Oggi sabato 26 gennaio, alle 14, collettivi e associazioni della capitale saranno sotto l’ambasciata di Ankara in Via Palestro per esprimere rabbia e indignazione nei confronti dello stato turco dopo la condanna all’ergastolo della sociologa e attivista di sinistra turca Pinar Selek. Dopo 3 processi e altrettante assoluzioni, e dopo quasi 15 anni di persecuzioni, torture, carcere e minacce, lo scorso 24 gennaio la 41enne da alcuni anni residente a Strasburgo è stata condannata all’ergastolo dalla Dodicesima Corte Penale di Istanbul. Trentasei anni di carcere con l’accusa di aver collaborato con la guerriglia curda del PKK e di averla aiutata a organizzare un attentato terroristico che nel 1998 causò la morte di sette persone nell’esplosione all’interno del Mercato delle Spezie. Un’accusa falsa e infondata, un attentato mai avvenuto, come hanno dimostrato le perizie che dimostrarono che l’esplosione fu accidentale e che fu causata dallo scoppio di una bombola di gas. Niente attentato, niente Pkk, niente complotto. Una condanna quindi tutta politica, come dimostra il fatto che la Turchia, annullando ben tre sentenze di assoluzione, ha esautorato i tribunali ordinari ed ha trasferito il processo alla Corte di Cassazione, così da non dover temere sorprese sulla sentenza di giovedì scorso.
Ora la scrittrice, attivista e sociologa turca dice di valutare l’ipotesi della richiesta dell’asilo politico alla Francia. “Per la prima volta sto sperimentando cosa vuol dire essere condannata – ha detto l’intellettuale 41enne in una conferenza stampa a Strasburgo – mi sono sentita come se fosse morta mia madre, combatterò perché voglio tornare nel mio paese”. L’attivista per i diritti umani ha ricordato ai giornalisti che il suo processo ha motivazioni elusivamente politiche, e che la sua persecuzione è iniziata nel 1998, dopo aver iniziato nel 1996 ad occuparsi, all’interno di un suo lavoro di ricerca, delle condizioni del popolo curdo, delle altre minoranze oppresse in Turchia e della condizione delle donne e degli omosessuali.
“Voglio la mia assoluzione indietro. E’ così difficile esprimere quello che provo per questa scandalosa situazione giuridica. E’ come chiedere a una donna come si sente dopo una violenza, ma posso dirvi come faccio a restare in piedi dopo 15 anni. C’è una solidarietà incredibile intorno me” ha detto ancora Pinar Selek.
Il nonno dell’intellettuale dissidente ora in esilio in Francia fu tra i fondatori del Partito Operaio Turco (tra i primi a considerare negli anni ’70 le istanze autonomiste curde); il padre, avvocato difensore dei diritti umani, ha scontato 5 anni di carcere nelle prigioni turche a seguito del colpo di Stato militare del 1980.
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