Sonia Gandhi rompe per la prima volta il silenzio sul caso marò e lancia un monito: nessun Paese dovrebbe sottovalutare l’India, ha detto la vedova Gandhi, cittadina italiana diventata moglie di Rajiv Gandhi, poi ucciso in un attentato; e quindi erede della dinastia Nehru-Gandhi e presidente del Partito del Congresso.
Sonia Gandhi ha parlato nel corso di un incontro del gruppo parlamentare del suo partito, la prima assemblea con i suoi parlamentari da quando è cominciata la sessione di bilancio del Parlamento indiano.
Secondo fonti interne, la presidente del Partito del Congresso ha inoltre aggiunto che l’Italia dovrebbe rispettare l’impegno preso dinanzi alla Corte Suprema di New Delhi sul rientro in India dei due militari italiani, accusati di aver ucciso due pescatori locali scambiati per pirati.
Che ci sia stata “sottovalutazione” da parte del governo Monti è certo. Complici anche le “tecnicità” familiari ai ministri Terzi e Di Paola (esteri e difesa, i più coinvolti nella vicenda), cui fa evidentemente difetto la cultura politica internazionale.
Se n’è accorta, a frittata fatta, anche il principale supporto – a suo tempo – del governo sul fronte “democratico, il quotidiano Repubblica, che così ricostruisce – sconsolatamente – la sequenza delle cazzate diplomatiche commesse dai due (e coperte da Monti). Un atteggiamento da vecchi colonialisti “italiani”, ossia in ritardo storico persino sul fenomeno del colonialismo, che si ritengono sempre più furbi degli “indigeni” dalla pelle scura.
Che poi tutto sia dovuto all’ansia di Di Paola di mostrarsi “protettivo” verso i militari mandati “in affitto” su una petroliera privata e all’ambizione di Terzi di trovarsi un posto in Parlamento alla prossima legislatura è addirittura insultante per la dignità di un paese, di chi lo abito e ne parla la lingua. Il minimo che che si possa pretendere è che questi due ambiziosi incapaci vengano licenziati definitivamente dai ruoli dello Stato e messi in pensione. Naturalmente non “d’oro”, perché devono risarcire molto…
“Colpi di mano e isolamento diplomatico”.
Caso Marò, così l’Italia ha aggravato la crisi
Le mosse sbagliate di Di Paola e Terzi: la voglia di procedere in segretezza e la scelta di non coinvolgere subito Onu e Ue. La Farnesina non ha tenuto conto del parere contrario del nostro rappresentante
di VINCENZO NIGRO
Da quando la crisi fra India e Italia è entrata nella sua nuova fase, per giorni Palazzo Chigi, il ministero degli Esteri e quello della Difesa hanno scelto la strategia dello struzzo. Mettere la testa sottoterra, sperando che la tempesta passasse da sola. Ieri sera, a 4 giorni dal clamoroso annuncio indiano che tiene in ostaggio l’ambasciatore d’Italia al posto dei marò, il ministero degli Esteri ha deciso di reagire. Sollevando la testa debolmente, con un esitante comunicato, niente conferenza stampa, nessun impegno personale del ministro degli Esteri o di quello della Difesa.
“Il problema è che i nostri capi stanno gestendo questa crisi come fosse un colpo di mano, una ‘rapina del secolo’ dopo la quale è necessario fuggire e nascondersi”. Un ambasciatore informato di tutti i passi del ministro degli Esteri Giulio Terzi analizza il comportamento del governo e gli errori commessi in questa prima settimana. “Alla Farnesina percepiscono una realtà diversa da quella reale, e stanno facendo molti errori non solo di comunicazione, ma anche di normali procedure diplomatiche”.
Ma facciamo un passo indietro: quali furono le reali motivazioni che hanno portato l’Italia a tradire la parola data all’India? Chi davvero ha spinto a non rispettare l’accordo con gli indiani è l’ammiraglio Di Paola, ministro della Difesa, che sente un comprensibile obbligo nei confronti dei due fucilieri di Marina”, dice il nostro ambasciatore: “Terzi alla fine si è accodato, ma il suo vero interesse da mesi è un altro: punta ancora a una candidatura in Parlamento, e siccome crede che le elezioni arriveranno presto è pronto a usare anche i marò per questo”.
Se questo è il vero interesse personale di Terzi lo scopriremo in caso di nuove elezioni. Una cosa invece è certa, sono molte le mosse diplomatiche sbagliate in questa vicenda. Innanzitutto la valutazione fatta dalla Farnesina sulle reazioni indiane: rispondendo a Roma l’ambasciatore a New Delhi Daniele Mancini, oggi ostaggio della polizia indiana, si è opposto al tradimento della parola data agli indiani. Avvertendo di conseguenze gravi per gli interessi italiani. Mancini, racconta ancora l’ambasciatore, non pensava di diventare lui stesso ostaggio, ma il suo parere è stato trascurato da Terzi e dal suo gabinetto impegnati nel mettere a punto l’operazione-marò.
Secondo punto: l’11 marzo la Farnesina al mattino fa consegnare una nota verbale al ministero degli Esteri indiano in cui annuncia definitivamente la decisione di non rispedire più i fucilieri in India. “Un errore clamoroso: avevano tempo fino al 22 marzo per alzare poco alla volta la tensione, annunciare che con la sentenza della Corte suprema del 18 gennaio le cose cambiavano in maniera inaccettabile per il governo italiano”, dice il nostro ambasciatore, “e invece hanno pugnalato immediatamente alle spalle gli indiani: cosa possiamo aspettarci adesso?”
In effetti la sentenza del 18 gennaio, quella in cui la Corte Suprema conferma la giurisdizione indiana e chiede di costituire un “tribunale speciale” per due marò, era davvero un argomento centrale a favore delle ragioni dell’Italia. Dopo quella sentenza l’India decideva di tenersi a casa il processo, ma soprattutto paventava un “tribunale speciale” che è vietato dalla Costituzione italiana ma anche dalle più elementari norme per il “processo giusto” previste da trattati internazionali e dalle leggi nazionali.
“L’India andava messa pubblicamente e pesantemente in mora su questo punto, su questo andava chiesto un pesante appoggio dell’Europa e dell’Onu, e invece si è scelto il colpo a sorpresa, anche se i marò erano già tranquillamente in Italia”. Ma la voglia di procedere in segretezza, oltre a deformare la percezione che i diplomatici vicini a Terzi hanno della realtà, fa perdere anche di lucidità. Per esempio il coinvolgimento di Unione europea e Onu. La Ue e l’Onu non sono stati mobilitati per tempo a favore dell’Italia dalla Farnesina. “L’Italia non ci ha coinvolto se non nelle ultime ore, non ci hanno chiesto nulla, lo fate voi giornalisti”, dicono fonti dell’Unione europea. E aggiungono: “Queste cose non si chiedono ai diplomatici, ma ai leader politici degli stati membri, e voi avete fatto tutto di nascosto…”.
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