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Che succede al “manifesto”?

Guardiamo sempre con rispetto al travaglio altrui. Il mondo dell’informazione, oggi, si trova in un “dopo Cristo” al pari del lavoro dopo il “modello Marchionne” e della politica dopo il “modello tecnico” imposto direttamente dalla troika Ue-Bce-Fmi. Ma l’informazione di sinistra, spesso, non se n’è neppure accorta e continua a rigirare su se stessa alla ricerca di un “ritorno alla normalità” che – lasciatecelo dire – non avverrà mai più.

Ha chiuso Liberazione, è in crisi l’Unità, e non nominiamo nemmeno i foglietti di corrente che sono fin qui sopravvissuti solo grazie ai fondi dell’editoria e a redazioni ridotte all’osso come le pagine.

Il manifesto è un caso diverso ma uguale. Non è più da decenni un giornale di partito (lo è stato alla fndazione e per pochissimi anni), ha una rete di sostegno attivo molto importante che garantisce uno “zoccolo duro” di vendite e abbonamenti. Comunque insufficiente per una redazione pletorica rispetto ai ferrei criteri di mercato. Anche il contributo pubblico, ridotto dal duo Tremonti-Berlusconi ma sostanzialmente confermato in ribasso anche da Monti & co. – ha a questo punto aperto voragini nei suoi conti.

Ripetiamo cose note, al punto da qualche mese il giornale risulta in “esercizio provvisorio” all’interno di una procedura di “liquidazione coatta amministrativa” che ha come esito inevitabile, ­ prescritto addirittura dalla legge, la vendita della testata.

A chi? È la domanda che si pone e che angoscia i lettori-sostenitori.

Una delle ipotesi è ovviamente che possa essere riacquistata da una cooperativa “il manifesto 2”, necessariamente più snella, più “produttiva” secondo canoni capitalistici, ecc.

Con quali capitali? I lettori-sostenitori, nelle due lettere pubblicate oggi e che qui sotto riportiamo, chiedono soprattutto due cose:

  • che il giornale mantenga l’ispirazione originaria, pur nei tempi mutati; ossia che resti un giornale – se non “comunista critico” o addirittura “eretico” – almeno di “sinistra radicale”, una spina nel fianco del “pensiero unico”;

  • di essere considerati parte integrante della “proprietà” del giornale futuro, così come lo sono stati per oltre 40 anni; ma a condizione di non essere relegati al ruolo passivo di “fornitori di denaro liquido a scadenza fissa”, oltre alle copie acquistate.

Un ruolo politico, insomma, in una comunità certamente più vasta della sola redazione.

Qual’è stata la risposta dell’attuale direttore, Norma Rangeri? Un sostanziale “vi faremo sapere”. Senza impegni, senza feedback, senza una sola considerazione politica sul momento attuale e sulle caratteristiche “necessarie” di un giornale da reinventare per un mondo totalmente cambiato rispetto alle origini. Una risposta sorda alle domande politiche, ma speranzosa nella disponibilità del portafogli altrui. Fredda, indifferente e burocratica. Non sembra un colpo di genio, in fondo, chiedere aiuto a chi ti legge ma fregarsene delle loro opinioni. Il rischio è quello di non vederli più in edicola la mattina dopo.

Una conferma indiretta della sostanziale “autoreferenzialità” di una redazione palesemente e politicamente divisa – basta leggere il giornale per vedere almeno due linee opposte (una di critica decisa al governo e alle forze politico-sindacali che lo sostengono, l’altra totalmente interna all’orizzone delle alleanze con al centro il Pd) – e che non vuole essere “condizionata” dal proprio pubblico di lettori.

Ma se la redazione è divisa, la prossima cooperativa “minore” sarà composta da una sola parte politicamente omogenea o da parti di entrambe? Nel secondo caso non serve un indovino per capire che il manifesto continuerebbe a soffrire dell’identica paralisi intellettuale che lo attanaglia oggi. Nel primo, invece, quale delle due (o tre) linee si affaccerebbe a chiedere aiuto, sostegno, calore… e soldi ai lettori? Ovvero: quale “progetto politico ed editoriale” viene proposto in cambio di una richiesta di sostegno? Non rispondere a queste domande può significare solo due cose: che non si conosce la risposta o che la si vuole tener nascosta. In entrambi i casi – anche per noi che da sempre siamo lettori un po’ più tiepidi del giornale che fu di Pintor, Rossanda e Parlato – la tensione solidale verso questo giornale rischia di sgonfiarsi totalmente.

Quello di Norma Rangeri è quindi un atteggiamento suicida. Sul piano politico e quindi economico. Non sappiamo dire se per eccesso di calcolo o per inadeguatezza. Ma dicono che dio confonda coloro che vuol perdere…

 

da “il manifesto”

Eravamo a Bologna il 20 maggio, è passato quasi un mese e da allora sono successe tante cose fra cui la più importante il ripetersi delle scosse di terremoto in Emilia che colpiscono dolorosamente migliaia di persone, e anche i circoli, nella loro limitatezza, stanno cercando di contribuire alla solidarietà attiva. Sono passati i giorni e ne mancano meno a fine giugno, termine entro il quale si era deciso di convocare un terzo incontro nazionale dei circoli sulla crisi del giornale, però né dalla direzione, né dal collettivo del giornale è arrivata alcuna notizia sia sulla trattativa in corso con i liquidatori, sia su un eventuale progetto di salvataggio, di rilancio o di rinascita del giornale e tanto meno di come si vuole arrivare a reperire i soldi per l’eventuale acquisto della testata. Ci viene da dire che siamo alle solite, nonostante gli impegni verbali anche di Norma Rangeri di affidare, “da ora in avanti”, a un soggetto interno alla redazione la responsabilità di collegamento ed informazione, chiara e tempestiva, tra giornale e circoli e sostenitori. Come è già stato precisato a Bologna, sottolineiamo che vi è il rischio reale che venga minata pesantemente la tenuta della rete di sostegno al giornale, proprio nel momento in cui si andrà a chiedere il suo massimo impegno, anche nell’ipotesi di un’eventuale futura campagna di finanziamento per la ricostituzione del capitale sociale, in una situazione non transitoria di pesante crisi economica, che prosciuga anche le nostre tasche. Infine, non ci stanchiamo di ripetere che ogni progetto di rilancio o rinascita del giornale passa obbligatoriamente attraverso il più ampio ed attivo coinvolgimento dei circoli, dei sostenitori e dei lettori, condizione più volte e lungamente richiesta da questi ultimi ed alla quale il giornale non ha dato, finora, effettivo riscontro. Tradotto in termini chiari: non potete continuare a chiedere soldi senza dare risposte sulla loro gestione. Ci dispiace ricordare l’esperienza non proprio positiva della manifesto Spa. Gli esempi di strumenti di partecipazione dei lettori/sostenitori ci sono da Le Monde in Francia a quello, più assimilabile, a noi della Taz a Berlino, illustratoci da Giudo Ambrosino.
Un altro appunto ci permettiamo di fare: il circolo di Bologna ha attivato un sito d’informazione locale (www.ilmanifestobologna.it), che potrebbe essere il primo nodo di una rete di siti del manifesto realizzata anche in altri territori attraverso forme di gemellaggio e di cooperazione attiva che arricchirebbe il sito del manifesto, sia come contenuti sia come numero di contatti (ogni contatto al sito del manifestobologna è conteggiato anche in quello del sito del giornale), che i termini di raccolta pubblicitaria male non fa. Sulla pagina del sito del manifesto non c’è nessun link di collegamento. Ovvero della serie la mano destra non sappia quello che fa la sinistra. Aspettiamo una risposta e intanto continuiamo nella nostra attività di sostegno.
I compagni e le compagne del Circolo di Padova

 

Cara Norma, care/i compagne/i della redazione, sappiamo della fase difficile che vive il manifesto e siamo consapevoli del rischio che corriamo. Tuttavia, e questo è un aspetto positivo da non sottovalutare, stiamo cercando tutti una fuoriuscita dalla crisi. Sono sicuro che cercheremo ancora le strade praticabili (compatibili e coerenti con la natura del giornale) perché il manifesto possa ancora uscire. Sottolineo l’aspetto della coerenza rispetto all’ispirazione originaria del giornale, lo ritengo irrinunciabile perché senza questa caratteristica il quotidiano sarebbe un’altra cosa.
In queste settimane, forse mesi (comunque pochi) dobbiamo prendere decisioni importanti: la forma proprietaria del giornale, le modalità con cui arrivare a questa risoluzione, la definizione di un progetto politico-editoriale del manifesto.
Come facciamo tutte queste cose?
Cara Norma e care/i compagne/i della redazione io ho l’impressione, dalle informazioni che ricavo dal giornale e dai pochissimi incontri che organizziamo, che voi redazione vogliate decidere da soli tutte queste cose. Forse questa vostra scelta è suggerita dalla discrezione o dalla preoccupazione che eventuali contrasti interni possano alimentare contrapposizioni schematiche. Ma anche in questo caso commettereste un errore perché l’appartenenza del manifesto va oltre la redazione. Sin dall’inizio il quotidiano è appartenuto giuridicamente ad una cooperativa di giornalisti, ma politicamente ad un’area ben più larga che comprendeva i sostenitori, i lettori, i simpatizzanti, insomma tutti coloro che consideravano il manifesto uno strumento di informazione critica e di progettualità per la sinistra.
Del resto quali aspettative pensiamo che abbiano le centinaia di compagni che partecipano agli incontri che organizziamo a sostegno del giornale? Sono compagni che intendono mantenere un rapporto con noi, che vogliono sostenere il manifesto ma vogliono al tempo stesso essere protagonisti delle scelte che si faranno per uscire da questa crisi.
Per tutte queste ragioni vi propongo pertanto di uscire dal silenzio, di aprire un’ampia discussione sul giornale e nelle sedi dove operano i compagni del manifesto, e di coinvolgere tutti coloro che sono interessati alla vita di questo nostro giornale. Le conclusioni potranno scaturire soltanto dopo.
Un caro saluto,
Marco Ligas

 

Caro manifesto che succede?

Tanti singoli compagni, come anche molte associazioni a noi vicine, e, insieme a loro, i circoli del “manifesto” ci chiedono di sapere cosa succederà alla nostra impresa collettiva. Ci chiedono di capire come procede la liquidazione coatta, quali idee abbiamo per il futuro del giornale. È una testimonianza di affetto, un richiesta di maggiore partecipazione a questa fase delicata della vita del “manifesto”, perché il costante impegno a sostenerlo con iniziative di incontri e raccolta di fondi sia accompagnato da una più ravvicinata informazione sulle scelte del nostro collettivo.
L’ultima volta ci siamo visti circa un mese fa a Bologna in un’assemblea rappresentativa dei circoli. L’abbiamo raccontata sul giornale e sul sito, pubblicando l’ordine del giorno conclusivo della riunione. Successivamente, a distanza di un paio di settimane, le rappresentanze sindacali del collettivo sono andate a Bologna per spiegare meglio il loro difficile lavoro di fronte alla richiesta dei liquidatori di tagliare più della metà dei dipendenti della cooperativa. Dunque nessun silenzio, le assemblee in giro per l’Italia continuano e il confronto con i redattori che vi partecipano è costante.
La scorsa settimana, dopo lunga attesa e qualche rinvio, Cdr e Rsu, insieme a Fnsi e Cgil, hanno incontrato i liquidatori al ministero del lavoro per arrivare a un accordo, alla presenza anche del rappresentante del ministero dello sviluppo, sulle modalità degli ammortizzatori sociali: un passaggio decisivo e preliminare a ogni discorso di ripensamento editoriale del “manifesto”. Sapere quanti saremo al lavoro, per quanto tempo avremo la cassa integrazione, se sarà a zero ore o a rotazione, come tutti possono capire, è alla base di ogni passo successivo. Ancora non sappiamo nulla, un’altra riunione ministeriale è stata fissata per il 25 giugno.
Naturalmente, non essendo un partito, il problema posto dai circoli non si riferisce alla linea politica, né alla collocazione politico-culturale del “manifesto” che è e resta l’unico quotidiano voce della sinistra radicale nelle sue articolazioni plurali, e l’unico quotidiano antiliberista. Questi sono punti fermi. Il piano editoriale invece è un impegno urgente e mentre in generale significa quanto e come investire, per noi significa come far quadrare i conti e mandare in edicola un giornale migliore a costo zero. Esempio: potenziare il sito? Assolutamente necessario, ma con quali risorse umane e finanziarie? Non ne abbiamo discusso pubblicamente perché lavoriamo nella totale incertezza e finora il nostro impegno è stato indirizzato a capire come chiudere questa fase di liquidazione. Comprendiamo molto bene le preoccupazioni, che sono innanzitutto nostre, di non ripetere gli errori del passato (giustamente alcuni circoli ricordano l’esperienza della Spa). Dobbiamo immaginare una nuova forma proprietaria, una nuova cooperativa che garantisca la storia e anche il futuro. Purtroppo ricette miracolose non esistono. Per istruire una discussione ordinata abbiamo scelto di organizzare un comitato di crisi, strumento utile a impostare questa ricerca, ma non ancora operativo. Il futuro proprietario del “manifesto” non dipende solo da noi, ma dalla legge, dalle misure contenute nel decreto Peluffo in discussione al Senato. Esempio numero due: se per avere diritto ai fondi dell’editoria, nel passaggio da una vecchia a una nuova cooperativa, devono passare cinque anni o un solo giorno, si aprono scenari completamente diversi. La discussione è sempre benvenuta ma i tempi e i modi sono legati a condizioni determinate, a cominciare dalla gestione e dalla conclusione della liquidazione coatta.
Norma Rangeri

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