Per cogliere meglio la portata della questione, oltre alla validità in se del referendum che chiede di esprimersi sulla destinazione dei fondi comunali alle scuole private, bisogna specificare che con questo referendum di fatto si mette in discussione parte di potenziato modello consociativo inaugurato agli inizi degli anni novanta dall’ora Giunta Vitali del PDS.
La politica di finanziamento comunale alle scuole della potente Curia bolognese, di questo si tratta a parte una scuola steineriana, è stata inaugurata nel 1994 assieme alla privatizzazione di interi pezzi dei servizi comunali, ed insieme all’esplosione dell’utilizzo delle cooperative sociali bianche e rosse nella gestione del welfare locale (che oggi a livello regionale gestiscono il 75% dei servizi sociali).
Non a caso è una vicenda che arriva solo oggi al “pettine” politico, dentro una situazione di frammentazione di quel blocco politico e sociale e di quel consenso che aveva permesso finora al PCI-PDS-DS-PD di traghettare la società modello emiliana e bolognese fino ai giorni nostri.
Se oggi l’esito del referendum non è scontato come poteva esserlo pochi anni fa (in senso negativo per i promotori) non è dovuto alla crescita di un sentimento democraticamente costituzionale tra i cittadini di Bologna, ma al mutare del contesto materiale e politico del tessuto cittadino.
Gli schieramenti sulla carta sono impari: per il mantenimento dell’attuale finanziamento alle private sono schierati ovviamente la stessa Curia con tutto l’apparato delle parrocchie (e con l’intervento nazionale dello stesso Cardinale Bagnasco), il centro destra, il PD e tutta la stampa locale (da La Repubblica, al Corriere della sera, fino ovvio al Resto del Carlino); di contro uno schieramento “di scopo” molto eterogeneo che va dalle realtà di lotta e storicamente di opposizione alle politiche di smantellamento e privatizzazione (come il sindacato USB) a organizzazioni e realtà collaterali e addirittura interne proprio al pezzo “governativo” di società politica e civile (come SEL che un anno fa si era semplicemente astenuto in occasione del rinnovo della convenzione di finanziamento ai privati).
Non a caso la recente e sempre pessima trasmissione “Servizio Pubblico” di Santoro ha utilizzato il caso bolognese non tanto per informare sui contenuti politici del referendum ma per discorrere della crisi del PD e del centro sinistra.
Le potenzialità e l’impatto del referendum non sono riconducibili solo ad una crisi di credibilità o di egemonia del PD, c’è ovviamente dell’altro e di più: le scelte di privatizzazione mostrano da tempo la corda sia a livello locale (nella Bologna laboratorio) che nazionale, non passa giorno senza che emerga un problema connesso con la gestione di pezzi del servizio pubblico dato in appalto o concessione a privati e cooperative sociali (dai trasporti ai servizi sociali) con crescenti disservizi pubblici; vi è un decadimento crescente e palpabile della “qualità” della vita del territorio (dall’occupazione alla manutenzione del territorio e della metropoli).
Nello specifico del settore educativo e scolastico i tagli crescenti al budget comunale si sono riversati in un forte aumento delle tariffe per tutti i servizi comunali, compreso un aumento delle tariffe per i servizi scolastici ed educativi per l’infanzia, e con un allungamento delle liste di attesa e di bambini esclusi dall’accesso ai nidi e alle scuole dell’infanzia (più di quattrocento l’anno scorso).
Da questo quadro e da una fetta ancora minoritaria ma crescente della popolazione bolognese emerge l’esigenza di un possibile cambiamento e soprattutto l’inaccettabilità di continuare a finanziare con quote crescenti di denaro pubblico scuole private con rette alte, mentre i servizi e la scuola per l’infanzia comunale e statale vanno sempre più a fondo e diventano anno dopo anno più costose per le famiglie.
Di fronte a questa materialità, gli appelli del Sindaco Merola a salvaguardare il finanziamento alle private per tutelare i 1700 bambini (di famiglie con un reddito medio ben superiore di quelle pubbliche) delle scuole private, che queste scuole sono “paritarie” e quindi sarebbero parte di un sistema pubblico, non hanno la stessa presa che potevano forse avere qualche anno fa.
Altro importante aspetto e che nella campagna referendaria è entrato un altro importante protagonista: le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori del settore educativo e scolastico, sia comunale sia delle cooperative sociali. Le ultime settimane prima del voto sono segnate da una forte mobilitazione di collaboratori, insegnanti e educatori contro la esternalizzazione dei nidi e delle scuole dell’infanzia comunali alle ASP (ex IPAB) e la gestione degli appalti in essere, in queste mobilitazioni la difesa dell’assetto comunale è visto, giustamente, come strettamente legato ai contenuti e agli esiti del referendum.
Sul fronte della rappresentazione politica abbiamo, per un pezzo dello schieramento referendario in campo, un banco di prova e di emersione dell’area del “partito del lavoro”, plasticamente rappresentato dalla presenza dello stesso segretario della FIOM Landini come protagonista di una convention cittadina, ovviamente non promossa unitariamente ed ufficialmente dal Comitato referendario ma che di fatto ha inaugurato l’ultimo mese di campagna elettorale.
Di fronte a queste difficoltà interne ed esterne il PD e della Giunta accusano un nervosismo malcelato, gli attacchi sono ben oltre il politicamente corretto (gli stessi firmatari vip dell’appello nazionale a sostegno del referendum sono bollati come “marziani”): il referendum che ha carattere consultivo viene dichiarato dal Sindaco Merola come “inutile” ritenendo il suo mandato e il suo programma vincolante e non modificabile attraverso la consultazione, ben rappresentando così la crisi e il dibattito sulla democrazia rappresentativa; la stessa amministrazione comunale ha predisposto un numero di seggi insufficiente per la piena e diffusa partecipazione al voto (non si vota nelle scuole come per le politiche ma nelle altre sedi comunali come quartieri e centri sociali per anziani).
L’attacco politico verso i pezzi di società politica e civile collaterali e complementari al PD e oggi schierati per il referendum si esprimono in maniera chiara dell’accusa di aver messo su un referendum “divisivo” in un momento dove le larghe intese (tra centro destra e centrosinistra, tra sindacati concertativi e padronato) sono l’asse portante.
Dopo il 26 maggio sarà importante capire se e come questa spaccatura verrà ricomposta o meno, se nella gestione del risultato referendario si ritroveranno vecchie e nuove attitudini consociative, ma per il momento il compito essenziale è cogliere il risultato di un importante segnale di controtendenza allo smantellamento della scuola pubblica e del modello pubblico in genere.
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