Ma che riguarda tutti quanti intendono il sindacato come rappresentanza di interessi contrapposti a quelli dell’impresa.
La Fiom ha preso un’iniziativa che viene letta in modo molto diverso da “il manifesto” e dal “Fatto”; in specifico da un esperto giornalista sindacale come Loris Campetti e uno “scooppista” disinvolto come Luca Telese.
E’ ovvio che la decisione di convocare un’assemblea operaia su “lavoro e democrazia”, invitando i leader dei partiti di centrosinistra e sinistra a confrontarsi con la base sul problema della rappresentanza, ha un indubbio significato politico. Per quel che ne abbiamo capito e saputo, ci sembra un tentativo di porre – in modo mediaticamente ben studiato – alla “politica” il problema delle regole saltate nelle relazioni industriali. Tra “riforme” Sacconi e Fornero, modello Marchionne, “art. 8” della manocra d’agosto, cancellazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ecc, di fatto diventa impossibile fare sindacato “tranquillamente”. Diventa un mestiere a rischio per chi sceglie di impegnarsi e lascia i lavoratori senza la possibilità di scegliere da chi farsi rappresentare e, ovviamente, di rappresentarsi anche da soli.
Può essere anche altro? In questo mondo politico terremotato, molto è possibile. Ma non proprio tutto…
A lezione di politica dalla FiomLoris CampettiViviamo in un paese in cui il capo del governo viene scelto dalla troika europea, incoronato dal presidente della repubblica e sostenuto da un arco di forze che occupano l’85% del parlamento. Alla prima verifica popolare, le elezioni in molte città italiane, i partiti governativi prendono una sberla senza precedenti e persino chi «vince» perde voti. Soprattutto, va a votare soltanto la metà dell’elettorato, addirittura il 39% a Genova, mentre Grillo sbanca a Parma e conquista più sindaci della Lega.
Non si vede nel paese un’alternativa credibile allo stato di cose esistente e dunque la si cerca altrove dai luoghi e dai soggetti canonici, o si smette di cercarla. Contemporaneamente, il consenso di Monti accolto solo pochi mesi fa come il salvatore della patria si è dimezzato. C’entreranno qualcosa le sue politiche liberiste, la ghigliottina sulle pensioni, l’abbandono a se stessi dei giovani senza futuro, l’assalto ai diritti dei lavoratori dipendenti pubblici e privati? E avrà qualcosa a che fare l’abbandono delle urne con la debacle di una politica sempre più distante dai ceti sociali che finge di rappresentare?
In molti dovrebbero porsi queste domande, ma è sicuro che c’è almeno un luogo in cui esse sono al centro della riflessione collettiva: questo luogo è la Fiom, impegnata nella difesa della rappresentanza sociale minata da accordi separati e modifiche legislative che stanno riportando i rapporti tra capitale e lavoro agli anni Cinquanta. È ovvio che la Fiom si interroghi anche e di conseguenza sulla crisi della rappresentanza politica che ha espulso il lavoro dalla sua agenda, contribuendo ad approfondire il fossato che la separa dai ceti sociali devastati dalla crisi e dalle risposte classiste del governo, sostenute da Pdl, Udc e Pd e non osteggiate con la necessaria forza dai sindacati confederali. La mancata inversione di tendenza sulla precarizzazione del lavoro, l’attacco all’articolo 18, allo Statuto dei lavoratori e all’intero impianto delle relazioni sociali costruite in decenni di lotte operaie e sindacali, la svalorizzazione dei salari e delle pensioni, i tagli al welfare e quelli minacciati agli ammortizzatori sociali, fanno da pendant a una politica basata sui tagli e sull’ideologia del pareggio di bilancio. Nessun intervento serio di politica economica, nessuna scelta anticrisi, nessun invesimento per rilanciare uno sviluppo e un lavoro socialmente e ambientalmente compatibili.
Di questo si parla in Fiom, nei gruppi dirigenti come tra i delegati e gli iscritti dove cresce l’idea che questo modello di sviluppo e le ricette liberiste siano incompatibili con la stessa democrazia. Ma siccome i metalmeccanici della Cgil non sono abituarsi alle lamentele sterili, non si limitano a interrogarsi e condannare, al contrario mettono in campo tutta la loro forza e si aprono ai soggetti più deboli della società italiana, giovani, precari, disoccupati, movimenti sociali e territoriali con cui stanno intessendo rapporti positivi per rimandare al mittente il tentativo di dividere per colpire meglio, una alla volta, le vittime designate di una politica nemica.
Resta però il nodo della politica. Quando si parla di politica e di partiti, in casa Fiom si pensa innanzitutto alle sinistre. Non esistono, e da tempo immemorabile, partiti di riferimento e tanto meno governi amici per i metalmeccanici «rossi», che però rossi (e anche esperti) sono e restano. E si chiedono come dei partiti che traggono la loro sia pur lontana origine dalla storia del movimento operaio non ritengano giunto il tempo di fermarsi e guardare al presente, con un occhio al passato e l’altro a un futuro oggi coperto da nuvoloni neri. O c’è ancora chi pensa, nonostante l’evidenza, che il voto dei lavoratori dipendenti, dei giovani, dei pensionati sia conservato in un silos immarcescibile, perché tanto alla fine la truppa segue? Che ruolo hanno il lavoro e i diritti di chi lavora nella formazione della volontà politica di chi dice di proporsi come alternativa alle destre e alla disaffezione?
Oggi, a un anno dalle elezioni politiche, al centro del dibattito parlamentare c’è la riforma del marcato del lavoro, per la Fiom una controriforma. Per questo, per evitare nuove mattanze e nuove disaffezioni, il sindacato guidato da Maurizio Landini ha invitato Bersani, Di Pietro, Vendola e Ferrero a un confronto pubblico con il gruppo dirigente della Fiom e una platea di delegati metalmeccanici. Tutti hanno risposto positivamente ed è probabile che altre figure importanti della società italiana partecipino portando il punto di vista di studenti, precari, associazioni come il gruppo Abele, lo stesso Grillo se vorrà, la neonata Alba attraverso qualche suo promotore. A tutti gli ospiti saranno poste domande impegnative: sul lavoro, sulla rappresentanza (a proposito, quanti sono gli operai in parlamento?), sulla democrazia, sul modello sociale, economico e politico che si vuole costruire.
La domanda è scontata: la Fiom si mette a fare politica? La Fiom non cerca posti in parlamento e vuole continuare a fare quello che ha sempre fatto: il sindacato. Sarebbe straordinario se la sinistra facesse politica, e dicesse chiaramente con quali programmi, quali alleanze sociali prima ancora che politiche, vuol farla. L’appuntamento promosso dalla Fiom, e deciso all’assemblea nazionale dei delegati che si è tenuta questo mese a Montesilvano, è per sabato 9 giugno a Roma. In tempo per lanciare qualche segnale e fare delle scelte prima che sia troppo tardi.
IL PARTITO DELLA FIOM
Il sindacato delle tute blu propone un patto a sinistra
E annuncia: se salta, corriamo da soli
di Luca Telese
La Fiom si mette a fare politica? Condiziona la politica? Le chiede di cambiare rotta? Si candida a commissariare la politica sui temi del lavoro? Si candida e basta? Da domani, c’è da giurarci, anche questa variabile entrerà come una bomba nel dibattito politico del paese aggiungendo un nodo di complessità (ma anche di ricchezza) alla tessitura del nuovo centrosinistra. Da domani, c’è da giurarci, se ne discuterà, se non altro perché – dopo un dibattito approfondito – il sindacato di Maurizio Landini ha deciso di rompere gli indugi e di muovere un primo passo che (consapevolmente) potrebbe fargli piovere sulla testa una grandinata di polemiche, ma che, ancora una volta, accenderà l’attenzione sui metalmeccanici della Cgil e sulle loro battaglie.
Sta di fatto che da domani comincia il conto alla rovescia per un appuntamento che nell’ultimo mese è stato preparato da una serie di incontri riservati con tutti i principali leader di partito del centrosinistra, di cui – quasi incredibilmente – fino ad oggi non erano trapelate né la notizia né il contenuto. Sta di fatto che, il 9 giugno, a Roma, il gruppo dirigente della Fiom ha convocato a Roma Pierluigi Bersani, Antonio Di Pietro, Nichi Vendola, i movimenti, i sindaci progressisti. Non sarà una passeggiata per nessuno. E il dato clamoroso è che se non ottenesse quello che chiede, una parte del gruppo dirigente non esclude di promuovere un cartello elettorale.
Così, per capire quale sia la po sta in palio bisogna tornare all’ultimo comitato centrale del sindacatone rosso, meno di un mese fa, quando Giorgio Airaudo, il numero due della Fiom costruisce uno slogan che riassume mesi di discussioni: “In questi anni abbiamo fatto una battaglia per difendere i diritti, e per questo sempre inseguiti dall’accusa di fare politica. Da oggi in poi, visto che le nostre battaglie non hanno trovato sponda – dice – dobbiamo puntare a inserire i diritti e il lavoro nell’agenda della politica. Dobbiamo fare politica, quindi, a viso aperto, perché il sindacato e i lavoratori non restino più soli”. Anche chi non conosce il lessico sindacalese si può rendere conto che il teorema Airaudo apre una strada a una piccola rivoluzione. Ma il fatto che nel parlamentino delle tute blu della Cgil nessuno quel giorno sollevi delle critiche, rende l’idea di quanto questa svolta sia maturata in profondità nell’ultimo anno.
Lo scenario è quello delle battaglie legali, dei referendum nelle fabbriche, delle sentenze dei giudici disattese dalla Fiat, nel disinteresse pressoché generale dei dirigenti del centro- sinistra. “Dobbiamo riscrivere la lista delle priorità – ama ripetere Landini – e i primi due punti più importanti si chiamano lavoro e diritti”. Insomma, un mantra. Quel giorno, nel comitato centrale non c’è più nemmeno Fausto Durante, leader dell’ala “Camussiana” della Fiom, la destra interna appena assurto ad un nuovo incarico confederale. Ma nessuno dei suoi eredi solleva dubbi.
Anche quelli abituati al gioco delle parti fra il gatto e la volpe, a cui Landini e Airaudo si sono specializzati in questi anni, restano stupiti quando Landini conclude dando la linea: “Dobbiamo costruire una iniziativa forte attorno alla Fiom che abbia un peso sulla politica”. Come, e in che modo?
In realtà, dal referendum Fiat fino al convegno di Monte Silvano Landini si sta arrovellando intorno a questa domanda. La prima formula a cui la Fiom ha pensato è quella di un “Patto su lavoro e diritti” da proporre a tutti i candidati del centrosinistra nessuno escluso. Una sorta di bollino di garanzia certificato dal sindacato, o – se volete un modello – un remake sociale di quello che fu il patto Segni nel 1993. Al posto dei vincoli sulla riforma elettorale, la Fiom vuole organizzare un impegno su questi temi: 1) La riscrittura della riforma previdenziale sui lavori usuranti e sul riconoscimento differenziato della fatica del lavoro 2) Un pacchetto di leggi per il riconoscimento della democrazia sindacale 3) Una legge sui precari 4) La modulazione di un salario di cittadinanza 5) Un impegno del governo a sostenere un piano strategico sulle politiche industriali.
La prima notizia è che nessuno dei leader ha rifiutato l’invito o ha pronunciato un ‘no’ preliminare. Anzi, il leader che potrebbe avere qualche problema alla sua “ala destra”, a sottoscrivere il patto – Bersani – non ha chiuso nessuna porta. Anzi, ha detto: “Ci sarò”. La seconda è che la sortita Vendola-Di Pietro con l’ultimatum al Pd forse avviene anche perché in questo scenario complesso sono molti i protagonisti che si muovono. Non è un caso che Landini e Airaudo abbiano incontrato anche il gruppo dei professori de l’Alba (la Fiom era presente all’assemblea fondativa con il suo numero due) e il gruppo di MicroMega di Flores D’Arcais.
L’incontro con Vendola, fra l’altro è avvenuto subito dopo il primo turno delle elezioni francesi. Dove gli uomini della Fiom hanno osservato con molta attenzione il risultato di Jean Luc Melenchon, che con il suo Front de Gauche ha ottenuto un risulto a due cifre (federando tutte le sinistre radicali) e riuscendo nel risultato politico, per loro ancora più importante, di spostare “a sinistra” il baricentro della campagna di Francois Hollande.
Infine il rischio: con questa iniziativa la Fiom bypassa anche la Cgil della Camusso. Un leader storico delle tute blu come Gianni Rinaldini, ascoltatissimo padre politico di Landini, non nasconde la sua visione, molto critica sulle scelte di corso Italia: “La Cgil avrà motivo per interrogarsi sui suoi rapporti di subalternità ai partiti. Vedo grande agitazione e slogan – osserva l’ex numero uno della Fiom – ma un sindacato che alla fine ratifica le mediazioni della maggioranza”. Anche Rinaldini sogna un ruolo propositivo: “Nel mondo dove la sinistra funziona i sindacati fanno questo: pensate al Brasile, dove nel Pt questo schema ha funzionato, eccome”. Già. Perché nella Fiom, e nei movimenti che ha aggregato, sono molti a credere che Landini possa essere un nuovo Lula. Magari anche nelle prossime elezioni.
da Il Fatto
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