L’assalto è in preparazione, ma i dettagli già ci sono e sono davvero inquietanti. L'”assaggio” è venuto con il contratto dei bancari, che già si adegua alle “future” regole e infatti prevede per i neo-assunti un “salario d’ingresso” del 18% inferiore. Così s’imparano a cercare un lavoro…
Quello che hanno fatto trapelare finora è molto dettagliato, come si può leggere negli articoli qui di seguito. Resta fuori l’art. 18, ufficialmente. Ma si sa già che sarà poi “ritoccato” in modo da renderlo inapplicabile, ma col “consenso” di Cgil, Cisl e Uil.
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Francesco Piccioni
In realtà, chi ha fatto uscire la notizia spiega anche che «ci sarebbe già una convergenza di fondo» con le tre sigle storiche. Non solo sui contenuti, ma anche sulle modalità di svolgimento di quella che comunque non sarà una trattativa in stile «concertazione». Questo governo, e Mario Monti non perde occasione di ripeterlo, si muove su un altro pianeta: ascolta i pareri delle parti sociali, ma poi decide per conto proprio. C’è un po’ più di cortesia istituzionale rispetto al predecessore (che faceva solo accordi separati con i «complici» che ci stavano), ma nessuno spazio al «condizionamento». Almeno da parte sindacale.
Risulta perciò che lunedì Monti aprirà la riunione con una premessa «filosofica» per poi partire per Bruxelles, lasciando a Elsa Fornero e Corrado Passera il compito di condurre due tavoli distinti per quanto riguarda il mercato del lavoro e le «misure per la crescita». Teoricamente, però, anche la modifica radicale dei rapporti contrattuali viene spacciata come una «misura per la crescita», sollevando sguardi interrogativi, critiche e anche qualche ilarità.
Sul merito della riforma il dettaglio che viene anticipato è molto articolato e organico. È insomma un «progetto», non idee buttate lì. Ufficialmente la modifica dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori è fuori discussione, ma il fatto che fosse stata inserita di soppiatto nella bozza sulle «liberalizzazioni» – anche se poi ritirata – rivela che nel governo l’idea non è mai tramontata. Semplicemente, si cerca ancora il modo di farla andar giù all’unico sindacato confederale che dice di non volerne neppure sentir parlare: la Cgil. È dietro l’angolo, insomma.
In non nominarla può però facilitare l’accettazione di uno schema di riforma che non assume la richiesta dei tre sindacati: contratto di apprendistato per i nuovi assunti e modello attuale (modificato peraltro con un accordo separato nel gennaio 2009) per tutti gli altri.
In estrema sintesi. Viene istituito un «contratto unico di ingresso» (Cui), che per tre anni consente al datore di lavoro di procedere al licenziamento, pena un piccolo risarcimento proporzionale al periodo lavorativo. «In compenso» la bozza promette addirittura la «cancellazion» delle 48 tipologie di contratto precario oggi esistenti. Troppa grazia, santantonio… diventa difficile crederci, nel momento che Confindustria ne vorrebbe mantenere più o meno la metà. Dopo tre anni scatta (forse) il contrato a tempo indeterminato, sempre che non precipiti di nuovo la ghigliottina sull’art.18. Per «convincere» le aziende ad assumere con questa forma viene proposto di rendere molto più costoso il lavoro a tempo determinato o a progetto, in modo tale da farne un relazione tipica solo di alcune figure apicali (consulenti, ecc). Una serie di norme per automatizzare l’assunzione «fissa», nel caso di «furbate» da parte degli imprenditori, dovrebbe infine chiudere il cerchio.
Uno schema del genere, però, non può reggere senza un «salario minimo» che oggi viene deciso dalle relazioni industriali al momento del rinnovo del contratto nazionale di categoria. Ma, visto che non si vuole affatto abrogare l’art. 8 della «manovra d’agosto» (quella furbata di sacconi che consente alle aziende di derogare sia dai contratti che dalle leggi dello Stato), è facilmente ipotizzabile che di contratti nazionali «veri» – d’ora in poi – se ne potrebbero vedere ben pochi. Il livello di questo «salario minimo» – oltretutto – andrebbe comunque determinato da una contrattazione tra le parti oppure, in caso negativo, dal Cnel.
Ultimo punto, non meno conflittuale, la «riforma degli ammortizzatori sociali». L’idea è quella di lasciare la sola cassa integrazione ordinaria per gli stati di crisi aziendale, abolendo la straordinaria e la mobilità. In cambio, anche qui, un «reddito di disoccupazione» di difficile quantificazione, specie in tempi di crisi. Ma comunque presumibilmente più basso dell’attuale «mobilità» (60% dell’ultimo stipendio) e di durata inferiore. Qui i problemi concreti sono di fatto infiniti, visto che le aziende continuano a licenziare ricorrendo a cig e mobilità «lunga», dimensionata spesso in modo tale da consentire l’approdo alla pensione per i lavoratori più anziani. Traguardo che viene continuamente spostato dalle riforme pensionistiche allungano l’età lavorativa.
Cgil, Cisl e Uil protestano chiedendo un «confronto vero». Ma le probabilità che tutto finisca come per le pensioni sembra davvero alte.
Non siete contenti? Non sappiamo ancora i sindacati come reagiranno, per quanto ci riguarda noi non siamo contenti, anzi siamo per metà preoccupati e per metà incazzati – e la ministra ci scusi la franchezza. Ecco perché. Un imprenditore assume dei giovani e per tre anni li rovescia come calzini per vedere se sono flessibili, pronti a fare straordinari a go-go e a dire signorsì e spontaneamente. Meglio se sono docili e obbedienti, no? Ha tre anni di tempo il nostro imprenditore per selezionare il personale più servizievole e soprattutto, può licenziare quelli che non rispondono alle sue esigenze. Può farlo anche senza giusta causa, al massimo sarà tenuto a risarcire con qualche stipendio le sue vittime ma senza il dovere garantito dall’art. 18 a riassumerli nelle stesse mansioni. È la quadratura del cerchio, la formalizzazione di una pratica già anticipata, guarda caso, da Sergio Marchionne: il grande manager Fiat ha chiuso lo stabilimento di Pomigliano, ha imposto con un referendum-truffa un nuovo contratto che fa carta bruciata dei diritti e poi ha riaperto la fabbrica chiamandola in un altro modo. Ha iniziato le assunzioni e su mille «nuovi» dipendenti non ce n’è uno con la tessera della Fiom. Mutatis mutandis, è la stessa cosa che vuol fare Elsa Fornero, con la differenza che lei i diritti li sospende solo per tre anni, ma quanto a selezione del personale il sistema è identico.
Però, ci dicono, finalmente si porrebbe fine alla precarietà giovanile con il contratto unico invece di 50 forme contrattuali diverse. Aspettiamo di sapere quante eccezioni saranno introdotte, e, alla fine, quante saranno le forme contrattuali possibili. Non sfugga che, nel frattempo, il contratto nazionale unico è stato abolito, oltre che alla Fiat, in tutto il settore auto e ora dal governo Monti anche in ferrovia. E non sfugga che il vicepresidente di Confindustria Bombassei, che punta a diventare presidente, ha messo nel suo programma un menù dei contratti possibili, cosicché ogni azienda possa scegliere quello che preferisce.
Il coniglio nel cappello del governo si chiama Cui, e non possiamo non chiederci: cui prodest? Al padrone, verrebbe da rispondere. Ma noi, si sa, siamo diffidenti e un po’ estremisti. Infatti pensiamo che, dentro una crisi che cancella centinaia di migliaia di posti di lavoro, alla base di ogni confronto sul mercato del lavoro dovrebbe esserci l’estensione a tutti i lavoratori dell’art. 18.
Firmato il contratto dei bancari. Orari sull’arco 8-22. Per i neoassunti salari d’ingresso inferiori del 18%
E’ stato appena firmato da Abi e dai sindacati, unitariamente, il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei 340mila bancari. “É necessario non illudere nessuno”, dichiara Lando Maria Sileoni, Segretario generale della FABI, il maggiore sindacato del credito, “ma giudichiamo questo contratto positivo, in quanto- pur se realizzato nel più difficile contesto socio economico della nostra storia – tutela i diritti individuali e collettivi, difende l’occupazione e recupera l’inflazione”.
Questo contratto, realisticamente, “rappresenta il miglior risultato possibile ottenuto dalle Organizzazioni sindacali senza un minuto di sciopero”, aggiunge Sileoni.
Nell’era della crisi finanziaria più forte i bancari stanno dando prova di grande pragmatismo. È senz’altro il momento di maggiore discontinuità nella storia del settore bancario e i sindacati hanno lavorato unitariamente, insieme ad Abi, a un accordo “straordinario”. Strardinario per il modo in cui è avvenuto il calcolo dell’aumento per la parte economica innanzitutto. Con il recupero dell’inflazione, ma senza una tantum e senza conguaglio per il 2008, 2009, 2010. Ma straordinario anche perché la categoria che in decenni di negoziati ha fatto le maggiori conquiste di diritti che riguardano la previdenza, l’assistenza sanitaria integrativa, gli scatti, gli orari, le indennità congela una parte di questo prezioso pacchetto, per via dell’emergenza. E straordinario, infine, perché nell’anno in cui la disoccupazione ha raggiunto la punta massima e i giovani sono tra coloro che incontrano le maggiori difficoltà a trovare lavoro le parti hanno deciso di creare un Fondo a sostegno dell’occupazione.
È un quadro maturato in un arco temporale piuttosto ridotto, rispetto alle abitudini della categoria: appena tre mesi e mezzo, considerato l’inizio dei negoziati a fine settembre. L’impianto del contratto è senz’altro il più semplice delle ultime tornate: questo si deve in parte alla scelta di dare una risposta equa ai lavoratori in tempi brevi, ma anche alla scelta di insediare apposite commissioni bilaterali per risolvere i capitoli inquadramenti, armonizzazione orari, apprendistato, semplificazione normativa, salute e sicurezza.
Aumento
L’aumento sarà di 170 euro a regime, pari al 6,05%, divisi in tre tranche, con un alleggerimento della prima e della seconda e un differimento del pagamento della prima. In pratica verranno corrisposti i primi 50 euro di aumento a decorrere dal primo giugno del 2012, altri 50 nel 2013 e infine 70 nel 2014. Dunque ci sarebbe tutta la copertura inflattiva, escluso il conguaglio per il 2008, 2009, 2010 che sarebbe stato dello 0,93% circa ed esclusa anche l’una tantum che non ci sarà. Le parti hanno inoltre concordato il blocco degli scatti di anzianità per un anno e mezzo, dal primo gennaio 2013 al primo giugno 2014, mentre per la long term care è stato acquisito l’incremento del contributo aziendale pro capite di 100 euro.
Area contrattuale
L’intesa prevede l’introduzione del contratto complementare con un orario di lavoro di 40 ore settimanali invece di 37,5, con una riduzione del 20% delle retribuzioni. Questo consentirà l’insourcing di numerose attività attualmente esternalizzate, salvo poi procedere al riallineamento delle retribuzioni e dell’orario di lavoro in un arco temporale di 4 anni.
Nuova occupazione
È stato condiviso un protocollo per l’istituzione di un Fondo bilaterale per il sostegno dell’occupazione da attivarsi con il contributo dei lavoratori e delle aziende. In particolare le aree professionali contribuiranno con una giornata, vedendosi così ridotta a 15 ore, da 23 ore, la “Banca delle ore”, i quadri direttivi e i dirigenti contribuiranno con una ex festività, mentre i manager con il 4% della retribuzione fissa, come ha suggerito il presidente di Abi, Giuseppe Mussari. Sul salario dei neoassunti con certezza di qualifica terza area primo livello l’intesa prevede una riduzione del salario di ingresso del 18% che, unitamente alle agevolazioni statali alle aziende che assumeranno con stabilizzazione del rapporto di lavoro, sarà un importante incentivo. Il fondo, inoltre, prevede anche che le assunzioni al sud abbiano un trattamento preferenziale.
Orario di lavoro
Sull’orario di lavoro che è stato uno dei temi più dibattuti e complessi di questo rinnovo, le parti hanno deciso l’orario di sportello prolungato 8-22, dal lunedì al venerdì, con una serie di garanzie sulla turnazione. Per l’applicazione di questo orario “allungato”, è stato infatti concordato il confronto negoziale a livello aziendale, che prevede anche un intervento delle segreterie nazionali qualora ci siano difficoltà a raggiungere l’intesa. Nel caso in cui non si riesca a trovare un accordo l’azienda potrà procedere unilateralmente per la fascia 8-20, mentre l’accordo è obbligatorio per la fascia 20-22. L’orario di lavoro individuale rimane invariato a 7 ore e 30 minuti e sarà privilegiata la volontarietà.
da Il Sole 24 Ore
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