Da anni si assiste, in Italia, ad una degradazione del Diritto dello Studio, ovvero del welfare universitario rivolto agli studenti. Ciò è dovuto, in primo luogo, al basso livello di spesa dello Sato italiano nel settore universitario, in continua diminuzione e, comunque, inferiore alla media OCSE, anch’essa in tendenziale, ma più lenta, diminuzione.
All’origine di tale sottofinanziamento di un settore che può considerarsi strategico vi è la struttura della borghesia italiana, frammentata e priva di respiro strategico, che privilegia profitti basati sull’aumento dello sfruttamento dei lavoratori e sulla loro dequalificazione, oltre che sulle commesse statali, piuttosto che sull’innovazione tecnologica, di cui l’Università sarebbe un volano ; non è un caso che in testa alla classifica europea della spesa per studente primeggino Germania e Francia, i paesi le cui borghesie dominano in Europa e che, negli anni, hanno dimostrato di avere capacità strategiche di più lungo respiro. Accanto a ciò, ovviamente vi sono i soliti trattati europei e sovranazionali in materia di pubblica istruzione (Strategia di Lisbona, Processo di Bologna), che indicano la via della deregolamentazione, della privatizzazione e della concorrenza esasperata fra poli universitari basata su criteri di efficienza finanziaria piuttosto che sulla qualità dei servizi offerti.
In più, il sistema italiano di Diritto allo Studio introduce squilibri strutturali all’interno del paese dovuti al fatto che esso è decentrato alle regioni e che lo stato centrale finanzia ciascuna regione in base a quanto essa investe a sua volta nel settore stesso; pertanto la forbice fra nord e sud, in generale, tende ad aumentare; attualmente, quindi, riguardo a studentati, servizi mensa, borse di studio e altri servizi di welfare per gli studenti, la situazione è molto diversificata nel nostro paese, ferma restando una generale inadeguatezza. Inoltre, c’è da dire che le varie leggi (promulgate da maggioranze sia di centro-destra, sia di centro-sinistra, sia trasversali) hanno portato quello che era l’Ente per il Diritto allo Studio, che si occupava, appunto, di gestire i finanziamenti per il welfare universitario, a trasformarsi in Azienda per il Diritto Allo Studio, eliminando, così, l’obbligo di non chiudere il bilancio in pareggio, ed orientando l’erogazione dei servizi al profitto.
In particolare, Napoli, polo universitario fra i più importanti d’Italia per volume di studenti, attraversa una desertificazione in tema di Diritto allo Studio, che subisce entrambi i meccanismi di definanziamento appena delineati, sia quello dovuto alla generale aziendalizzazione del sistema, sia quello dovuto alla sua frammentazione regionale, ove la regione Campania risulta penalizzata.
Così, attualmente, gli studentati coprono poche centinaia di posti, un’inezia rispetto alle decine di migliaia di studenti fuori-sede, costretti a fittare in nero a prezzo completamente fuori mercato stanze ed appartamenti spesso fatiscenti ed inadeguati ad ospitare esseri umani in maniera decente.
Per quel che riguarda il servizio mensa, esso è stato completamente esternalizzato attraverso le convenzioni con ristoranti, che hanno sostituito progressivamente le mense pubbliche; il risultato ottenuto è stato quello di far aumentare il prezzo dei pasti mentre la qualità è nettamente diminuita, in quella che appare una vera e propria commistione dai tratti di una frode legalizzata fra l’ADiSu (Azienda per il Diritto allo Studio) e i ristoranti. Negli ultimi giorni anche l’erogazione di questo servizio di scarsissima qualità ha subito una pesante limitazione per via della mancanza dei fondi; si legge, infatti, sul sito dell’AdiSu della Federico II “ A seguito della riduzione dello stanziamento del capitolo di bilancio relativo al servizio ristorazione, il tetto di pasti giornalieri erogabili da ciascun esercizio convenzionato è stato ridotto di circa il 30% rispetto alle ultime medie pasti rilevate. Sono allo studio ulteriori soluzioni temporanee volte da un lato a consentire per quanto possibile la più omogenea e diffusa fruibilità del servizio da parte degli studenti e dall’altro ad assicurare il rispetto dei vincoli contabili in attesa della conclusione delle procedure di evidenza pubblica con le quali saranno assegnate le nuove convenzioni a condizioni economiche, che, si auspica, potranno essere più vantaggiose rispetto a quelle attuali”. Siamo, pertanto, alla cancellazione del servizio mensa; ciò a fronte, oltretutto, dell’aumento del 126% in un anno della tassa regionale dedicata al diritto allo studio!
Altro capitolo doloroso è quello degl’idonei a ricevere le borse le studio, i quali, però, non se la vedono assegnata per mancanza di fondi. Ciò alla faccia dei mille discorsi pronunciati dai vari esponenti politici riguardo la valorizzazione del merito nell’Università: se non si pone tutti quanti alle stesse condizioni economiche di partenza tutte quelle che sono ammantate come selezioni basate sul merito sono, in realtà, pure selezioni di classe che premiano chi parte economicamente avvantaggiato!
Ma non finisce qui: a causa di tale endemica mancanza di fondi dedicati alle borse di studio qual è il rimedio proposto? Ancora una volta l’esternalizzazione del servizio alle banche mediante il prestito d’onore: gli studenti devono accedere ad un prestito bancario di molte migliaia di euro all’inizio del loro periodo universitario, da restituire poi, una volta terminati gli studi e trovato il lavoro; a questo punto, però, ci si chiede che speranza abbia un giovane di restituire un tale fardello dato che i contratti con cui si confronta, dopo essersi laureato, sono sempre precari e sottopagati. Ciò a parte il fatto che riproporre le dinamiche di eccessivo indebitamento privato che hanno segnato l’esplodere della crisi appaia quantomeno un autogol.
A corollario di questo ragionamento, si ricorda un altro dettaglio: l’articolo 34 della Costituzione prescriverebbe che “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. …”. Naturalmente, però, nella vulgata dei politici di tutto l’arco parlamentare (compresi i grillini, che vorrebbero addirittura abolire il valore legale del titolo di studio) e dei media di merda, stiamo parlando di archeologia, la modernità sarebbe rappresentata dall’austerità, dalla selezione di classe, dalla privatizzazione dei servizi volta a farli peggiorare, dalla competizione a tutto campo basata sulla disponibilità economica.
Il Diritto allo Studio, oltre ai settori appena trattati, riguarderebbe anche l’accesso al materiale didattico e ad agevolazioni ai servizi di mobilità; inutile ripetere, anche su questi capitoli, le diagnosi appena fatte.
A fronte di questo progressivo scadimento del welfare studentesco, c’è da rimarcare, come fatto nei precedenti articoli, che i soldi da investire in programmi di ricerca militari e destinati, quindi, a venire capitalizzati nelle continue guerre di aggressione cui il nostro paese partecipa non manchino mai!
La conclusione non può che andare in una sola direzione: la crisi del welfare universitario non è che un aspetto delle politiche di austerità imposte dai grandi monopoli finanziari ai lavoratori del nostro e di altri paesi, fra cui, in maniera acuta, quelli periferici dell’UE, per far fronte alle loro perdite e al loro agonizzare in questa crisi sistemica del capitalismo. Il capitalismo non è più in grado di garantire alcun progresso sociale alle classi meno abbienti e ciò si risalta in maniera particolare nel settore universitario, il quale va via via diventando sempre più elitario.
A Napoli, nei mesi scorsi, i movimenti sociali hanno “aggredito” le problematiche riguardanti il Diritto allo Studio attraverso occupazioni di stabili abbandonati, destinati ad ospitare studenti fuori-sede e l’occupazione di una mensa universitaria dotata di strumentazione innovativa ma completamente inutilizzata ed abbandonata. Queste esperienze dimostrano vivacità e consapevolezza, ma vanno poste “gambe politiche più solide”. E’ totalmente parziale rivendicare, in questo contesto di capitalismo agonizzante, questo o quel diritto singolo, che oramai le controparti non sono più in grado di garantire in maniera irreversibile. Occorre avanzare proposte politiche che “rovescino il tavolo”, che puntino ad uscire dalla strettoia in cui le grandi istituzioni internazionali imperialiste come l’UE e il FMI hanno cacciato le classi lavoratrici, in particolare quelle dei paesi periferici. Così hanno fatto , negli anni scorsi, i Paesi latino-americani dell’ALBA, guidati da Cuba e dal Venezuela, ed hanno, così, potuto affrancarsi dalla dipendenza economica dall’imperialismo per percorrere la via dello sviluppo autonomo orientato al socialismo, unico orizzonte plausibile per evitare la rovina dell’umanità. Per altro, uno dei tanti lasciti dell’operato del compagno Chavez, fisicamente appena scomparso, è stato un’esponenziale aumento degl’investimenti nell’istruzione pubblica, fino a raggiungere il 7% del PIL; ciò ha portato alla creazione di decine di nuove Università e un aumento dei fondi per il Diritto allo Studio di circa 6 volte.
E’ seguendo questo esempio, ovvero l’esempio d’integrazione di stampo sociale dato dall’ALBA, che i paesi della periferia produttiva dell’Unione Europea, i cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), potranno affrancarsi dall’austerità imposta dall’Unione Europea e mandarla in rovina, così come i compagni sudamericani hanno mandato in rovina l’ALCA e altre istituzioni tecnocratiche che altro che non sono che gli strumenti dell’imperialismo statunitense.
Dunque, per riappropriarci del modello di università di massa cui idealmente siamo ancora abituati non resta che percorrere tale via, irta e difficile, che passa inevitabilmente per il conflitto sociale, che dovrà vedere gli studenti figli della classe lavoratrice in prima fila.
Coordinamento giovani Rete dei Comunisti
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