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Anche Ingroia “uomo della provvidenza”?

Sui giornali di oggi – da La Stampa a Il manifesto passando per La Repubblica e il Fatto – è un vero e proprio tiro a segno contro una candidatura “ingombrante” per molti. Di questo abbiamo parlato ampiamente ieri sul nostro giornale.
Una cosa è certa, se Ingroia accettasse una alleanza con il Pd finirebbe, come si dice dalle nostre parti, “sotto la cappella” e prenderebbe anche pochi voti. Ma, a quanto sembra, uno degli azionisti di riferimento del Pd, Napolitano, non gradirebbe affatto tale presenza, ragione per cui Bersani o declinerà l’offerta – che pure era contenuta in una lettera pubblica inviatagli da Ingroia qualche giorno fa – oppure dovrebbe “acconciarla” in modo tale da depotenziarne qualsiasi effetto politico.
Un segnale di questo preoccupazione viene da un articolo della redattrice de il Manifesto in forte “odore di via del Nazareno”, Daniela Preziosi. “Le sfumature di arancione sono molte, forse non cinquanta, ma di sicuro ce n’è qualcuna da troppo. Almeno per la costruzione della futura lista del Quarto Polo. Che nel week end sembrava cosa fatta; e invece no. Ieri, dopo il lancio dell’assemblea nazionale (a Roma) del 21 dicembre «Io ci sto» convocata dal sostituto Antonio Ingroia e dai sindaci di Palermo Orlando e di Napoli De Magistris, agli arancioni della campagna ‘Cambiare si può’ i conti non sono tornati”. La Preziosi insiste nel sottolineare che “agli arancioni di osservanza anti-Pd non è piaciuto che nel documento dell’iniziativa Ingroia-Orlando-De Magistris mancasse il niet deciso verso chi ha sostenuto le riforme Monti; né quell’aria da «arca di Noè» (copyright Alba) che si addensa intorno alla lista. «Se Ingroia vuole essere premier di tutti noi, deve fare un ragionamento per tutti», spiega Torelli, che giura però di essere «ottimista, perché Ingroia queste cose le sa”.

Un altro giornale di opposizione, Il Fatto, torna oggi alla carica contro la candidatura di Ingroia con un intervento di un redattore “storico” come Marco Lillo. Ieri era stato il direttore Padellaro a fare altrettanto e di rincalzo ci si era messo anche un ex del Manifesto come Cosimo Rossi, sottolineando come dalle pagine di Micromega Ingroia si fosse rivolto al leader del Pd Pierluigi Bersani, esortandolo a vincere le elezioni per cancellare “l’intollerabile legislazione di privilegio” in materia di giustizia. Appello che può suonare come un endorsement nei riguardi del Pd, così da suscitare l’ira furibonda del Pdl; ma che al tempo stesso assolve da successive imputazioni di aver rifiutato il dialogo al centrosinistra, lasciando quindi mani libere a Ingroia. Nessuno, d’altronde, contava davvero su una ricomposizione al fotofinish col centrosinistra e col Pd, se non altro in conseguenza del divario che si è creato col capo dello stato Giorgio Napolitano”. La pensa diversamente Oliviero Beha che invece, dalle stesse pagine de Il Fatto, invita Ingroia ad andare avanti. Ma l’ostilità del quotidiano di Travaglio e Padellaro una spiegazione ce l’ha: hanno investito su Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle (del quale gli ultimi sondaggi indicano un prevedibile calo di consensi), ragione per cui un quarto polo con Ingroia candidato premier logorerebbe ancora di più il movimento di Grillo sulla via della decrescita.

Ma anche a sinistra c’è qualche perplessità su Ingroia. L’ha manifestata ieri Giorgio Cremaschi anche sulle pagine di Contropiano e le esprime oggi Salvatore Cannavò, esponente di Sinistra Critica, il quale scrive: “Leggendo l’appello “Io ci sto” con il quale Ingroia, assieme al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, lancia di fatto la sua candidatura propone un programma improntato alla legalità come chiave per rispondere alla crisi. In controluce si legge la considerazione che a soffocare l’economia italiana ed europea sia una serie di lacci, burocratici, illegali, corruttivi, di cui il sistema sociale ed economico deve liberarsi per tornare a respirare. Tanto che si indica un punto, il 6, molto esaustivo su questa linea: “Vogliamo che gli imprenditori – si legge – possano sviluppare progetti, ricerca e prodotti senza essere soffocati dalla finanza, dalla burocrazia e dalle tasse”. Un orientamento liberal-democratico, legittimo quanto non condivisibile. In realtà vi si legge una curiosa contraddizione tra chi si è dedicato a contrastare, sul piano del diritto e della cultura giuridica, il pensiero berlusconiano e ora ne ripropone l’essenziale, l’idea, cioè, di un’impresa svincolata da “lacci e lacciuoli”.

Ma anche tra i promotori di “Cambiare si può” l’eventuale ingresso di Ingroia sta suscitando qualche mal di pancia. Una spiegazione può essere data dalla natura sociale degli intellettuali che hanno promosso l’appello. Chi è abituato a vivere nella condizione della propria individualità e della ricchezza o meno della propria elaborazione intellettuale, mal digerisce di condividere il sipario con altri protagonisti, meno che mai la dimensione collettiva e orizzontale dei processi. Questa seconda è però una condizione che l’entrata in campo di Ingroia sembra smentire piuttosto nettamente. La sua sponsorizzazione “verticale” da parte di IdV, PdCI e arancioni di De Magistris, stride parecchio con il segno partecipativo (per quanto relativo e inquinato da una quota di riciclo del ceto politico della sinistra radicale) delle assemblee locali di Cambiare si Può. Secondo il sito Controlacrisi, espressione dell’opzione del partito sociale nel Prc, “Ieri, dopo il lancio dell’assemblea nazionale (a Roma) del 21 dicembre «Io ci sto» convocata dal sostituto Antonio Ingroia e dai sindaci di Palermo Orlando e di Napoli De Magistris, agli arancioni della campagna ‘Cambiare si può’ i conti non sono tornati”. Il sito del Prc sottolinea anche che “Non è piaciuto, per esempio, il fatto che l’assemblea del 21 al cinema Capranica abbia anticipato a sorpresa quella già convocata al teatro Quirino per il giorno dopo, indetta da ‘Cambiare si puo’. Non è piaciuto che l’appuntamento firmato dal trio Ingroia-Orlando-De Magistris, sia stato deciso in realtà nel corso di una riunione convocata nella sede dell’Idv e non molto allargata. Non è piaciuto, ancora, l’accento che i partiti (Idv e Pdci, soprattutto) hanno impresso alla possibilità di «aprire un dialogo con le forze democratiche»: leggasi Pd. Non è piaciuto, infine, il protagonismo improvviso di quegli stessi partiti, ai quali le assemblee territoriali avevano chiesto due passi indietro”. Sembra invece buttare acqua sul fuoco dei nervosismi e delle polemiche il segretario del Prc Ferrero : “Noi lavoriamo a unire, le frizioni e i nervosismi passeranno. Siamo d’accordo sul 90 per cento delle cose che diciamo: è moltissimo. La lista comune sarà la forma, lo spirito sarà quello di una coalizione”.

Si accende invece la lampadina del quorum e quindi di un possibile ritorno in Parlamento per i bertinottiani che sono fuoriusciti da Sel: “La possibilità di dare vita a un quarto polo ancorato ai valori forti della sinistra, che si traduca in un’unica lista elettorale presumibilmente guidata da Ingroia, sta suscitando enormi entusiasmi. Se poi entreranno in questa lista, come pare assai probabile, anche l’Idv e i Verdi, allora davvero il 4% – che già cominciano a indicare i sondaggi – può essere davvero alla portata” scrivono nella loro newsletter “Lavori in corso”.

Molto probabilmente è intorno a questa “suggestione” tutta elettoralista che verranno prese le decisioni nei prossimi tre giorni tra l’assemblea di “Io ci sto” al Capranica con Ingroia, Di Pietro e De Magistris (tutti e tre magistrati in politica) e l’assemblea di sabato al Quirino di “Cambiare si può”.

Una parte della colpa è sicuramente della fretta e delle accelerazioni imposte dalla situazione e dalla scadenza elettorale, ma pensiamo che Cremaschi abbia ragioni va vendere quando afferma che si è perso moltissimo tempo dietro alle primarie del Pd o in attesa che il Pd sciogliesse il nodo delle alleanze decidendo poi di imbarcare solo Vendola e scaricare tutti gli altri. “Il ritardo è dunque un fatto politico che viene proprio dal non aver voluto, per scelta o tatticismo, costruire in tempo una vera alternativa a Monti e a chi lo sostiene” dice Cremaschi “Francamente i dieci punti di ‘Io ci sto’ mi sembrano deboli o peggio, se non per quanto riguarda la rivendicazione della giustizia contro la mafia e la corruzione. Il punto sesto per la libertà d’impresa è poi proprio inaccettabile. Non vedo l’alternatività di questa piattaforma a quella di Bersani”. Difficile dargli torto.

Tranquilli, si tratta di resistere ancora quattro giorni, fino a domenica, poi, almeno su questo versante, dovremmo avere tutti gli elementi in mano per fare valutazioni di merito.

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2 Commenti


  • Mic

    Se non altro, il punto 7 del manifesto “Io ci sto” si pronuncia apertamente per il ripristino dell’articolo 18. Il che è un unicum: anche Sel dice di volerlo reintrodurre, ma l’alleanza col pd lo esclude in partenza.


  • marica guazzora

    Soliti personaggi che non vogliono perdere visibilità Cremaschi e gli intellettualoidi di Cambiare si può vedono la loro immagine sminuita dalla candidatura Ingroia, allora non vanno bene i punti, e sopratutto non va bene che non abbiano chiesto il permesso a loro prima di fare delle scelte politiche autonome. Solita storia movimentista di chi non vuole i partiti, parole trite quanto inutili, partire dal basso, sentire la base, significa semplicemente fare quello che dicono questi pseudo intellettuali. Cremaschi dovrebbe piuttosto preoccuparsi degli anticomunisti che si annidano neanche velatamente tra di loro.

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