La Corte dei Conti non ha fama di simpatie comuniste. Magistrati contabili, che sanno guardare dietro alle cifre e difficilmente alzano lo sguardo sulle grandi linee di politica economica.
Bene. Cosa ci hanno detto, ieri, questi ragionieri di ultima istanza dei conti pubblici? Che la riorganizzazione dei ministeri in chiave “revisione della spesa” ha prodotto prima di tutto tagli “indifferenziati”, o “lineari” – come tutti avevano rimproverato a suo tempo a Giulio Tremonti, alla faccia della “novità” che si pretendeva di introdurre parlando di spending review. Le strutture della pubblica amministrazione si sono dovute ovviamente adattare ai minori fondi disponibili, ma l’obiettivo della razionalizzazione dell’intero edificio si è allontanato, invece di avvicinarsi. Il piano risulta a oggi caotico, “incompleto” e “contraddittorio”, peggio: “irrazionale”.
Ogni governo (uno diverso per ogni anno recente) ha improvvisato una sua ersonalissima visione della spending review, con l’occhio rivolto più alla comunicazione per i giornalisti che all’efficienza della macchina statale. Ne è risultata una continua revisione della normativa, una sfilza di decreti (spesso “omnibus”, pieni di tutto un po’, senza altro obiettivo che la cifra finale da risparmiare), cui spesso non sono neppure seguiti coerenti “decreti attuativi”.
Insomma, una lunga serie di interventi pastiicciati, stesi da funzionari su indicazioni di autentici incompetenti nominati dal governante di turno, che non presentano alcuna “adeguata valutazione del rapporto tra attribuzioni intestate, risorse impiegate e servizi da rendere”.Bisogna avere in testa un’idea dello Stato che si pretende di strutturare, per decidere cosa vuoi che faccia, con quante e quali risorse (umane, tecniche, ecc) e quindi con quale spesa. Se procedi al contrario (“dobbiamo spendere meno e chi se ne frega dei risultati operativi”) otterrai esattamente una degenerazione dei servi – anche di quelli “essenziali” – senza neanche raggiungere una seria riduzione delle spese.
E’ necessario sottolineare che proprio la “necessità di garantire i servizi pubblici” è sempre invocata – dai governi, da Confindustria, da varie authority, da opinionisti un tanto al chilo, ecc – quando c’è da impedire o depotenziare gli scioperi dei pubblici dipendenti. Ma se si tratta di far funzionare la macchina ordinaria, “tutti i giorni”, chissene…
Una instabilità normativa perenne che oltretutto contrasta con il dettato costituzionale, perché impedisce le persino necessarie ridefinizioni dell’assetto organizzaivo “in linea con i principi costituzionali”.
Ma i magistrati contabili ci danno una seconda informazione chiave: se si continua così, avvertono, i nuovi interventi in cantiere, “attesa l’assenza di soprannumeri di risorse umane dirigenziali e non, potrebbero non consentire una adeguata cura dei servizi, circostanza, peraltro, già segnalata da alcune strutture amministrative”. Avete letto bene? Non ci sono “risorse umane in soprannumero”. Il personale pubblico attualmente al lavoro è a malapena sufficiente per far funzionare il tutto. Una smentita drastica – e tecnica, ripetiamolo – del principale argomento invocato mediaticamente tutti i giorni: “sono troppi e non fanno niente”.
I magistrati contabili, naturalmente, non entrano affatto in merito alle scelte politiche, agli obiettivi di “riforma” che spettano ad altri organi dello Stato. Scrivono però che “ferma restando l’insindacabilità delle scelte di natura politica, la discrezionalità non si sottrae al giudizio di irrazionalità, che potrebbero derivare dall’adozione di proposte la che vanificano il risultato finora raggiunto in materia di assetti organizzativi o adottano istituti e criteri già sperimentati, come nel caso del ruolo unico dirigenziale”.
Tradotto: è compito del governo decidere, certo, ma se quello che decide è irrazionale, ovvero insensato o autocontradittorio, qualcuno glielo deve pur dire. Se lo Stato e la divisione dei poteri hanno ancora un senso…
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Licia
Quando, alcuni anni fa, la Corte dei Conti tiro’ fuori medesima e particolareggiata relazione tecnica sullo stato della sanità pubblica la fase di smantellamento del SSN era già talmente tanto avanzata che più che un grido di allarme fu una constatazione di decesso.