G8, condannati i manifestanti di Genova
Globalist 13 luglio 2012
di Checchino Antonini
Prendere a calci un vetro già andato in frantumi è più grave di uccidere un diciottenne che torna a casa senza commettere alcun reato. Solo ritocchi dalla Cassazione alle sentenze genovesi per i dieci manifestanti scelti a casaccio tra i trecentomila che contestarono il G8 del 2001. Al di là del maquillage resta – agghiacciante – la condanna a un secolo di galera complessivo per devastazione e saccheggio, reati gravissimi pensati da quel Rocco che scrisse per il duce un codice di leggi di polizia negli anni ’30 ancora in voga nei palazzi di giustizia italiani.
Occhi rossi nell’aula del secondo piano del Palazzaccio, sede della Cassazione, quando il presidente della Prima sezione sciorina il dispositivo della sentenza definitiva per uno dei tre grandi processi scaturiti da quelle tre giornate genovesi del luglio di undici anni fa. Nello stesso contesto, solo otto giorni prima, era stata pronunciata una sentenza di segno opposto contro i vertici della polizia di stato e alcuni agenti colpevoli a vario titolo del massacro di 92 cittadini europei alla scuola Diaz e del loro arresto illegittimo.
Stavolta, invece, la corte ha pressoché assecondato le richieste del procuratore generale. Ha solo reso più miti 8 condanne ad altrettanti manifestanti rigettando in toto i ricorsi di altri due. Dopo tre ore di camera di consiglio, infatti, ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Genova del 9 ottobre 2010 limitatamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche nei confronti di Carlo Arculeo (in appello 8 anni), per Carlo Cuccomarino (8 anni) per Antonino Valguarnera (8 anni).
La Suprema Corte ha inoltre annullato senza rinvio limitatamente al reato di detenzione di bottiglie incendiarie nei confronti di Luca Finotti (10 anni e 9 mesi in appello), Vincenzo Vecchi (13 anni); Marina Cugnaschi (12 anni e 3 mesi) e Francesco Puglisi (in appello 15 anni). Di conseguenza la Suprema Corte ha ridotto la pena per Puglisi a 14 anni e nei confronti degli altri 3 ha operato una riduzione delle pene pari a 9 mesi.
Una decisione che va a determinare le condanne di appello che due anni fa erano state pari ad un secolo per i 10 imputati. In pratica, per cinque persone verranno rideterminate le pene se il tribunale di Genova riconoscerà l’attenuante di aver agito suggestionati da una folla in tumulto. La pubblica accusa di piazza Cavour rappresentata da Piero Gaeta aveva chiesto, invece, di confermare completamente la sentenza di secondo grado, nella convinzione che, «durante il G8 di Genova fu messa in discussione, dal profondo devastamento subito dalla città, la vita pacifica dei genovesi».
«Ma l’ordine pubblico – e tantomeno il vivere sociale dei genovesi non è stato assolutamente violato», spiega a Globalist Simonetta Crisci, una dei difensiori dei manifestanti citando la memoria di Dario Rossi, genovese del legal forum, consegnata in appello per spiegare come la città fosse desertificata e l’ordine pubblico in balìa di quindicimila armati di ogni corpo che decisero dove agire e dove non farlo. Di genovesi nemmeno l’ombra. «Non ci furono scorribande ma solo un passaggio in spazi consentiti da quei 15mila – dice ancora Crisci – la devastazione implica che i danneggiamenti costituiscano un impedimento concreto, cosa che a Genova non avvenne».
Ma l’argomentazione non ha convinto chi avrebbe potuto smontare un teorema e, invece, s’è dimostrato «timido» di fronte a una sentenza piena di incoerenze e sena adeguate motivazioni a condanne pesantissime. Si apriranno le porte della galera per punire comportamenti simbolici e con largo uso di quel concetto di concorso morale che invece non è stato applicato a De Gennaro dalla Cassazione di fronte a prove ben più concrete di quelle a carico di persone che, senza mai conoscersi, hanno condiviso solo la presenza a Genova quel 20 luglio di undici anni fa.
«Lo stesso gesto – ricorda anche l’avvocato Francesco Romeo – per alcuni tra i dieci ha fruttato una condanna per altri non è stato considerato. Adesso cinque persone devono entrare in carcere e altre cinque devono rifare il processo per la rivalutazione delle attenuanti ma ingiustizia è fatta per la sproporzione abissale delle pene, per danni solo a cose, merci, edifici, rispetto ai funzionari e agenti della Polizia che, pochi giorni fa, hanno chiuso un percorso processuale per sevizie senza pagare alcun prezzo alla giustizia. Perchè le loro dimissioni dalla Polizia sono solo una sanzione amministrativa».
Condanna esemplare
Alessandra Fava – Il Manifesto 14 luglio 2012
All’inizio i devastatori erano 26, poi sono diventati 25, poi 10, ora 5. O meglio cinque sono i devastatori e saccheggiatori sicuri. Per altri cinque il processo torna in appello per un ricalcolo perché è stata accolta l’ipotesi formulata dai loro legali che abbiano agito nella «suggestione della folla in tumulto», anche se sono sempre accusati di devastazione e saccheggio. Morale: cinque vanno in carcere subito per un totale di 54 anni e 3 mesi, con pene da 14 a 6 anni e mezzo. Gli altri si vedrà. Finisce così il processo per i disordini di piazza al G8 genovese del 2001. Uscito dal Palazzaccio poco dopo le 19,30 appena ultimata la lettura della sentenza dopo cinque ore di camera di consiglio, uno dei difensori, l’avvocato Francesco Romeo, commenta «ingiustizia è fatta: è evidente a tutti l’abissale sproporzione tra le condanne a cittadini per reati commessi su cose, merci ed edifici rispetto al prezzo non pagato da chi, pochi giorni fa, non è stato condannato per aver torturato delle persone». Laura Tartarini aggiunge che «i manifestanti si prendono di più che per un omicidio preterintenzionale. La cosa più grave è che viene confermato che il danneggiamento se commesso nell’ambito di una manifestazione di piazza prevede una pena pesantissima rispetto allo stesso reato in altri ambiti. Trovo la sentenza molto preoccupante soprattutto dopo l’ipotesi di dare il Daspo a chi partecipa a manifestazioni». Per i cinque condannati si aprono le prigioni, non usufruiranno di nessuna riduzione al momento perché le pene sono troppo alte. L’avvocato Mirko Mazzali da Milano dice che «è una sentenza deludente, ha confermato l’impianto accusatorio dal punto di vista del concorso morale, attribuendo tutto quello che è avvenuto a Genova in quei giorni a poche persone e dal punto di vista politico-giuridico non è condivisibile».
I dieci, per cui è anche nata una campagna online per l’annullamento del processo che ha raccolto 30 mila firme, sono arrivati in Cassazione con la condanna complessiva in secondo grado di 98 anni e 6 mesi, quasi cent’anni. Non sono i black bloc che sfilavano irridenti con i tamburi, non sono quelli che hanno scorazzato per la città, non sono inglesi, francesi, tedeschi e svizzeri. Sono tutti italiani. Non si conoscono tra loro e come osservano i loro legali dalle riprese si vede chiaramente che non sono neppure vestiti di nero. I pm genovesi Anna Canepa e Andrea Canciani dopo aver setacciato video e materiale fotografico nel dicembre del 2002 avevano emesso avvisi di garanzia per 26 manifestanti. Di loro 23 ebbero delle misure di restrizione della libertà: 9 furono messi in carcere per sei mesi e poi sei mesi ai domiciliari, 4 ai domiciliari, 10 con obbligo di dimora e di presentazione alle autorità giudiziarie. Nel giro di un paio d’anni inizia il processo, tempi record se paragonato con quello Diaz o Bolzaneto. Il 14 dicembre 2007 ne vengono condannati 24 a 108 anni (quattordici manifestanti per danneggiamenti e dieci per devastazione e saccheggio). Alla fine del processo d’appello il 9 ottobre 2009 alcuni vengono assolti e viene riconosciuta la legittima difesa come reazione alle cariche violente contro il corteo delle tute bianche in via Tolemaide. Per alcuni l’impianto accusatorio era tanto debole che un avvocato difensore disse in aula che i suoi due assistiti avevano fatto un «concorso motociclistico». Il danneggiamento era ormai prescritto ma nelle maglie della giustizia restarono 10 imputati che in appello si presero persino di più che in primo grado col risarcimento dei danni materiali, morali e d’immagine per 23 mila euro ciascuno. L’episodio più grave è l’assalto al carcere di Marassi, dove viene infranto un vetro e lanciata una molotov dentro una stanza, senza danni a persone. A Genova la sentenza d’appello venne letta due giorni dopo l’assoluzione in appello dall’induzione al falso dell’allora capo della polizia Gianni De Gennaro e per l’allora capo della Digos Spartaco Mortola. Questa in Cassazione capita un mese dopo l’assoluzione in Cassazione di De Gennaro e Mortola e una settimana dopo le condanne definitive al volontariato nei servizi sociali dei poliziotti della Diaz. Quando si dice destini incrociati.
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