Non c’è dubbio: nel 1993 i cittadini italiani si sono pronunciati per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti.
Si tratta di un responso tornato prepotentemente alla ribalta a seguito delle vicende che hanno riguardato la disciolta Margherita e la Lega Nord e che, da solo, si afferma sia più che sufficiente per mettere una croce definitiva anche sulla pessima legge che dal 1999 regolamenta i rimborsi elettorali.
Messa così, però, più che parlare di rispetto della volontà popolare, allo studioso viene da chiedersi quale incredibile patto con il diavolo si sottoscriva una volta votato un referendum.
Tanto più che nel frattempo sono passati 19 anni e tanti elettori, che all’epoca avevano 17 anni o che sarebbero nati di lì a poco, neanche votavano.
Mettendosi, quindi, nei loro panni, potrebbe risultare un po’ difficile accettare l’idea che i risultati di un referendum debbano essere considerati intoccabili.
Estremizzando il concetto, ma neanche tanto, è come se si dicesse che le elezioni sono inutili: avuta l’occasione di esprimere il proprio voto, il popolo sovrano avrebbe deciso una volta per tutte.
Fortunatamente non è così; ed anzi, oggi sono in molti ad invocare il ritorno alle urne il prima possibile, con l’auspicio, peraltro, che il prossimo Parlamento metta immediatamente mano su molte delle leggi approvate in questa legislatura; e la lista è decisamente lunga.
Del resto, si vota o no ogni 5 anni per confermare o per cambiare?
Non dovrebbe quindi destare particolare scandalo il tornare ad occuparsi di una questione vecchia di 19 anni, anche se decisa con un referendum.
Sul finanziamento pubblico ci sarebbe inoltre da ricordare che ci sono stati ben tre referendum, ma che solo uno di questi si è concluso con l’approvazione del quesito abrogativo: nel 1978 vinsero i no, mentre per l’ultimo quesito del 2000, che interveniva proprio per abrogare l’attuale legge sui rimborsi elettorali, non si raggiunse il quorum.
A volerla quindi dire tutta, manca la prova del nove per poter affermare che il risultato referendario del 1993 possa essere esteso anche ai successivi rimborsi elettorali introdotti nel 1999, vista, appunto, la scarsa partecipazione al referendum del 2000.
E se non ci fossero stati gli ultimi scandali di Margherita e Lega a fare ombra anche sulla modifica dell’art. 81 della Costituzione (e sì, qualcuno se n’è accorto?), con ogni probabilità neanche i comici di professione, tra cui la Littizzetto o Crozza, avrebbero avuto lo stimolo per ironizzare sulle storture più evidenti, così come nessuno si è mai preoccupato di fare proposte concrete per correggere l’iniquità di un sistema che, nell’insieme, non realizza affatto i principi costituzionali.
La legge sui rimborsi elettorali è una legge anticostituzionale per sua stessa definizione, in quanto, nel finanziare a posteriori e soltanto se si raggiungono determinati risultati, non è di alcuna utilità per quei cittadini che, associati in partiti, potrebbero essere privi delle risorse da anticipare “per concorrere – alla pari – con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art. 49 Cost)”.
Siamo cioè di fronte ad una legge che realizza l’esatto contrario di quanto affermato negli articoli 2 e 3 della Costituzione:
Art. 2 – La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3 – … È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Se oggi vi è, pertanto, l’urgenza di intervenire sui rimborsi elettorali, questa è data dalla necessità di dover attuare i principi costituzionali, non di legiferare, al contrario, per mantenere o aumentare le differenze.
Proprio per questo, qualsiasi intervento che andasse nella sola direzione moralizzatrice, attraverso, ad esempio, la corretta certificazione dei rimborsi e con una disponibilità finanziaria complessiva riferita ai soli voti validi, non sarebbe in ogni caso sufficiente se la platea dei beneficiari rimanesse sempre la stessa e se, nel contempo, non si intervenisse per fissare tetti di spesa rigorosi e con sanzioni vere per i casi di accertata violazione.
Per gli stessi motivi, la cancellazione di ogni forma di “sostegno” pubblico non sarebbe di alcun aiuto ai fini dell’attuazione degli articoli della Costituzione sopra ricordati, vista l’esigenza riconosciuta di dover “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Insomma, il messaggio lasciatoci dai costituenti è sin troppo chiaro e, soprattutto, più attuale che mai viste le trasformazioni degli ultimi anni.
Parliamo del nuovo contesto politico-istituzionale sorto a seguito della cancellazione del sistema elettorale di tipo proporzionale, anche in questo caso per via referendaria e sempre nel 1993.
Anni di passione che possono essere riassunti nella formula: chi arriva primo, al 30 o al 50% non fa differenza, vince tutto.
Per chi ancora lo ricorda, con il proporzionale non era possibile ipotizzare un mutamento del quadro politico senza importanti spostamenti di voti.
Diversamente, con il maggioritario è divenuto sufficiente spostare pochi voti per riuscire a “conquistare” la maggioranza parlamentare e il governo del paese. Così come per le forze politiche minori è divenuto sempre più difficile riuscire ad ottenere anche un solo seggio.
L’esercizio del diritto di voto risulta, infatti, fortemente condizionato da due elementi che, insieme, possono costituire una miscela micidiale: alle pressioni della forzatura bipolare, che già da sole sono più che sufficienti per spingere gli elettori nella direzione del cosiddetto voto utile, si debbono sommare i condizionamenti prodotti dalle alte soglie di sbarramento che potrebbero essere ritenute difficilmente superabili, in modo particolare se la forza politica potrebbe non essere in grado di comunicare al pari delle altre, e non solo nel breve periodo della campagna elettorale.
Da questo insieme di novità, appunto, l’aumentata esigenza di garantire le pari opportunità.
Uno stato di cose che dovrebbe indurre ad una lettura più attenta e convinta della Costituzione e, perché no? anche un’analisi dei guasti provocati dalla scelta referendaria che per prima ha modificato la legge elettorale e che, sino ad oggi, è stata solo in grado di produrre Parlamenti composti da soli nominati.
C’è purtroppo da essere sicuri, però, che non avverrà nulla di tutto questo.
Ora è infatti tempo di campagna elettorale e di slogan di facile presa, non certo di riflessioni approfondite sul come attuare la Costituzione.
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