Confindustria è entrata – nel secondo anno “dopo Cristo”, come ama dire Marchionne in un periodo di crisi e spaccatura difficilmente rimediabile. La politica c’entra poso, la crisi moltissimo. Bombassei era il candidato delle grandi imprese multinazionali con base in Italia, il candidato dei “multi-localizzatori” (autodefinizione) o comunque di quelli che si muovono sui mercati globali senza più troppi vincoli di relazione col paese d’origine. Soprattutto per quanto riguarda le vendite.
Al contrario Giorgio Squinzi, che pure ha un’impresa internazionale, è stato sostenuto da quella parte di imprenditori che ha qui il proprio luogo di produzione e il mercato pirvilegiato. Squinzi è leader nei materiali per l’edilizia, fa ricerca e sviluppo, di certo non può passare per “capitalismo locale arretrato”. Ma è necessariamente sensibile agli sviluppi del mercato interno, mentre Bombassei – patron della Brembo, i migliori freni del mondo, onestamente – è ormai espressione di quella produzione totalmente export oriented; anzi, global oriented.
E’ una contraddizione rilevante e rivelatrice. C’è una divaricazione crescente tra interessi egualmente capitalisti, all’interno stesso della manifattura. Ben oltre la consueta e ventennale divisione “formale” tra capitale industriale e finanziario.
93 voti contro gli 82 di Bombassei
Formula Squinzi in Confindustria, il chimico che non ricorre all’art.18Francesco Paternò (Il Manifesto)
Per guidare una Confindustria così spaccata, ora deve trovare il potere di sposare gli elementi e farli reagire, come il chimico di Fabrizio De André o della collina di Spoon River. Giorgio Squinzi, amministratore unico del gruppo Mapei (chimica per l’edilizia) e per dodici anni presidente di Federchimica, è stato designato presidente confindustriale per soli undici voti in più del concorrente Alberto Bombassei, metalmeccanico puro e duro. Non una vittoria a man bassa per la prima volta di un chimico in Viale dell’Astronomia, in oltre cent’anni di storia. Il prossimo maggio, l’assemblea della Confindustria dovrà ratificare la scelta, dunque c’è il tempo perché il candidato presidente tenti qualche esperimento per provare a mettere insieme una parte dell’opposizione, oltre che un’associazione in evidente crisi d’identità.
Squinzi è una nomina in apparente controtendenza in un paese che non cresce, che non investe nella ricerca, che taglia il welfare convinto che sia questo il male oscuro della crisi italiana. Non è prodigo di interviste, ma quando parla si vanta di non aver mai licenziato nessuno, di non essere ricorso alla cassaintegrazione e all’articolo 18. Senza essere smentito da nessuno.
La sua Mapei è una felice storia familiare, nata a Milano nel 1937 dal padre Rodolfo – tre dipendenti, oggi sono 7.500 – per occuparsi di prodotti chimici per l’edilizia come sigillanti e adesivi. Nel 1984, a 41 anni, il figlio Giorgio sale al comando, riuscendo e reinventare la chimica italiana privata. Prima, Mapei avvia la sua internazionalizzazione (da leader mondiale nel settore, ha 59 stabilimenti in 27 paesi diversi) cominciando dal Canada, un posto oggi molto di moda con l’avvento dell’era Marchionne. Ma proprio dall’amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Squinzi ha preso le distanze (Corriere della Sera, dicembre 2010). Commentando la decisione del Lingotto di lasciare Confindustria sbattendo la porta, Squinzi sottolineava come il problema non sono le relazioni sindacali, ma «investire di più sull’innovazione e tradurre questo sforzo in modelli vincenti». Esattamente l’opposto dell’agenda finanziaria prima che industriale di Marchionne, che in piena campagna elettorale gli ha risposto tifando per Bombassei. Si può obiettare che la chimica è un settore dove investire nella ricerca è «più» obbligatorio per reggere la concorrenza anche asiatica, ma la Volkswagen potrebbe risentirsi. Sul Vecchio Continente, la mappa dei siti di Mapei sembra una carta dei tempi del muro di Berlino: bandierine a ovest come a est, dalla Russia all’Olanda passando per la Slovenia, allora tra i non allineati.
A sentire il ministro del lavoro Elsa Fornero di questi giorni, Squinzi sembra anche lui un non allineato. Non parla, ma se parla insiste che il problema più grande per un imprenditore in questo paese non è la cellula Cgil in fabbrica, ma la bolletta energetica che è la più cara d’Europa. Nel 2009, tanto per non privarsi di nulla, Squinzi firma da presidente di Federchimica il rinnovo del contratto, «derogando – racconta – dal contratto nazionale ma senza uscire da Confindustria». Probabile che abbia strappato qualcosa in più ai tempi della crisi, ma siamo sempre all’estremità opposta di Marchionne. Per il quale, Squinzi si è detto comunque pronto a fare ogni esperimento possibile per riportare la Fiat in Viale dell’Astronomia.
Fra i 93 voti a favore contro gli 82 per l’avversario, il candidato designato ha potuto contare trasversalmente sul tifo (e sul voto, perché sono ancora in Confindustria, al contrario del Lingotto) dell’Assolombarda, dell’associazione siciliana come dei big dei gruppi pubblici, da Fulvio Conti dell’Enel a Paolo Scaroni dell’Eni. Anime così doverse che, per gestire i prossimi quattro anni, a Squinzi serviranno doti di grande più che di piccolo chimico, per dosare bene cosa mettere sul piatto e mescolare.
Al denaro, all’amore e al cielo si devono le sue passioni che riesce a sposare insieme. Ha un aereo personale ma giurano di averlo visto in metropolitana a Milano, ha orecchio per la lirica e le urla da stadio, essendo presidente del Sassuolo calcio che quest’anno intravede una storica promozione in serie A. Andasse male, non è detto però che possa rifarsi con il Milan, di cui è tifoso. C’è da pedalare, insomma, e infatti ama anche il ciclismo. Alberto Morselli, segretario generale dei chimici della Cgil, dice di lui che è «un gentiluomo, duro nelle trattative ma uno che rispetta la parola data». Per Pierluigi Bersani, segretario Pd, è uomo di «grande equilibrio». «Sarò il presidente di tutti», dice Squinzi riferendosi alla Confindustria. Ma è ancora senza formula.
Squinzi: «Sarò il presidente di tutti». Il numero uno di Mapei succede a Emma Marcegaglia
di Nicoletta Picchio (Il Sole 24 ore)
ROMA – «Sono lieto della votazione, il mio obiettivo è essere il presidente di tutti, mi adopererò in questa direzione». Sono le prime parole che Giorgio Squinzi ha pronunciato ieri mattina, nella conferenza stampa, subito dopo essere stato designato presidente. Indicando la rotta del suo mandato: «Farò sì che Confindustria dia una spinta importante per ritrovare le crescita, combattendo la disoccupazione, specie giovanile».
Sarà Squinzi, vice presidente di Confindustria per l’Europa e numero uno della Mapei, il successore di Emma Marcegaglia come numero uno della Confederazione, scelto dalla giunta, con voto segreto, con 93 voti. All’altro candidato in corsa, Alberto Bombassei, vice presidente di Confindustria per i rapporti sindacali e presidente della Brembo, sono andati 82 voti (erano 177 i presenti su 186 aventi diritto, due sono state le schede bianche).«Questa presidenza per me è una missione, tanti amici me lo hanno chiesto, l’ho fatto, ho vinto e sono contento: in termini sportivi ce l’ho messa tutta», ha continuato Squinzi, per poi aggiugnere una battuta «ho vinto sul filo di lana, mi ricordo il ciclista della mia squadra, Oscar Freire: veniva fuori negli ultimi 50 metri e batteva tutti».
Nella conferenza stampa, dopo la giunta, Squinzi aveva accanto, come tradizione, la presidente uscente, Emma Marcegaglia. È stata lei, ieri mattina ad aprire la riunione del parlamentino di viale dell’Astronomia, con una breve introduzione, per poi lasciare la parola ai tre saggi, Luigi Attanasio, Antonio Bulgheroni e Catervo Cangiotti, che hanno presentato una relazione sulla loro attività di sondaggio della base. Dopodiché è toccato di nuovo alla Marcegaglia prendere la parola, per annunciare l’esito della votazione, accolto dall’applauso. Stretta di mano tra i due candidati, con Bombassei che ha dichiarato: «Pronti ad una piena e leale collaborazione», chiedendogli di «ascoltare le istanze di cambiamento». E intanto ha convocato i suoi sostenitori martedì a Milano.
Programma e squadra del presidente designato dovranno essere presentati tra poco meno di un mese, alla giunta del 19 aprile. Squinzi già ieri ha indicato alcune priorità, che aveva esposto anche nelle lettere inviate agli associati, a metà febbraio, e alla giunta, la scorsa settimana. «In questi mesi sono state sottolineate le differenze tra i candidati, le divisioni sono più apparenti che reali, se si guardano i programmi le differenze sono minime», ha detto Squinzi nella conferenza stampa, riferendosi al programma di Bombassei e riconfermando, in risposta ad una domanda di un giornalista, che il suo obiettivo è «ricompattare» e che «il voto è chiaro, anche se i margini non sono amplissimi. Mi sento autorizzato, certificato dalla maggioranza che ho avuto a poter operare con la massima tranquillità nella direzione di ricompattare Confindustria. Ho già vissuto un’altra elezione di contrapposizione, dopo il voto le cose si ricompongono, mi impegnerò molto». Insistendo ancora su questo punto: «Non ci sono padri della vittoria e della sconfitta, il numero di voti a favore che ho avuto non possono attribuirsi ad una componente piuttosto che a un’altra».
In questo impegno di ricompattare Confindustria Squinzi ha sottolineato anche lavorerà anche per far rientrare la Fiat: «Non so che margini di ricomposizione ci saranno, comunque farò ogni tentativo, come ho già dichiarato».
L’elezione definitiva a presidente di Confindustria avverrà nell’assemblea privata del 23 maggio. Il giorno dopo nell’assemblea pubblica, dopo un saluto della Marcegaglia, Squinzi terrà il primo discorso ufficiale. Il suo mandato durerà fino a maggio del 2016. Missione e servizio. «Ma non voglio in nessun modo rinunciare alla mia identità di imprenditore», ha scritto Squinzi nella lettera agli associati di metà febbraio. E ieri l’ha ripetuto, rispondendo a una domanda in conferenza stampa: «Non vorrei perdere il contatto con l’azienda».
Aggiungendo comunque che, pur amministratore unico di Mapei, in azienda c’è una prima linea di 150 manager, oltre all’impegno dei figli (uno che segue la parte più tecnica, l’altra lo sviluppo e le acquisizioni) e della moglie. «Il mio ruolo è sempre più quello di rappresentare la continuità. E comunque in questi anni ho dato molto al sistema associativo, come presidente di Federchimica e vicepresidente di Confindustria, oltre che numero uno dei chimici europei». E ancora: «Spero di essere all’altezza: non sarà facile dopo tanti presidenti di alto profilo, ultima Emma Marcegaglia, di cui sono onorato di far parte della squadra».
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