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E’ morto Manganelli, l’uomo delle scuse

E’ morto all’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma questa mattina, Antonio Manganelli, il capo della polizia. Lì era stato ricoverato il 24 febbraio scorso per la rimozione di un ematoma cerebrale, conseguenza di una emorragia. L’intervento, «perfettamente riuscito», portò comunque i sanitari a metterlo in coma farmacologico. Nemmeno un mese e Manganelli è spirato.
Il suo curriculum è il manuale del buon servitore dello Stato, sempre al suo posto, mai troppo al sole, mai troppo nell’ombra. Nel 2001, all’epoca del G8 di Genova, quando la brutalità poliziesca sfociò in un morto ammazzato e in diverse mattanze di manifestanti inermi, Manganelli era sì vice-capo, ma, come sottolineano tutti i giornali, «non fu coinvolto» nelle vicende genovesi.
Recentemente, dopo la condanna dell’estate scorsa, il capo della polizia ebbe modo di chiedere «scusa» per quei fatti, pur senza tradire lo spirito di corpo, ostentando la sua solidarietà umana agli agenti condannati per aver picchiato e umiliato decide di persone tra la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto.
Un gesto che ha ripetuto più volte, quello di chiedere scusa. Mai un’esitazione, certo, ma a posteriori sempre tanto cordoglio, tanto dispiacere, tante lacrime di coccodrillo. A posteriori. «La polizia è un’altra cosa», ripeteva sempre il capo quando veniva messo davanti all’evidenza dei tanti abusi commessi dai suoi sottoposti.
Asceso al soglio di capo della polizia nel 2007, Antonio Manganelli ha attraversato in prima persona le bufere dei casi Cucchi e Uva, oltre agli strascichi della vicenda di Federico Aldrovandi e di tanti altri casi di malapolizia. Anche qui, mai una parola di troppo, mai un’uscita infelice. Nemmeno quando, mesi fa, incontrò Patrizia Moretti, madre di Aldrovandi, e le promise che, appena i carnefici di suoi figlio sarebbero stati condannati, lui gli avrebbe levato la divisa di persona. Non sarebbe mai successo.

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