Un imbecille si trova sempre. Sono due giorni che i media di regime pestano l’acqua nel mortaio gridando al “ritorno del terrorismo” per il ferimento dell’a.d. di Ansaldo Nucleare, Robero Adinolfi. Sono due giorni che attendono una rivendicazione che non arriva, mettendo in crisi la gestione fin qui data di un episodio totalmente oscuro.
Ed ecco che una manina (o una manetta?) anonima scrive quattro cazzate generiche via rete dicendo “che bell’azione, l’appoggiamo”; firmato cone una sigla mai sentita, ma che “echeggia” (e tanto sembra bastare) quelle degli anni ’70 o addirittura quelle partigiane. Per i media nessun dubbio: “i Gap dicono…”. Ma esistono? E chi lo sa, mica è importante…
«Il comunicato dei Gap diffuso tramite Indymedia non è una rivendicazione ma una valutazione politica di quanto accaduto», affermano gli investigatori. Secondo gli inquirenti, «una valutazione politica di quanto accaduto era comunque attesa». Ci sarà stata una reprimenda per la lentezza dell’elaborazione? E’ comunque divertente il fatto che anche il investigatori non riescano a tenere il passo con la logica dei fatti. Che riassumiamo per i nostri lettori:
– non c’è una rivendicazione, né una “pista” fondata su elementi fattuali credibili; insomma, non si sa chi è stato, né perché l’abbia fatto;
– ma c’è qualcuno – non si sa neppure se esista davvero – che fa una “valutazione politica” di motivazioni che non si conoscono, di “progetti” di cui si ignora la matrice e finanche i contenuti più generici; deve trattarsi di un medium davvero eccellente.
I giornali mainstream in affanno possono però rifiatare per un altro paio di giorni, il can can politico contro il conflitto sociale vero può riprendere come prima, indifferente al vero e ai problemi – crescenti – della popolazione.
Per capire quanto sia fittizio il lavorio dei media, leggiamo un’Ansa di stamattina:
«Piste parallele» che potrebbero «storicamente convergere» ma che ancora a Genova «non si sono mai chiaramente palesate» che potrebbero indirizzarsi decisamente verso l’area anarchico-informale. È questo il parere degli investigatori che stanno lavorando, a Genova e in altre città italiane, alla ricerca dei responsabili dell’ agguato al dirigente Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi. Secondo le fonti investigative, Genova è «da molto tempo» cuore di un certo anarchismo che ha agganci con l’estero: Svizzera, Spagna, Serbia e Grecia«. Le fonti hanno precisato anche che negli ultimi anni non ci sono state a Genova »evidenze brigatiste concrete«. I volantini lasciati in alcune fabbriche erano »tentativi di emulazione mal riusciti sia per contenuto che per lessico, lontani mille miglia da quelli brigatisti«.
Traduciamo: si ipotizzano gli anarchici perché è un’etichetta che può coprire quasi ogni cosa, visto che non si riconduce a “un’organizzazione” precisa né a un’area culturale caratterizzata da omogenità. Si esclude la “brigatista” perché da oltre 30 anni non se ne vede traccia in città e, soprattutto, qualche provocazione verso le fabbriche era dovuta a tentativi di imitazione così grossolani che persino gli inquirenti – che immaginiamo “pressati” dall’alto perché diano corpo a una pista che non c’è – le hanno buttate nel dimenticatoio.
Noi no. Se c’è in giro qualcuno che ritiene utile produrre “imitazioni grossolane” vuol dire che c’è una “manina” (o una manetta?) che esegue ordini politici; che i media di regime poi amplificano, com’è loro costume.
Poco dopo, però, in ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, parlando alla Camera, ha tagliato corto alle fantasticherie: la gambizzazione dell’ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, «non è stata finora rivendicata e non risulta che la vittima abbia ricevuto minacce». Non fa niente. Repubblica titola lo stesso, in apertura di homepage: Genova, i Gap: “Solidali con chi ha sparato”. Poi giù con il lungo discorso di Giorgio Napolitano che ripete “Non ci faremo intimidire” da qualcuno che non si sa chi sia, né se esiste, né che scopi abbia. Ma che ha già dei “commenti favorevoli”. Una specie di avatar via Facebook, insomma, che ha cliccato “mi piace”.
Ma lo stesso ministro non può resistere al gioco delle ipotesi.
L’attività di indagine, ha sottolineato Cancellieri, «non trascura alcuna direttrice e si stanno attentamente vagliando tutte le ipotesi investigative, comprese quelle ritenute meno probabili per le quali sono state sempre usate, anche da me, espressioni di grande cautela». Delle tre piste al vaglio degli investigatori, ha proseguito il ministro, «a quella che potrebbe associare l’attentato alla matrice brigatista, possono ascriversi le modalità con le quali è avvenuto l’agguato, in particolare l’uso di un’arma da fuoco e la preparazione che lo ha preceduto, che sembra dimostrare una certa capacità organizzativa». D’altra parte, ha ricordato, «non sono mancati in passato episodi intimidatori, ascrivibili a soggetti dell’area marxista-leninista, in cui ricorrono elementi di affinità e analogia operativa con l’attentato di luned scorso, come ad esempio il ricorso a pallottole calibro 7.62 Tokarev». Quanto alla seconda pista, ha proseguito la titolare del Viminale, «la tematica antinucleare ha sempre rivestito specifico interesse per i gruppi di matrice anarco-insuerrezionalista e nel marzo del 2009 è stato diffuso sul web un documento in cui, pur in completa assenza di minacce specifiche, erano stati indicati numerosi manager di diverse società impegnate nel settore dell’energia nucleare, fra i quali anche Roberto Adinolfi. Va pur detto – ha poi aggiunto – che l’utilizzo di un’arma da fuoco rappresenterebbe a livello operativo una novità assoluta nelle strategie dei gruppi anarco-insurrezionalisti che si affidano a diverse modalità di intervento». La pista commerciale, ha riferito ancora il ministro, nasce dalla considerazione che «l’Ansaldo Nucleare ha recentemente sviluppato la propria attività nell’area dell’Est europeo, con particolare riferimento alla Romania, all’Ucraina e alla Russia, attraverso la costruzione di nuove centrali nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi. In quest’ottica, non si può escludere che l’espansione commerciale della società su nuovi mercati possa aver prodotto reazioni di natura violenta indirizzate verso l’amministratore delegato» Peraltro, ha osservato, «tale eventualità potrebbe trovare riscontro nell’uso della pistola Tokarev, diffusa negli ambienti criminali dell’Est Europa».
Solo alla fine dell’intervento del ministro, insomma, si mette sul piatto qualcosa di concreto: gli affari dell’Ansaldo in espansione verso l’Est europeo; dove certo le “tecniche di management competitivo” seguono tradizioni un po’ meno soft che nei paesi di più antica industrializzazione.
Il testo postato su Indymedia: http://piemonte.indymedia.org/article/14908 è un colabrodo di frasi fatte che chiunque può copi-incollare da testi analoghi vecchi e nuovi. Con un pizzico di complottismo, il solito brodo del “sono tutti uguali”, e un tentativo di far rientrare anche il tentato omicidio del capogruppo Udc al Comune di Torino, Alberto Musy, in una continuità “sovversiva” piuttosto inventata. Dall’epoca del ferimento, infatti, gli inquirenti hanno tranquillamente lavorato su “piste” attinenti alla sua vita personale o profesionale. Depistaggi in corso?
Nell’orgia di segnali di fumo travestiti da notizie, ci sembra esemplare dal punto di vista giornalistico l’articolo scritto invece da Alessandra Fava e comparso su il manifesto di oggi. Si parla solo elementi concreti e verificabili. Come i giornalisti dovrebbero fare, ma quasi tutti non riescono proprio…
Attentato ad Adinolfi, indagini al buio
Alessandra Fava GENOVA
La polizia: «Preparato nei dettagli»
Un attentato preparato nei minimi dettagli: è l’unica certezza degli inquirenti che stanno indagando sull’attentato all’amministratore delegato di Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi, avvenuto l’altro ieri mattina in via Montello, sulle alture di Genova. Di Adinolfi i due misteriosi uomini col casco integrale sapevano tutto: spostamenti, abitudini, orari. Persino il fatto che il colpo abbia coinciso con il lunedì delle elezioni amministrative non sarebbe casuale. Dei cinque giorni lavorativi Adinolfi era a casa solo di venerdì e lunedì e in giro per il mondo per lavoro gli altri tre. Quel lunedì quindi era l’unico giorno dell’anno in cui il manager non avrebbe accompagnato la moglie all’istituto scolastico dove lei lavora come insegnante, perché la scuola era chiusa per i seggi elettorali. Quindi avrebbe preso l’auto da solo. Da questo dettaglio si deduce che forse il tentativo di gambizzazione non aveva l’obiettivo di avvelenare la giornata elettorale delle amministrative. Ma altri scopi. Anche se non si sa quali. L’indagine a oggi è tutto un forse. Perciò, c’è molta cautela nelle parole usate ieri pomeriggio dal capo della procura genovese Michele Di Lecce in una conferenza stampa affollatissima: «Le indagini sono in corso, si stanno muovendo su più fronti e in più direzioni, non c’è nessun risultato acquisito. Al momento il fascicolo è contro ignoti, per lesioni e lesioni aggravate con finalità di terrorismo».
Non ci sono identikit dei due assalitori «rimasti perennemente travisati». Ci sono sì, dei testimoni oculari, ma nessuno ha visto i due a volto scoperto. Per il resto, niente del loro abbigliamento può condurre a qualche scampolo d’indagine. In pratica al momento gli investigatori hanno «un solo reperto balistico trovato in via Montello», come ha specificato il coordinatore dell’indagine, procuratore aggiunto Nicola Piacente; la dinamica dell’attentato e lo scooter ritrovato da una volante della polizia in via Sauli poche ore dopo l’attentato.
Il reperto balistico è il bossolo ritrovato in via Montello nel sopralluogo dell’altro ieri, «presumibilmente si tratta di una Tokarev – spiega la procura – ma risaliamo a una Tokarev da un solo reperto balistico. Le indagini però sono ancora in corso, per cui si tratta di un’ipotesi e nel frattempo stiamo vagliando tutti gli episodi anche di natura non terroristica in cui appare una Tokarev in Italia, ad esempio un sequestro di armi fatto in Puglia».
In assenza di telecamere fuori dell’impianto sportivo di mura delle Zerbino che si trova proprio davanti all’imbocco di via Montello, gli inquirenti hanno ricostruito la dinamica dell’attentato in base alle testimonianze: quella lucidissima della vittima che, colpita e accasciata a terra, è riuscita a prendere il numero di targa della moto in fuga e quelle dei familiari e dei vicini di casa che hanno soccorso Adinolfi per primi. Il colpo è stato uno solo, sparato da dietro e da vicino. Lo stesso Adinolfi se ne sarebbe accorto solo collegandolo allo sparo appena udito. Gli attentatori avevano intenzione di spappolare il ginocchio di Adinolfi che è rimasto illeso per miracolo.
Il terzo elemento d’indagine è la provenienza dello scooter usato per l’azione e ritrovato da una volante della polizia poche ore dopo l’attentato. Si cercano segni di colpi di arma da fuoco o altri reperti che possano far risalire all’indentità dei due che, tra l’altro, hanno abbandonato la moto in via Sauli, perfettamente parcheggiata negli stalli per i motocicli. Insomma anche in questo piccolo dettaglio niente è stato lasciato al caso. Anzi, i due potrebbero aver occupato il posto con un altra moto prima di andare in via Montello a bordo della Yamaha rubata e su questo qualcosa potranno dire i filmati delle telecamere della polizia municipale. Ma sopratutto ci si chiede dove lo scooter possa essere stato conservato per un periodo di quasi tre mesi, visto che è stato rubato a Bolzaneto, nell’alta Valpolcevera, tra l’11 e il 12 febbraio scorsi.
Per il resto più interrogativi che risposte. «Gli inquirenti, almeno quelli coordinati dalla procura genovese, non hanno nessuna indicazione. Non escludiamo nessuna motivazione per un gesto del genere», ha concluso Di Lecce.
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