questi solo 1 viene dalle imposte sui depositi bancari, meno di 5 dalle imposte sugli interessi sulle obbligazioni, mentre poco più di 1,4 miliardi vengono da plusvalenze, risparmio gestito e dividendi. In totale le imposte sulle attività finanziarie sono diminuite dagli 8,8 miliardi del 2005 ai 7,5 del 2010. Le imposte sul reddito delle società e delle imprese portano in cassa circa 37 miliardi (erano 33,7 nel 2005).

Alle imposte sul reddito gestite e “recuperate” dallo Stato centrale si sommano (e non si sostituiscono come hanno menato per l’aria tutti i sostenitori del federalismo) le imposte locali riscosse da Regioni e Comuni. L’Irpef regionale è passata dai 6 miliardi del 2005 ai 27,3 miliardi del 2010, mentre quella comunale è passata dagli 1,5 del 2005 ai 2,7 del 2010.

Si calcola che solo il 3,68% dei contribuenti abbia dichiarato un reddito da 55.000 euro in su. Ciò significa che più del 96% ha o dichiara un reddito inferiore. E’ chiaro che dentro questo 96% c’è anche evasione fiscale, ma ci sono soprattutto i quasi 16 milioni di lavoratori dipendenti e altrettanti pensionati. Eppure, come vediamo è proprio sui redditi più bassi – quelli da lavoro dipendente o da pensione – che il sistema fiscale recupera la maggioranza delle imposte. La conferma? Viene dagli ultimi provvedimenti del governo in materia fiscale. Ad esempio l’aumento delle aliquote Irpef applicate dalle regioni, sarà più forte sui redditi bassi e minore sui redditi più alti (vedi il Sole 24 Ore di oggi).

Infine occorre rammentare la struttura della ricchezza reale del paese (assai più consistente del Pil su cui vengono fatti spesso i calcoli per stabilire deficit etc.). Secondo queste fonti,la ricchezza sarebbe più o meno di 9mila miliardi di euro, di cui però solo il 4,9% è rappresentata da beni industriali, macchinari etc. mentre il 50% deriva da ricchezza immobiliare e il restante 45% da ricchezza finanziaria. In pratica il 95% della ricchezza del paese si basa sulla rendita parassitaria che deriva dal possesso di immobili o di cedole di titoli di stato,obbligazioni etc.

A questi dati dovremmo aggiungere anche un ragionamento sulle imposte indirette (tra cui l’Iva), un sistema che apparentemente colpisce tutti “equamente” ma con la sostanziale differenza che un’aumento dei prezzi e delle tariffe ha un effetto più pesante su chi dispone di potere d’acquisto minore rispetto a chi dispone di maggiori risorse. Il pieno di benzina alla pompa costa uguale per il precario del call center e l’operaio o per il trader o il manager, ma pesa assai diversamente sulla loro disponibilità economica. Non solo. Ci sono molti casi in cui i costi possono essere scaricati mentre per altri è impossibile. Ad esempio i rimborsi fiscali previsti nel 2011 sono diminuiti dai 10,7 miliardi del 2006 agli 8,7 miliardi di quest’anno. Ma nell’anno migliore per i rimborsi di imposte non dovute – il 2009 – su 14,6 miliardi di rimborsi, questi erano andati solo 1,5 alle famiglie, mentre 4,5 alle imprese e 8,6 ai rimborsi dell’Iva (restituzione di cui i lavoratori dipendenti non possono usufruire).

Il tormentone sull’evasione fiscale accompagnerà ancora per molto tempo la cortina fumogena mediatica dell’azione del governo Monti. Ma alla luce di questi dati, viene voglia di gridare e alzare le mani in due direzioni: la prima è indubbiamente verso i ricchi e i loro supporter che strillano come aquile quando li si va a disturbare a Cortina d’Ampezzo, la seconda è verso il governo Monti che continua a vendere il concetto di “equità” quando è evidente che si continua a usare la piuma verso i ricchi e la clava verso lavoratori e pensionati. Che Monti rappresenti questi interessi di classe non dovrebbe sorprendere nessuno, ma che qualcuno sia disposti a cadere come un “boccone” nella fuffa mediatica diffusa dai “bocconiani” è decisamente insopportabile. Ma perchè i governi dei ricchi continuano a usare i lavoratori e i pensionati come un bancomat sia sul piano salariale che su quello fiscale? Perchè sono i più numerosi è la ovvia risposta. Ma se sono i più numerosi perchè non cominciano a far sentire il loro peso reale sul piano dei rapporti di forza? E’ la risposta a questa domanda che fa la differenza tra noi e quelli che teorizzano, agevolano o prosperano sull’immobilismo nelle relazioni sociali.

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