Il nuovo testo completo che va (salvo modifiche dell’ultim’ora) all’approvazione del consiglio dei ministri
I giornali di regime parlano soltanto di tassisti e farmacisti, corporazioni allevate e coccolate per decenni che ora è stato deciso di buttare a mare come “non moderne”. La loro rivolta – a chicchere e clacson – viene per ora egemonizzata da destra, visto che lì che batte il cuore corporativo. Sono infatti molto lontani i tempi in cui più file di taxi aprivano i cortei del Pci.
La parte del leone la fanno comunque – in grande silenzio – le privatizzazioni. Traporti e servizi pubblici saranno obbligatoriamente messi all’asta, con il divieto di gestirli “in house”. In prima fila i trasporti pubblici locali, anche se il piatto più appetitoso – e per questo meno pubblicizzato – riguarda l’energia e le forniture essenziali. Anche l’acqua fa dunque parte del pacchetto, per la gioa di Matteo Renzi e altri affaristi con la tessera del Pd in tasca. Gioiscono leghisti e pidiellini, che potranno regalare a “cordate amiche” tutto quel che è profittevole, mentre resteranno a carico dei comuni soltanto le incombenze che comportano spesa.
Gioisce ovviamente Confindustria, che anelava a trovare nuovi campi di business visto che gli imprenditori italiani hanno già prosciugato quelli che frequentano da decenni. Del resto, da un capitalismo”bollettaro” come il nostro – gente abituata gestre posizioni di rendita, più che produrre merci “competitive” – non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso.
Siamo curiosi di sapere come farà il “custode della Costituzione”, Giorgio Napolitano, a giustificare l firma sotto un decreto che viola gli obblighi costituzionali imposti dal referendum che ha stabilità che l’acqua – e molti altri servizi essenziali – debbono rimanere di proprietà pubblica, anche nella gestione. Ma siamo certi solo di una cosa: che sarà capace di trovare una giustificazione anche oltre i limiti della logica costituzionale.
Questa lista di articoli da “Il Sole 24 Ore restituisce cone chiarezza le “grandi speranza” di Confindustria e anche l’insopportabile tasso di ideologia che accompagna l’espropriazione del “pubblico” da parte del “privato”.
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Liberalizzazioni, Rete Snam separata e Rc auto meno cara
di Carmine Fotina
ROMA. Via libera alla separazione proprietaria della rete gas Snam dall’Eni. Stretta sulle tariffe Rca ma stralcio del divieto di monomandato. Parziale marcia indietro sulla rete dei carburanti e sul commercio. Novità su banche e farmacie. Confermato lo stralcio della norma che interveniva sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per facilitare le fusioni. Il tutto con l’incognita dei taxi che si risolverà solo oggi.
Il decreto liberalizzazioni (leggi la bozza), atteso al Consiglio dei ministri di domani, è ormai pronto anche se potrebbero esserci limature ancora nelle ultime ore e nel corso del Cdm, su Eni (separazione della sola Snam Rete Gas o dell’intera Snam) e sulle tariffe minime dei professionisti. Da chiarire anche il destino delle misure sul settore postale e sulle concessioni a gara per le spiagge, che non compaiono nell’ultima bozza. Nella relazione che apre il testo, il governo si pone come obiettivo la lotta ai privilegi e individua nel Dl sulle liberalizzazioni solo un primo intervento per la crescita.
Tornando alle singole misure, spicca la separazione proprietaria della rete gas da Eni che scatterà con un Dpcm da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto. Di forte impatto per il gas anche i nuovi parametri per la definizione delle tariffe che avvicineranno l’Italia alla media Ue. Cambia nome l’Authority per l’energia: sarà l’Autorità per le reti con competenze nel settore dei trasporti, inclusi i taxi, con la fissazione del numero di licenze (sentiti i sindaci) e i livelli delle tariffe. La stessa Autorità dovrà eventualmente proporre al governo la separazione proprietaria della rete ferroviaria. Eliminato l’obbligo di applicare i contratti collettivi di settore nel trasporto ferroviario.
Per ridurre le tariffe Rca, gli assicuratori avranno l’obbligo di informare il cliente sulle proposte di almeno tre diverse compagnie. Viene inoltre eliminata la procedura del risarcimento diretto del danno subito dal conducente non responsabile, correttivo che dovrebbe portare a ridurre il premio assicurativo. Riduzione delle tariffe per gli automobilisti che autorizzeranno le assicurazioni a installare una ‘scatola nera’ che registrerà l’attività del veicolo. Pene più severe per le frodi sulle attestazioni di invalidità derivanti da incidenti. Salta però la misura fortemente contestata dagli assicuratori sul divieto di collocamento diretto o attraverso agenti monomandatari dei prodotti ai clienti finali.
Gli istituti di credito e gli intermediari finanziari, se condizionano l’erogazione del mutuo alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita sono tenuti, a «sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi». Arriva il conto corrente bancario di base. Sarà un decreto, in assenza di una convenzione con l’Abi, a fissarne i criteri. Prevista l’individuazione ex lege delle commissioni che le banche applicheranno sui prelievi con bancomat. Si allarga il capitolo farmacie, con libertà di orari e turni e sconti estesi anche ai farmaci di classe A quando non sono rimborsati dallo Stato. Estesa la deregulation per la vendita di quotidiani e periodici fuori dalle edicole.
Salta agli occhi l’assenza dell’articolo sulla libertà di praticare sconti e saldi. L’articolo 2 viene sostituito dalla «semplificazione e liberalizzazione di alcune modalità di promozione commerciale». In pratica si prevede che le vendite abbinate promozionali di prodotti di diverse tipologie siano ammesse anche al di fuori delle occasioni tradizionali. Marcia indietro sulla benzina. Lo stop alle esclusive nelle forniture dalle compagnie varrà solo per i gestori che sono anche proprietari degli impianti. Salta anche il diritto di riscatto, definito un vero «esproprio» dai petrolieri. Viene sostituito dalla possibilità che compagnie e gestori, da soli o in cooperative, si accordino per l’effettuazione del riscatto degli impianti previo indennizzo. La liberalizzazione degli impianti completamente automatizzati viene limitata fuori dai centri abitati. Confermata la vendita libera di prodotti non oil.
Restano in campo il pacchetto sui servizi pubblici locali e la società a responsabilità semplificata per i giovani con meno di 35 anni che potranno costituire una società con un capitale minimo di 1 euro e una comunicazione unica telematica al registro delle imprese. A Palazzo Chigi il compito di monitorare la promozione della concorrenza a livello regionale e locale e di supportare gli enti locali nella dismissione delle partecipazioni nei servizi pubblici. Restano anche il rafforzamento della class action e il pacchetto professioni. Vengono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime, con obbligo di comunicazione del preventivo. Arrivano poi i concorsi per i nuovi notai: entro il 2014 ci saranno 1.500 posti in più. Possibile il tirocinio nell’ultimo biennio universitario per l’accesso alle professioni.
Non trova spazio invece il pacchetto sull’Agenda digitale, sollecitato anche ieri, durante un’audizione alla Camera, dal presidente dell’Authority per le comunicazioni Corrado Calabrò.
da Il Sole 24 Ore
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La sostanza c’è, ora guardia alta
di Fabrizio Forquet
È un bene che siano circolate le bozze del decreto sulle liberalizzazioni che sarà approvato domani in Consiglio dei ministri. È un bene perché si capisce quanto ci sia di mediatico e futile nel concentrarsi sulla protesta dei taxi, come fosse l’alfa e l’omega delle liberalizzazioni in salsa italiana.
Il Governo farà bene a resistere alle proteste dei tassisti e le autorità preposte a scongiurare abusi e violenze, ma il cuore del decreto che il Governo si prepara ad approvare è tutt’altro.
A cominciare dalla separazione proprietaria della rete di distribuzione del gas dall’Eni. Era diventato il simbolo della volontà di questo o quel Governo di affrontare i nodi veri dei monopoli italiani, alla fine nel testo messo a punto dal Governo c’è. È un passo che permetterà maggiore concorrenza in un settore strategico come quello dell’energia. La precedente scelta del legislatore di fermarsi, nell’attuazione della direttiva europea del 2009, al modello della semplice creazione di un operatore indipendente sotto il controllo dell’azienda che si occupava anche della produzione era evidentemente insufficiente.
Resta da vedere ora – e sarà deciso solo in Consiglio dei ministri – se la separazione proprietaria riguarderà l’intera holding o la sola società della rete. È un nodo non banale, perché potrebbe garantire che l’intera operazione avvenga senza essere troppo penalizzante per l’Eni.
La separazione della rete non è l’unica novità positiva che riguarda il gas. L’apertura ai prezzi all’ingrosso più bassi prodotti in Europa dai contratti spot permetterà un abbassamento delle tariffe per gli utenti cosiddetti vincolati: che poi sono le famiglie e le piccolissime imprese particolarmente penalizzate dai sovraccosti in bolletta delle bardature italiane.
Un passo indietro, nel corso della difficile gestazione di questo decreto, è stato fatto invece per quanto riguarda la rete ferroviaria. In una prima bozza la separazione proprietaria di Rfi dalla holding Fs era più netta. Ora si rinvia a una proposta della costituenda autorità delle reti.
C’è anche qui, però, un progresso rispetto all’attuale sistema. Non solo perché si apre a un possibile scorporo. Ma anche perché, al di là della separazione, si trasmettono all’autorità alcuni poteri che in mano a Rfi potevano costituire sicuramente un freno alla concorrenza. Come per esempio l’assegnazione delle tracce, cioè gli orari in cui i treni di questa o quella società possono occupare i binari.
Qualche cancellatura anche sulle assicurazioni, ma alla fine l’introduzione del sistema della “scatola nera” e l’offerta obbligatoria di più preventivi da parte degli intermediari potrà rendere meno onerose le polizze Rc auto.
Sulle pompe di benzina, invece, il passo indietro rispetto alle prime bozze è stato più vistoso, riducendo sensibilmente i vantaggi in termini di prezzo che gli utenti potranno attendersi. Sulle professioni bisogna attendere come finirà la partita sull’abolizione delle tariffe minime. Nel Governo ci sono ancora posizioni differenziate, sarà probabilmente decisiva la discussione in Consiglio dei ministri. Sulle farmacie la liberalizzazione è ampia, i notai aumenteranno, sulle banche c’è ancora pochino, ma qualcosa c’è.
Quando nella manovra di fine anno il Governo aveva fatto ampie retromarce sul fronte delle liberalizzazioni in seguito alle pressioni delle lobby e dei partiti della larga maggioranza, il Sole 24 Ore non aveva risparmiato critiche. Ora un’apertura di credito è possibile. Purché non vi siano cedimenti in queste ultime 24 ore e, soprattutto, purché in Parlamento non si smonti pezzo per pezzo quello che è stato fatto.
Su questo, nelle prossime settimane, le forze politiche devono dimostrare tutta la loro responsabilità. Il rapporto con cui S&P’s ha declassato l’Italia conteneva un avvertimento esplicito: se i gruppi di potere affosseranno queste riforme l’ipotesi di un ulteriore declassamento si fa più vicino. Ma non è solo questo. Ci può essere l’illusione che ascoltare le lobby porti consensi elettorali facili, ma farlo significherebbe calpestare un’opinione pubblica più vasta che sta cominciando ad apprezzare i vantaggi di un sistema con meno vincoli e più concorrenza. E tanto più imparerà a farlo quando vedrà, per esempio, che pagherà i farmaci un po’ meno.
In Italia, secondo l’Ocse, nel settore dei servizi il margine di profitto è al 61%, contro il 35% della media Ue. La differenza, sia chiaro, è tutta a carico delle tasche delle famiglie e delle imprese italiane. Se quel margine comincerà a ridursi sarà un vantaggio per tutti.
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Sui carburanti spunta la mediazione
ROMA. «Si torna al buonsenso» sintetizzano i petrolieri. La controversa mega-riforma della rete di distribuzione dei carburanti trova, nell’ultima edizione del decreto sulle liberalizzazioni, corposi aggiustamenti. Scompare l’obbligo di vendere la metà degli impianti in mano alle compagnie, sostituito con la «facoltà» dei gestori di accordarsi per riscattare gli impianti «ad equo indennizzo» sulla base di criteri che verranno stabiliti dal ministero dello Sviluppo. Ed è stata attutita anche l’altra misura forte: la libertà per il gestore di approvvigionarsi all’ingrosso da chi vuole. Libertà concessa, per il 50% dell’erogato, solo ai gestori proprietari dell’impianto, anche se ‘di marca’. Rimangono sostanzialmente immutate tutte le misure per la liberalizzazione della rete: giornali, tabacchi, piccoli ricambi per l’auto e relativi servizi, sinergie con le altre strutture commerciali.
Via alla grande riforma in grado di favorire la discesa dei prezzi di benzina e gasolio a livelli finalmente ‘europei’? Interrogativo doveroso, ora che la polemica si attenua e i lavori possono partire. Per scoprire, ad un esame ponderato, che il caro benzina che opprime l’automobilista italiano è frutto, in fondo, di una congiura a più voci. Complice lo stesso automobilista.
Sussura il presidente dei petrolieri, Paquale De Vita: perché l’italiano arriva nell’impianto con il self service, ci rinuncia, si mette nella fila del servito (magari più lunga) e paga quei tre o quattro centesimi in più al litro che se non fosse per la maggior tassazione italiana equivalgono al sovrapprezzo del nostro carburante rispetto all’Europa?
Oltrefrontiera il self service è imperante. Spesso il solo mezzo per riempirsi (ben volentieri) il serbatoio. E se anche De Vita avesse solo in parte ragione mettiamoci qualche ragionamento sulla struttura industriale della nostra rete, e il gioco e fatto. A parte le presunte speculazioni dei petrolieri (e dei benzinai, visto che da qualche anno il prezzo alla pompa è libero) sui flussi del barile di petrolio e del costo industriale dei carburanti, tutto il nostro caro-benzina ha, in fondo, una spiegazione.
C’è l’insostenibilità dei margini per il gestore. Dovuta alle caratteristiche degli impianti rispetto a quelli europei: mediamente più piccoli, con meno erogato (meno della metà della Francia, un terzo dell’Inghilterra) e molto più numerosi: 23mila ancora oggi, la metà di proprietà della compagnie, quasi il doppio della Francia, il triplo dell’Inghilterra. E già questo spiegherebbe il cosiddetto ‘stacco’ della componente industriale del prezzo rispetto all’Europa.
Ma è il prezzo reale quello che interessa all’automobilista. E qui sono dolori. Perché entra in campo, più mordente che mai, l’ingordigia fiscale. Il Governo parla di economicità della filiera dei carburanti e mette in moto l’ennesima riforma. Peccato che ciò avvenga quando lo stesso Governo ha appena esibito la mannaia fiscale sui carburanti più poderosa della storia. Complice, certamente, una crisi della finanza pubblica non meno epocale.
Sta di fatto che a gonfiare ulteriormente e non poco il costo dei carburanti sono stati i ripetuti ritocchi all’insù delle accise, che oltretutto alimentano l’effetto volano sull’Iva (che si applica anche sull’accisa, in nome della consuetudine molto italiana della ‘tassa sulla tassa’). Ed ecco che un’occhiata alla composizione del prezzo finale alla pompa (vedi grafico) ha esiti sconfortanti: tra accisa e Iva il fisco divora ormai stabilmente quasi un euro ogni litro di benzina, assegnando altrettanto stabilmente all’Italia nuovi e poco lusinghieri record europei. (F.Re.)
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