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La tecno-repressione non funziona. I No Tav bloccano tutto

Da Cagliari a Palermo, da Trieste a Campobasso, da Ancona a Pisa, da Paola a Milano passando per un’altra quarantina di città italiane. La reazione del movimento No Tav è stata forte, compatta, sono state decine di migliaia le persone scese in piazza ieri in contemporanea per rispondere alla ulteriore dimostrazione di forza – anzi, di violenza – che la tecno-repressione del Governo Monti ha messo in campo l’altro ieri nel tentativo di stoppare la mobilitazione seguita alla occupazione da parte di militari e operai della Ltf dei terreni attorno alla baita Clarea.

La parola d’ordine lanciata dall’assemblea notturna di Bussoleno, quella tenuta pochi minuti dopo le pesanti cariche e la caccia all’uomo nelle vie e addirittura nei bar e nei ristoranti del paese, era stata ‘blocchiamo tutto’. Una indicazione di lotta precisa. E così è stato. I primi a scattare sono stati gli attivisti romani che hanno occupato l’atrio della sede nazionale del PD a Roma, individuando il vero punto di forza – o di debolezza, visti gli imbarazzanti farfugliamenti del segretario Bersani ospite da Santoro – di un progetto che ormai non ha più appigli e credibilità e che quindi si deve e si può appoggiare esclusivamente all’uso della forza.La MinistraCancellieriha suggerito di comprarsi un pezzo di valle inondandola di “compensazioni”; del resto gli albergatori scalpitano per un finale di stagione turistica che sta andando a ramengo. Il vecchio e utile metodo del bastone e della carota. Ma che il bastone sia infinitamente più consistente della carota è visibile a tutti, ormai. I sindaci della Val Susa non tirano sassi, eppure vengono trattati a pesci in faccia e addirittura minacciati. Neanche i 330 tecnici e scienziati che hanno chiesto a Monti di stopparela Tavcome ha fatto per le Olimpiadi romane non tirano sassi (almeno che si sappia), eppure il premier non gli ha neanche risposto. Anzi, ha indetto per oggi un vertice straordinario con ministri e responsabili dell’ordine pubblico per aumentare ‘le misure di sicurezza’. Ma dagli eventi degli ultimi giorni appare evidente che più gli assertori della Tav si incarogniscono, più la resistenza in valle cresce. Del resto non è un problema ideologico, di opinione. Ma di sopravvivenza. “Non si può morire per un treno” diceva Sergio Cofferati riferendosi al fatto che l’opposizione all’alta velocità è spropositata, esagerata, fuori luogo e che comunque la grande opera s’ha da fare, punto e basta. Pure il giornalista Mineo su Rainews non perde occasione per lanciare un messaggio che dimostra che non ha capito proprio niente: “vabbeh, la vostra opposizione l’avete fatta, ormai però avete perso, mettetevi l’anima in pace”. Ma come si fa a mettere l’anima in pace una popolazione che già da venti anni è in prima linea, che ha visto la propria esistenza sconvolta, i propri terreni occupati, le proprie vigne distrutte insieme a millenari reperti archeologici, che viene militarmente colonizzata e trattata come i militari italiani trattano i montanari afgani? Come può una popolazione rinunciare a lottare quando la prospettiva è quella di morire di Tav, di amianto, di uranio, di aumento delle malattie respiratorie e cardiache? Non c’è scelta. Per quanto lo Stato e le lobby economiche e mediatiche che sostengono un affare da più di venti miliardi di euro potranno aumentare il livello dell’imposizione e della violenza, la popolazione della Val Susa non potrà tornare a casa. Perino con il braccio fasciato e i tanti valligiani e internazionalisti che sono tornati a manifestare e a occupare strade e autostrade ieri sera, nonostante le botte e le aggressioni delle ore precedenti, dicono questo.

Ma un segnale importante è venuto anche dal resto del paese. Stazioni bloccate, autostrade interrotte, binari presidiati ovunque, migliaia e migliaia di attivisti in campo. La solidarietà e l’identificazione con una lotta tutto sommato parziale e territoriale ha smosso dal suo torpore un paese che non è finora riuscito a rispondere adeguatamente agli attacchi di un governo che in pochi mesi ha fatto di tutto: dall’aumento consistente dell’età pensionabile a quello della tassazione sui redditi da lavoro, dall’estensione della precarietà e del lavoro in affitto alla cancellazione di fatto della legge sulla sicurezza sul lavoro. Un paese addormentato, imbambolato si è improvvisamente risvegliato grazie al grido di dolore e di lotta che viene da una piccola valle ai confini con la Francia.Sarebbebene che il paese si sollevasse in un moto di dignità. Sarebbe bene che scendessero in campo quelle centinaia di migliaia di quadri politici, sindacali, sociali che fino ad ora sono stati alla finestra ad applaudire gli abitanti della Val Susa oppure a criticarli in nome di una ‘nonviolenza’ che appare sempre più un alibi, viste le forme di lotta sostanzialmente pacifiche finora adottate. In gioco non c’è solo la sopravvivenza di una piccola valle, ma la dignità e il futuro di un intero popolo.

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