Devono essere confermate le dieci pesantissime condanne per devastazione e saccheggio inflitte in secondo grado a dieci manifestanti considerati responsabili di aver messo a ferro e fuoco la città di Genova tra il 20 e il 21 luglio del 2001 nel corso del G8 di Genova. E’ quanto ha chiesto il sostituto procuratore generale della Cassazione Pietro Gaeta sollecitando, ai giudici della prima sezione penale, il rigetto dei ricorsi presentati dalle difese dei dieci imputati. Se la Cassazione dovesse confermare la sentenza della Corte d’Appello di Genova del 9 ottobre 2010 come richiesto da Gaeta, i dieci manifestanti rischiano un totale di circa 100 anni di reclusione.
Per i dieci condannati queste furono le pene: Francesco Puglisi 15 anni di reclusione; Vincenzo Vecchi 13 anni; Marina Cugnaschi 12 anni e 3 mesi; Alberto Funaro 10 anni; Carlo Arculeo 8 anni; Luca Finotti 10 anni e 9 mesi; Antonino Valguarnera 8 anni; Carlo Cuccomarino 8 anni; Dario Ursino 7 anni; Ines Morasca 6 anni e 6 mesi. Nella requisitoria durata un’ora e mezzo il Pg Pietro Gaeta, lo stesso rappresentante della pubblica accusa nel processo conclusosi il 5 luglio con una condanna-beffa dei vertici della polizia responsabili delle torture contro decine di manifestanti, ha insistito sul fatto che in quei giorni “l’ordine pubblico a Genova fu posto in pericolo”. E per questo la sentenza della Corte d’Appello di Genova ha inflitto le condanne “graduando perfettamente le pene anche nel giudizio di personalità, vale a dire tenendo ben presente i fatti specifici” di cui si resero – è la tesi dell’accusa – protagonisti i dieci manifestanti accusati di appartenere al cosiddetto blocco nero. E quindi secondo Pietro Gaeta i dieci imputati devono essere condannati per il reato di devastazione e saccheggio punito dall’art. 419 del codice penale. Poco importa che il reato sia un retaggio del codice in vigore durante il regime fascista e che venga usato al posto di quello di danneggiamenti, assai più lieve. “Il concetto di devastazione – ha spiegato Gaeta – é un atteggiamento sistematico tutt’altro che indeterminato. Mentre il reato più lieve di danneggiamento si esaurisce infatti nella lesione della proprietà individuale la devastazione incide sull’ordine pubblico. Con la devastazione si vuole dimostrare la contrapposizione non negoziabile. Insomma, la devastazione -ha insisito- é la messa in discussione dell’ordine civile. Dove c’e’ devastazione, non ci può essere altra manifestazione di pensiero”. Una tesi politica, più che giuridica.
Alla difesa che lamentava il fatto che le contestazioni ai dieci imputati sono alquanto generiche, Gaeta ha risposto evidenziando che “nel reato di devastazione non é necessaria la partecipazione ad una pluralità di fatti cioè, non é necessario che tutti facciano tutto”. In barba al principio della responsabilità personale… Ad avviso della pubblica accusa la sentenza di appello ha “perfettamente collocato la sequenza dell’uso dei mezzi per realizzare il danneggiamento: dal lancio delle pietre, al getto delle molotov, alla rimozione dei cassonetti… insomma, il danneggiamento non é stato un fatto isolato ma sistematico e preordinato (…) le strade furono disselciate per lanciare le pietre, le vetrine rotte per lanciare le molotov, i bancomat sfondati per rubare i soldi e i cassonetti usati come trincee urbane”. Il pg, inoltre, ha sottolineato come ”dove c’e’ devastazione, non ci può essere altra libera manifestazione del pensiero, quindi questo reato e’ perseguito da una norma garantista a tutela delle garanzie costituzionali dei cittadini”. A detta del Pg, poi anche le immagini che riproducono le devastazioni avvenute durante il G8 “sono tutt’altro che neutre”. Un esempio su tutti: “E’ davvero neutra – ha chiesto Gaeta – l’immagine del carrello colmo di generi alimentari all’uscita dal supermercato appena devastato?”. Da qui la richiesta di confermare completamente la sentenza della Corte d’Appello che, rispetto alla decisione di primo grado, ha appesantito le condanne nei confronti di dieci manifestanti.
In caso di condanna tutti e dieci gli imputati dovranno farsi anni di galera, visto che l’indulto copre solo 3 anni.
La lunga udienza è cominciata intorno alle 11 di questa mattina proprio mentre alcune decine di attivisti di vari movimenti sociali, alcuni dei quali attivi nelle organizzazioni protagoniste delle manifestazioni genovesi del 2001, manifestavano a poca distanza, in Piazza Cavour, in solidarietà con gli imputati, esponendo lo striscione ‘Chi saccheggia é lo Stato. Tutti liberi. Chi devasta é il capitale’. A blindare il Palazzo di Giustizia centinaia di agenti dei vari corpi di sicurezza in assetto antisommossa.
Durante una conferenza stampa alcuni rappresentanti hanno illustrato i contenuti della campagna intitolata ‘Genova 2001 non é finita, 10X100 anni di carcere’ che in poche settimane ha raccolto decine di migliaia di adesioni. Una campagna che, come abbiamo già scritto, chiede di annullare le condanne e di non fare dei dieci imputati altrettanti capri espiatori. In tarda mattinata i manifestanti sono diventati più numerosi e ad un certo punto hanno manifestato davanti all’ingresso del Palazzo di Giustizia con slogan e fumogeni colorati.
In contemporanea con l’udienza in Cassazione anche in altre città movimenti e organizzazioni della sinistra stanno realizzando delle mobilitazioni. A Bologna è in corso un presidio in piazza Nettuno, che durerà fino al pronunciamento della sentenza, all’insegna dello slogan “”G8 Genova 2001 non é finita. Dieci, nessuno, trecentomila”. Gli attivisti hanno montato due gazebo, e hanno messo a disposizione una tv con un collegamento in streaming con Roma per seguire in diretta le notizie sul processo. “Per i massacratori in divisa una brillante carriera, per dieci manifestanti cento anni di carcere” é scritto su uno striscione appeso sul palazzo del Comune.
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