Tre importanti iniziative si terranno nel capoluogo ligure.
La prima è lo sciopero di 24 ore proclamato per la giornata del 31 marzo dal Coordinamento Lavoratori Portuali di USB nello scalo genovese, in contemporanea con l’arrivo in banchina di una nave della compagnia saudita Bahri, la Bahri Jedda, al Terminal GMT.
Una giornata di lotta che inizierà con un presidio alle 6 della mattina presso Ponte Etiopia in Lungo Mare Canepa e proseguirà alle10 e mezza al CAP di via Albertazzi.
L’imbarcazione rientrerà in patria con un carico di armi dagli USA per alimentare la macchina da guerra saudita che dal 26 marzo del 2015 guida una coalizione bellica contro la popolazione yemenita, colpevole di avere spodestato un presidente vicino alla Petro-monarchia.
Una delle più gravi catastrofi umanitarie del pianeta, dove i 3/4 degli abitanti dipendono dagli aiuti internazionali per sopravvivere, con la fame che tormenta 17,4 milioni di persone su 30; oggi ancora più a rischio, vista la situazione in Ucraina, perché grano e mais rischiano di scarseggiare.
Un conflitto – quello in Yemen – dove il 40% per cento degli edifici è stato bombardato, e 4 milioni di persone è stato costretto a lasciare le proprie case.
Un conflitto di cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno la principale responsabilità e su cui si esercita una censura quasi assoluta.
Come denuncia l’associazione The Weapon Watch, che ha presentato una nuova istanza di accesso agli atti all’Autorità di sistema portuale per conoscere i carichi della nave: “Non sappiamo se imbarcherà armi ed esplosivi anche a Genova perché le autorità non forniscono informazioni, mentre le operazioni portuali sono fatte sotto la scorta della polizia e ai portuali non è consentito verificare il carico”.
Questo mix di opacità, omertà e militarizzazione mette in discussione la sicurezza dei lavoratori portuali, così come di tutta la cittadinanza, vista tra l’altro la vicinanza delle banchine da uno dei quartieri più popolosi di Genova, Sampierdarena.
Dopo l’esplosione nel porto di Beirut, tutti sono consapevoli della pericolosità oggettiva di cargo come quelli della Bahri, che trasportano armi ed esplosivi.
Oltre a questo, diviene sempre più evidente – dopo il caso dell’aeroporto di Pisa – che anche hub civili vengono utilizzati per il trasporto di armi e che il monitoraggio costante, e l’azione conseguente, sono gli unici mezzi per impedire che venga alimentata, con il flusso di dispositivi militari, la spirale bellica.
Su questo le parole più lungimiranti in questi giorni sono state pronunciate dal Papa, riportate integralmente dall’Osservatore Romano: “Il problema di base è sempre lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri. La vera risposta allora non sono altre armi, altre sanzioni.
Io mi sono vergognato quando ho letto che non so, un gruppo di stati si sono impegnati a spendere il due per cento, credo, o il due per mille del Più nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta (…) è un modo diverso di impostare le relazioni internazionali”.
Parole come pietre, che si uniscono a quelle del Presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo che al suo Congresso, a differenza del presidente emerito Carlo Smuraglia, conferma il no all’invio di armi e la necessità dello scioglimento della NATO.
Ma sono tante le voci del mondo cattolico e dell’associazionismo laico che chiamano a costruire la pace con la pace, e rifiutano il ricatto morale che la propaganda bellicista vorrebbe imporre a chi, coerentemente, non vuole essere cooptato dentro quest’isteria bellicista promossa dal “partito trasversale della guerra”.
E proprio a Genova, a due giorni dalla mobilitazione, la Superba sarà teatro di un’altra importante iniziativa, sabato pomeriggio.
Il 2 aprile alle 15 da Piazza San Lorenzo ci sarà un concentramento ed una marcia per la pace e contro le armi in porto – iniziata il 31 dicembre scorso a Savona – che si dirigerà al palazzo dell’Autorità Portuale, dopo l’incontro tra i due vescovi con la consegna della bandiera della pace.
L’appello, promosso da un ampio spettro di associazioni cattoliche (Pax Christi, Agisci e Acli tra le altre) e laiche (Arci, Comunità di San Benedetto, ANPI, ecc.), insieme all’osservatorio The Weapon Watch dal titolo significativo “La guerra inizia a Genova. Tutte le guerre passano dai porti“, così recita:
“Se avremo determinazione e solidarietà intendiamo proseguire il cammino di testimonianza di porto in porto, per accendere “fari di pace” che facciano luce sul traffico d’armi, strumenti di morte, prodotti e trasportati per essere usati e consumati nelle tante guerre che continuano a generare ed alimentare” .
Un appello che fa esplicito riferimento alle azioni dei portuali che, a Genova come in altri scali italiani, si sono attivati contro il traffico d’armi, e muove una critica serrata al complesso militar-industriale e alla filiera logistica che alimenta le guerre.
É una prima e importante iniziativa, su cui sia stanno raccogliendo le adesioni, che lancia un appello alle altre città portuali affinché vengano replicate queste iniziative.
Un chiaro sintomo di come la propaganda bellicista, per quanto martellante, non abbia conquistato i cuori degli italiani – come mostrano tra l’altro i sondaggi – e che apre una crepa vistosa rispetto al consenso per questo esecutivo che ha messo l’elmetto.
E’ sempre più chiaro il desiderio di un’ampia fetta della popolazione di orientarsi e comprendere le ragioni di ciò che sta accadendo, soprattutto per quelle figure di “cerniera” dell’istruzione che sono gli studenti e gli insegnanti del mondo della scuola.
Questi si trovano in un sistema scolastico dove la trasmissione del sapere critico e delle più banali chiavi interpretative della realtà vengono bandite, a favore di una didattica orientata alla performance, tesa a privilegiare la costante verifica dei risultati e la loro certificazione burocratica, in uno spirito da scuola-azienda che avvalla il lavoro non retribuito dell’alternanza scuola lavoro e la logica pragmatica del “saper fare”.
Come scrivono i promotori e le promotrici di una assemblea studentesca tenutasi venerdì 25 marzo con i lavoratori portuali USB dal significativo titolo “+istruzione – distruzione”, proprio a scuola deve iniziare la riflessione sulla lotta al militarismo per chiederci ogni giorno in che misura il nostro paese “ripudia la guerra”.
Una voce, quella degli studenti, che si era già fatta sentire con forza in occasione delle manifestazioni di protesta contro l’ennesima morte in alternanza scuola-lavoro.
Per colmare questo evidente deficit di coscienza sulla guerra e sul come parlarne a scuola – per ciò che concerne il corpo docente lasciato solo in questo delicatissimo momento – USB e Cestes hanno organizzato (a Genova, ma potrà essere seguito da tutti gli insegnanti a livello nazionale) un corso di formazione in presenza e online per l’intera giornata dell’11 aprile dal titolo “la scuola scuola di fronte alla guerra. Cause, prospettive, strumenti di analisi“.
Una giornata che avrà due momenti, la mattina con una serie di contributi di vari relatori, ed il pomeriggio con un laboratorio didattico su come parlare della guerra a scuola: metodologie, risorse, possibilità.
Sono tre momenti importanti che mettono a frutto un sentimento radicato e maggioritario contro la guerra e le sue conseguenze sempre più evidenti anche per le classi popolari.
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Sergio Binazzi
Alla mia età ( quasi 71 anni ) mi si riempe il cuore di gioia quando apprendo di queste bellissime iniziative di lotta e di mobilitazione, ho sempre partecipato nella mia vita alla lotta contro l’imperialismo e ne sono fiero. Mi viene rabbia e tristezza quando vedo situazioni come lo Yemen e altre alle quali il nostro governo è altri si mostrano indifferenti, pare ci sia solo il problema dell’Ucraina. Voglio essere di spirito: chissà se questa guerra finisce si spera presto forse Zelensky potrà godersi un po la sua meravigliosa villa a forte dei marmi, forse non gli chiedono neppure il green pass. Un saluto comunista