In Italia cresce nella società la percezione negativa dell’Unione Europea e dell’euro. Lo confermano diversi sondaggi ma anche il preoccupato report “Italy: Good Student, Good Grades?” di Morgan Stanley, secondo il quale “Chi vorrà vincere alle urne non potrà non fare i conti con i malumori degli italiani”. Secondo la Morgan Stanley, che ha condotto una inchiesta in Grecia, Germania, Francia, Spagna e Italia, è proprio in quest’ultima dove coloro che ritengono positivo uscire dall’euro e tornare alla moneta nazionale sono più numerosi che negli altri paesi europei presi in considerazione. Colpisce il fatto che la maggioranza dei greci – nonostante quanto gli si è abbattuto addosso con i diktat della Trojka – voglia invece tenersi l’euro.
L’aria di crescente ostilità in Italia verso l’Unione Europea e i suoi meccanismi concreti – che oggi si rivelano attraverso misure antipopolari e una forte gerarchizzazione istituzionale – viene rilevato anche dall’istituto italiano Demos (quello del prof. Ilvo Diamanti per intendersi).
I risultati dell’ultima rilevazione Demos per La Repubblica confermano infatti la drastica diminuzione della fiducia degli italiani per l’Europa Unita registrata un anno fa e ora stabilizzata al 36 per cento. Nel 2000, questa “fiducia” era del 56,8 per cento, Un bel tonfo dunque, che è andato manifestandosi da quando l’euro ha cessato di essere una moneta virtuale ed è entrato nell’economia quotidiana di lavoratori e famiglie concorrendo ad una crescente perdita di potere d’acquisto. La crisi del 2010 e i diktat dell’Unione Europea hanno poi assegnato il colpo di grazia.
Interessante la “soggettività” di chi guarda con maggiore o minore fiducia all’Unione Europea. Conservano un livello maggiore di fiducia gli elettori del PD e di SEL, mentre i più sfiduciati sono quelli di FLI, Lega Nord e PDL. “Il livello di fiducia nell’Europa è molto più elevato fra coloro che ripongono fiducia nel Governo Monti e nel Presidente Napolitano” sottolinea Demos.
Anche questo è un dato interessante, perchè per decenni l’Italia era sempre stato il paese europeo più “europeista” di tutti. Una visione acritica alimentata anche dall’illusione sulla funzione “progressiva” dell’integrazione europea alimentata anche dai partiti della sinistra e dai sindacati che ilprocesso avviato dal Trattato di Maastricht in poi (parliamo del 1992) ha invece bruscamente e dolorosamente sgretolato. Non solo. Aver impedito che anche in Italia si potessero tenere dei referendum sui vari trattati europei ha ostacolato ogni verifica e ogni discussione pubblica nella società sull’Unione Europea e le sue scelte concrete. Una volta che il velo è stato tolto, una parte della società ha verificato che Europa non era una bella fanciulla ma una “matrigna crudele” e il forzato incantesimo si è rotto. I più duri a comprenderlo sono stati anche questa volta e purtroppo, gli uomini e le donne del “popolo della sinistra” che oggi appaiono ancora condannati ad assicurare la “stabilità” e il consenso intorno alle istituzioni europee.
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