Confindustria sdogana Grillo. Lo fa alla sua maniera, riconoscendo che tra quel che dice sul palcoscenico e “il programma” messo nero su bianco (per modo di dire) sul suo sito c’è la stessa somiglianza che corre tra la notte e il giorno. Dal palco predica l’uscita dall’euro, nel sito si parla di tagli alla spesa pubblica.
Però viene considerato molto utile per intercettare il malessere politico che altrimenti potrebbe prendere derive incontrollabili. “Frantumare” il sistema politico dell’ultimo ventennio è una priorità per l’ordine economico-finanziario esistente. Monti è servito anche a questo, oltre a “dare una regolata” ai conti pubblici. Evidenziando l’inutilità della classe politica attuale – per il buon motivo che le decisioni vere si prendono in altra sede, sotto altri condizionamenti che non il voto popolare – il governo “tecnico” ha assestato un colpo di ghigliottina al sistema dei partiti. Inutili, “da rottamare”, come dice un altro predicatore da due lire buono per i talk show.
Questa era la parte facile del lavoro, visto come erano ridotti i partiti già in autunno. Averli costretti a sostenere il governo che li elimina è una raffinatezza quasi da mafiosi: “scavatevi la fossa”. Le elezioni amministrative hanno ratificato che il processo sta andando a buon fine.
Ma con cosa si sostituisce un sistema partitico morente? Come si “contiene”, in senso idraulico, una popolazione spaventata? Come si evita che tracimi rabbia, spavento, collera?
Qui, come spesso accade, anche i “grandi decisori della finanza globale” balbettano, vanno per prove ed errori. Guardano, soppesano, attendono, prima di incoronare questo o quel nuovo re nominato dall'”unica vera chiesa”, quella del Capitale. Era accaduto con Tangentopoli e si sta ripetendo ora. Piccoli leader crescono, vanno analizzati e soppesati. Sono soltanto piccoli pifferai dal seguito ondivago, ma ben istruiti possono tornare molto utili. Intanto, però, vanno accolti nella “buona società”, mostrandosi niente affatto spaventati dalle loro intemperanze “aurorali”, da “nuovo che nasce”. E vanno altrettanto “avvertiti”, con un trattamento altrettanto mediatico che significa “non ti montare la testa, baby”.
Con la perfidia che solo i padroni sanno avere, infatti, i giornalisti di Confindustria accennano a quel che in molti sospettiamo: che in realtà il Grillo furioso sia molto controllato da Casaleggio & friends, una sorta di network mediatico che lo userebbe come “faccia pubblica” di una “linea” decisa da altri soggetti.
L’operazione a suo modo è chiarissima. Il Sole 24 Ore “riconosce” che nel programma “vero” dei grillini “c’è molto buon senso”, di quelllo che viene dagli interessi dei piccoli azionisti; e nessuna “rivoluzione” sul piano economico. Quanto alla sua “indipendenza politica”, posta la premessa sul ruolo di Casaleggio, il giudizio non può che essere tranquillizzante: “ci si puà ragionare…”.
Appena accennate, invece, le questioni per così dire di “modello politico” del grillismo, misto fin qui insuperato tra “orizzontalismo di rete” e leaderismo carismatico indiscutibile. La cui evoluzione, anche dai “padroni”, è datata per scontata: massima concorrenza dal basso per farsi notare (e quindi nessuna possibilità di emergere come leader alternativi o concorrenti col gran capo) e libertà assoluta del leader. Che però “potrebbe essere eterodiretto”.
Sembra la fotografia della classe politica al tempo della sovranità multinazionale. Un esercito di formiche che rumina “partecipazione presunta”, un tantinello autofaghe, e un cervello decisore irraggiungibile, opaco, sfuggente.
Il massimo della democrazia possibile, nel capitalismo nella crisi globale.
L’economia secondo i grillini: provocazioni, ma c’è anche buon senso
di Isabella Bufacchi
«Sono per uscire dall’euro, con il minor danno possibile, e non pagare il debito pubblico o pagarne solo una parte». È stato questo uno degli slogan di maggior impatto pronunciati da Beppe Grillo nel corso della campagna elettorale di queste elezioni amministrative. Citando le opinioni di economisti e analisti, per rafforzare il messaggio, il leader del Movimento 5 Stelle ha parlato di un’Italia «Paese fallito» che dovrebbe rinegoziare il debito pubblico, seguire l’esempio di Ecuador o Islanda. Un obiettivo che, se preso seriamente dai mercati, da solo basterebbe a far schizzare lo spread a 1.000 punti.
Eppure sul sito ufficiale del partito, di default ed euroexit non c’è traccia. Al contrario, verso la fine di una lunga lista di proposte su temi economici sotto la voce “programma” sulle pagine di www.beppegrillo.it, c’è un traguardo politico che suona molto diversamente: «Riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e l’introduzione di nuove tecnologie» per l’accesso alle informazioni pubbliche. Uno tra tanti punti che sembrano dettati dal buon senso e da una voglia di pulizia e di trasparenza, piuttosto che non dalla provocazione: abolizione delle scatole cinesi in Borsa, dei monopoli di fatto e delle cariche multiple dei consiglieri nei Cda delle società quotate; divieto di incroci azionari tra sistema bancario e industriale; tetto agli stipendi del management di società private e pubbliche, per menzionarne alcuni tra i principali.
Lo scollamento tra gli slogan politici urlati da Grillo e il programma redatto sul sito del Movimento 5 stelle è presto spiegato. Un programma a livello nazionale non c’è, non esiste ancora ma stando a fonti del partito, il documento sarebbe in fase di stesura nell’ambito dell’entourage stretto di Grillo. E allora, che peso ha il programma nel sito? Si tratta, stando sempre a qualificate fonti interne al partito, della raccolta spontanea delle principali proposte avanzate dal 2009 dalla base, dai grillini, espressione di preferenze a livello locale. Quel che manca adesso è un salto di qualità, un programma nazionale che chiarisca senza ombra di dubbio qual è e quale sarà in vista delle elezioni politiche generali la posizione del Movimento a 5 Stelle su un argomento così vitale come quello della permanenza o meno nell’euro e del rispetto degli obblighi contrattuali sul servizio del debito oppure del default pilotato.
È possibile che già da oggi, quei mercati totalmente assorbiti dalle nuove elezioni greche, dai programmi elettorali dei partiti greci, dal “referendum greco” sull’euro e da quell’80% dei cittadini ellenici che vogliono continuare ad aderire alla moneta unica, dopo la vittoria di Grillo inizino a interrogarsi sui progetti del Movimento a 5 Stelle. Con il rischio che quegli stessi investitori istituzionali stranieri che dalla scorsa estate hanno perso la fiducia nell’Italia, cioè nella sua capacità di rimborsare i debiti, comincino a temere che potrebbe perdersi addirittura la volontà politica dell’Italia di ripagare puntualmente e integralmente il debito.
Il programma economico spontaneo che emerge dalle proposte dei grillini sembra invece preoccuparsi di più di altro, per rendere giustizia alle minoranze azionarie e lottare contro il conflitto d’interessi e gli abusi di posizioni dominanti, proteggendo i deboli. Tra le idee avanzate, ad esempio, c’è anche quella di rendere responsabili gli istituti finanziari sui prodotti proposti, con una compartecipazione alle eventuali perdite: un obiettivo impraticabile, perché esporrebbe le banche a rischi imponderabili di perdita, ma che richiama le tragiche esperienze dei Tango bond argentini, delle obbligazioni Parmalat e Cirio che hanno dilaniato decine di miliardi di risparmio degli italiani.
Beppe Grillo per contro si è spinto molto avanti con le sue provocazioni in piazza sull’uscita dell’Italia dall’euro: ha argomentato la sua tesi ricordando che «su 27 Stati aderenti alla Ue, dieci hanno mantenuto la loro divisa, tra questi Gran Bretagna, Svezia, Polonia, Repubblica Ceca, Danimarca che non rischiano alcun default». E poi ha citato Paul Krugman sul difficile mix tra rigore e crescita, e denunciato le “banche zombies” che acquistano i titoli di Stato con la liquidità delle operazioni LTRO della Bce invece di finanziare l’economia.
I grillini hanno caricato il loro programma economico spontaneo di «abolizioni» e «divieti», molti obiettivi puntano a «impedire», «vietare», «abolire». Resta ancora da vedere cosa finirà nel programma nazionale del Movimento 5 Stelle e soprattutto se quel programma rifletterà fedelmente l’opinione prevalente tra i membri alla base del partito. Nelle amministrative, il tema del debito pubblico è sì affiorato ma è anche stato affrontato in chiave locale, come debito locale: e come nel caso di Parma, non è stato sbandierato il default pilotato.
Fino alle elezioni generali, è auspicabile che i mercati sappiano distinguere tra gli slogan di Grillo da campagna elettorale e i programmi, più o meno trasparenti, dei grillini.
Con Grillo il web diventa la nuova piazza politica. Ma avanza un dubbio: e se il profeta fosse eterodiretto?
Guido De Francisci
Da alcuni anni sui simboli elettorali di quasi tutti i partiti politici appare, scritto ben in grande, il nome del leader. Sul simbolo del Movimento 5 Stelle c’è invece un indirizzo internet.
Ma la sostanza non cambia un granché, visto che il sito web è quello di Beppe Grillo. Ciò depotenzia parzialmente la pretesa secondo cui il successo del Movimento 5 Stelle – che con la conquista del Comune di Parma e di altri municipi minori e con gli ottimi risultati elettorali ottenuti altrove ha scompigliato non poco il panorama politico italiano – sia nato tutto sul web. Infatti il capitale iniziale del M5S, cioè la grande popolarità del comico ligure, ha avuto nella Rete soltanto un’ulteriore consacrazione, ma è nata attraverso uno strumento assai più âgé, la televisione, e un altro canale che ha un po’ più di duemilacinquecento anni, quel palco teatrale su cui, non troppi anni fa, un Grillo dai furori luddisti frantumava dei computer con impeto apotropaico.
Nel frattempo, per il profeta del movimento politico stellato il computer si è trasformato dal Male al Bene. E la Rete è così presente nel discorso politico di Grillo e dei suoi seguaci da sembrare, più che un mezzo per fare una politica nuova, un fine della politica nuova. Dire quindi che il grillismo sia nato sul web non è corretto ed è invece un’approssimazione più vicina alla realtà dire che si è sviluppato sul web. Con l’ausilio, peraltro, di una copertura televisiva del fenomeno del M5S che negli ultimi mesi è stata piuttosto intensa, al netto del rifiuto di Grillo di partecipare ai talk show e del fatto che gli esponenti del movimento hanno ricevuto l’interdetto ad apparire sugli schermi, un diktat che d’altra parte non tutti hanno accolto con uguale entusiasmo. Fatti tutti questi distinguo e dopo aver ricordato che anche i V-day, per quanto convocati con il tam tam internettiano, si sono tenuti in piazze fisiche e non virtuali, così come i comizi dei candidati stellati, non si può ovviamente negare che un utilizzo efficacissimo della Rete sia una componente fondamentale del Movimento 5 Stelle.
La sede del M5S è virtuale, il sito beppegrillo.it; lo statuto, anzi il “non-statuto”, riconosce alla “totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo”; le discussioni tra militanti si svolgono sulla piattaforma MeetUp; e anche le vittorie elettorali si festeggiano nella piazza di Facebook, nel campiello di Twitter e nello slargo di YouTube all’urlo virtuale di “Forza Belin!” digitato dal leader all’arrivo dei primi dati parmigiani.
Il sito beppegrillo.it primeggia da anni nelle classifiche delle pagine web in lingua italiana con più contatti, il profilo Facebook del comico-politico ligure ha ricevuto 860.000 “mi piace” e i suoi tweets hanno suppergiù 563.000 followers, cioè il doppio, il triplo o il quadruplo di quelli degli altri politici più cinguettoni, come Nichi Vendola, Antonio Di Pietro o Pier Luigi Bersani.Se nel web il M5S ha trovato il suo metodo per farsi strada in un panorama politico piuttosto ingessato, proprio nel web ha trovato anche le prime grane. Si tratta dei guai della democrazia diretta, quando il numero delle persone che vi partecipa diventa molto (e forse troppo) grande. Infatti anche in un movimento che pretende di applicare metodi decisionali perfettamente orizzontali, benché l’orizzontalità sia viziata fin dalle origini dall’esistenza di un “profeta”, alcuni semplici militanti diventano fisiologicamente dei capetti. Ma se la discussione interna avviene attraverso la tastiera di un pc o di uno smartphone, bastano pochi colpi di dito e pochi secondi per aggredire le ambizioni di chi assuma comportamenti leaderistici. Il rischio di cui si vedono già le avvisaglie – alcuni grillini hanno già defezionato, altri si sono spostati su posizioni critiche – è quello di raggiungere ben presto il tasso di litigiosità e di frazionismo proprio di un gruppuscolo trotzkista. Per non parlare della velocità di diffusione e della capacità di penetrazione attraverso la Rete di ogni teoria complottarda, in cui tra l’altro i grillini paiono piuttosto versati.
È il caso, ad esempio, del diffondersi di dubbi sulla figura del principale collaboratore di Grillo sul versante web, l’editore del suo sito e consulente strategico Gianroberto Casaleggio. Da tempo circola su quelle stesse autostrade comunicative internettiane percorse dal Movimento 5 Stelle la nozione che Grillo sia ormai “controllato”, “eterodiretto” e che la sua zazzera grigia e la sua voce tonitruante non siano altro che l’interfaccia di un software confezionato in stanze più segrete e da altre mani. La Rete dice questo, la Rete lo smentisce, la Rete lo rilancia, la Rete lo rismentisce. Il rischio è che, eliminando gli organigrammi di un partito e mantenendo tutte le voci su un livello pari, affidandosi ciecamente alla Rete come setaccio per separare ciò che attendibile da ciò che non lo è, il dibattito si trasformi in un chiacchiericcio indistinto in cui ciascuno dice la sua.
Il Movimento 5 Stelle ha per ora utilizzato con formidabile efficacia il web per la pars destruens, cioè per criticare l’esistente e farsi strada come alternativa. Già nella prima fase della pars costruens, e cioè l’individuazione dei candidati e il confezionamento dei programmi che rimangono perlopiù sul vago, ci sono state più frizioni tra i militanti. Ora che i grillini hanno anche responsabilità di governo e che quindi la pars costruens si fa più urgente, si vedrà se – al di là della promessa trasparenza, sempre attraverso la Rete, dell’attività degli eletti e della gestione dei soldi – il web sarà uno spazio esclusivo e altrettanto efficace di dibattito ed elaborazione politica.
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