Trecento pagine di numeri e indicazioni, “non proposte”, che spaziano dalle pensioni alla spesa per la “sicurezza”, ai trasferimenti per le imprese.
Con una considerazione iniziale che è già una filosofia di gestione: “La spesa pubblica italiana è nel suo totale molto elevata per gli standard internazionali e la sua struttura presenta profonde anomalie rispetto a quella rilevata in altri paesi. La spesa per la fornitura di servizi pubblici e per il sostegno di individui e imprese in difficoltà economica è inferiore alla media dei paesi OCSE, ma la spesa per interessi passivi e per pensioni è molto superiore. La spesa per interessi discende dall‟elevato livello del debito pubblico e il sistema pensionistico in essere è in qualche caso molto generoso e copre una frazione molto elevata della popolazione”.
Segnaliamo due cose: la spesa per “servizi pubblici” e per “sostegno” è minore della media europea, mentre “superiore” risulta quella per pensioni e interessi sul debito. L’indicazione è implicita: poiché quella per interessi non si può per definizione tagliare (dipende “dal mercato”, ovvero dallo spread), resta soltanto quella pensionistica.
E’ tra l’altro falso che questa sia davvero superiore alla media europea. Pesano infatti sui bilanci Inps una serie di voci che altrove non sono a carico dell’ente previdenziale: cassa integrazione, le perdite delle casse di previdenza per i dirigenti d’azienda (incapaci a quanto pare di gestire oculatamente persino se stessi!), e ora i passivi Inpdap (creati da uno Stato che è passato improvvisamente dal non versare il “trattamento di fine rapporto” per i dipendenti statali (finché erano diretti all’Inpdap) a farli figurare come “passivo” una volta fatta la riunificazione dentro l’Inps.
Lo strategemma retorico usato da Giarda nel dossier è di circoscrivere la “spesa aggredibile”, su cui esercitare un’accurata “spending review”: ben 295 miliardi.
Non si tratta, ovviamente, della quantificazione dei “tagli” (come ingenuamente crede “il manifesto”, ormai accecato dalla perdita di tutta la sua squadra di economisti, a partire dal sommo Galapagos), ma delle aree su cui più efficacemente si può sfruculiare. E la “furbizia” è quella di metterci dentro anche i corpi militari dello Stato (polizia, carabinieri, ecc), che pure – dal dossier – non escono affatto bene quanto a giustificazione delle spese sostenute.
Non manca il calcolo dei tagli effettuati dal governo Monti nei suoi quindici mesi d’azione: 21,1 miliardi, quasi tutti concentrati nella spesa pensionistica (qui gli effetti più rilevanti si riscontrano sempre a distanza di anni, perché diventano cumulativi), sanitaria e per l’istruzione. E restano questi i capitoli su cui la spending review futura dovrebbe – nei suggerimenti di Giarda & co. – scatenarsi allegramente.
Una pessima notizia per i “risanatori” da bar dello sport viene dalle cifre risparmiabili con il taglio di 35 province: tra i 370 e i 535 milioni appena. Più o meno quel che si potrebbe ricavare con il taglio dei costi della politica”, su cui tanto inchiostro è stato speso dai moralizzatori “anti-casta” (Da Gianantonio Stella in giù, fino alla Lombardi capogruppo grillina alla Camera). E infatti non sembra un caso che i due nuovi presidenti “anomali” del Parlamento abbiano aggredito immediatamente proprio queste voci: fanno audience, dànno popolarità, non incidono granché (nemmeno sui diretti interessati, al contrario dei dipendenti delle strutture da “ridimensionare”).
I veri costi, per dimensioni e conseguenze sulla struttura sociale e produttive del paese, sono infatti quelli delle “politiche sbagliate”. Vengano o no dalla Troika.
Il dossier Giarda completo: http://www.governo.it/rapportiparlamento/documenti/rapporto_spending.pdf
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