Per una volta nella vita ci troviamo a condividere un giudizio di Adriano Sofri relativamente al film “Romanzo di una strage”. Come è noto, dal 30 marzo è in distribuzione nei cinema italiani l’ultimo film di Marco Tullio Giordana dedicato alla madre di tutte le stragi, Piazza Fontana. Il regista nega, ma la tesi del film in molti aspetti ricalca quella del giornalista dell’Ansa Paolo Cucchiarelli (Il segreto di Piazza Fontana) secondo il quale il 12 dicembre a Milano, nella Banca dell’agricoltura, furono due le bombe che esplosero. “Il film, avendo conservato questa tesi e avendola – grazie al cielo – spogliata dell’attribuzione agli anarchici delle bombe “innocue”, l’ha resa gratuita, dunque ancora più assurda: bombe d’ordine o parafasciste che “raddoppiano” bombe fasciste» scrive Adriano Sofri in un istant book elettronico che sta circolando in queste ore.
Parlare della strage di piazza Fontana nel nostro paese significa toccare un nervo scoperto, sensibilissimo e doloroso. Per molti, con quella strage l’Italia perse definitivamente l’innocenza, per altri -e noi tra questi – quell’episodio disvelò pubblicamente la guerra di bassa intensità in funzione anticomunista e antioperaia che era stata scatenata sul fronte interno dal 1966 dagli apparati dello stato statunitensi e italiani e che fece centinaia di morti, di feriti e di detenuti politici.
Scuotere l’albero delle manipolazioni e delle menzogne sulla strage di Piazza Fontana, passare al setaccio il tutto e cercare di raccogliere i frammenti di verità, è una operazione tutt’altro che semplice ma tutt’altro che impossibile.
Per l’anniversario dei quaranta anni della strage di piazza Fontana, la redazione di Contropiano e la Libreria Quarto Stato di Aversa pubblicarono un quaderno andato esaurito nonostante la ristampa. La libreria Quarto Stato si sta occupando di ripubblicarlo con una versione aggiornata – soprattutto sul versante del ruolo dei fascisti oggi – e contiamo di metterlo a disposizione in breve tempo. In quella pubblicazione abbiamo sostenuto una tesi che ci sembra esca confermata anche dalle polemiche di questi giorni sul film di Giordana: la verità giudiziaria sulla strage di piazza Fontana è una dolorosa illusione, l’unica operazione possibile è quella di stabilire o ristabilire una verità storica e politica sulla madre di tutte le stragi.
Il perchè si desume dal fatto che i due processi sulla strage (quello di Catanzaro e quello di Milano) sono arrivati a conclusioni giudiziariamente impossibili. Il primo processo si concluse con l’assoluzione degli imputati (tra cui Freda e Ventura), il secondo, riaperto a seguito della tenacia del giudice Salvini – dopo aver rovesciato le condanne in primo e grado e appello per i fascisti – ha assolto gli imputati dichiarando che i colpevoli erano quelli assolti nel primo processo, ma, essendo stati già giudicati, non potevano essere giudicati una seconda volta per lo stesso reato. Messe così le cose, pensare che in un aula di tribunale possa emergere la verità sulla strage del 12 dicembre 1969 è fuori discussione.
Ci sembra questo, invece, il punto debole dell’operazione del giornalista Paolo Cucchiarelli e della sua tesi delle due bombe. Il sogno di ogni giornalista, soprattutto di quelli di inchiesta, è che il loro lavoro possa contribuire a riaprire verità seppellite e far riaprire processi chiusi. Ma questa, come abbiamo visto, è una pura illusione. Ma ci sono altri punti di debolezza nell’impianto del libro di Cucchiarelli: la mezza ammissione di un alto dirigente dei servizi segreti italiani sulla “doppia bomba” – gente che per mestiere è abituata a manipolare la verità – non è un aggancio sufficiente per riscrivere una intera dinamica dei fatti, della storia e delle sue conseguenze.
La meticolosità con cui Cucchiarelli si dedica ai timer per dimostrare che le bombe erano due, è un esercizio di pignoleria che nulla aggiunge ai fatti fin qui riscontrati e che escludono la seconda bomba. Una cosa ci sentiamo di dirla: Cucchiarelli non è in malafede, non cerca una nuova verità di comodo che in qualche modo scagioni i fascisti e gli apparati dello stato tirando in ballo la pista di una seconda bomba “dimostrativa” degli anarchici a fare da scia alla bomba stragista vera dei fascisti e dei servizi. Il problema è che invece la manipolazione politica (della destra e degli apparati dello stato coinvolti) punta proprio su questo elemento per annacquare non tanto la verità giudiziaria (ormai definitivamente seppellita e compromessa dalle sentenze di un doppio processo) quanto per ipotecare la verità storica e la verità politica, ovvero l’unico terreno su cui oggi è ancora possibile e doveroso fare chiarezza sulla strage di Piazza Fontana. Tra questa non possiamo che sottolineare come il film cerchi in qualche modo di “santificare” il commissario Calabresi arrivando a dire che non era presente nella stanza della Questura dove era detenuto e interrogato il compagno anarchico Giuseppe Pinelli poi morto “cadendo” da una finestra della Questura stessa. In un dibattito a Roma abbiamo sentito la diretta testimonianza di un altro anarchico – Pasquale Valitutti, l’ultimo a vedere vivo Pinelli in Questura- affermare l’esatto contrario, vedi : http://www.youtube.com/watch?v=B4noUfN_UT4
Noi abbiamo provato a fare un lavoro di ricostruzione storica e politica tre anni fa. A dicembre abbiamo ripubblicato a puntate sul nostro giornale il testo del quaderno dedicato alla strage di stato. Qui di seguito le prime conclusioni alle quali eravamo arrivati. La ristampa di “Piazza Fontana: una strage lunga quarant’anni” ci aiuterà a continuare questa battaglia per la verità storica e politica sulla “madre di tutte le stragi di stato”.
Strage di Piazza Fontana. Quello tutti sapevano e che nessuno voleva dire
La pubblicazione tre anni fa del quaderno di Contropiano “sulla strage lunga quarant’anni” è stato il tentativo – riuscito dal punto di vista politico ed editoriale – di chiarire a livello di massa (l’ultima occasione è stata sabato scorso ad Arezzo) quale siano stati il contesto, gli obiettivi e i protagonisti della strage di piazza Fontana. Il presupposto di partenza che abbiamo sostenuto in questi anni è che la verità giudiziaria sulla strage di stato non la sapremo mai più e che l’unica strada percorribile oggi è quella della verità storica e politica. Accettata questa premessa non è possibile fare sconti a nessuno.
Una volta chiusa la stampa del quaderno, avevamo ricevuto da una fonte alcune informazioni “sensibili” delle audizioni del giudice Salvini davanti alla Commissione Parlamentari sulle Stragi nel 1997. Buona parte dei quei 21 minuti di sedute segrete della Commissione di cui il quaderno lamentava l’impossibilità di sapere, hanno avuto così la possibilità di essere riempiti.
Il quadro che ne emerge chiama direttamente in causa nella strategia delle stragi i servizi segreti militari USA, soprattutto quelli di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti) agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno” contro i comunisti, i sindacati e i settori della DC recalcitranti a trasformare la “guerra fredda in guerra civile”. L’amerikano supervisore della rete degli uomini neri ha il nome di Joseph Luongo (insieme a lui c’era anche Leo Joseph Pagnotta) ed è l’agente che cooptò nella guerra di bassa intensità anche alcuni criminali nazisti come Karl Hass (con cui Longo si fa fotografare insieme in un matrimonio). Gli “uomini neri” cioè gli autori delle stragi non erano più di venticinque/trenta persone organizzati su cinque cellule collocate una a Milano e quattro nel Nordest.
Insomma l’inchiesta del giudice Salvini ha portato alla luce tutto o gran parte di quello che c’era da sapere dietro e dopo la strage di Piazza Fontana sul piano giudiziario. Ma la sentenza del 2005 per un verso e la complice inerzia della politica (inclusi i partiti della sinistra eredi del PCI) dall’altro, hanno scientemente perseguito l’obiettivo di lasciare impunita la strage di Stato e di depistare l’attenzione su mille piste diverse che hanno confuso quella giusta. La verità sui mandanti era scomoda per il potere democristiano ma anche per l’opposizione che scelse il compromesso storico con la DC e la subalternità agli USA e alla NATO. Quando nel primo governo Prodi (1996-2001) ci fu la possibilità di fare chiarezza, prevalse la decisione di lasciare la verità seppellita negli archivi e in sentenze assolutorie. Di questo occorre essere consapevoli e da questo occorre partire per una battaglia di verità storica e politica sulla strage di Stato che non deve e non può fare sconti a nessuno. C’è da augurarsi che prenda corpo nel nostro paese un percorso attivo e collettivo che cominci a demolire la storia rovesciata in cui hanno cercato di manipolare la conoscenza storica e la verità politica nel nostro paese.
la redazione di Contropiano
12 dicembre 2011
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