Imperanti Napolitano e Letta, il mondo ha cambiato volto, le banche hanno aperto i cordoni della borsa, Equitalia è diventata «fatebenefratelli» e la Fornero, sciolta nel pianto, ormai non fa danni.
Intendiamoci. Di persone che si tolgono la vita ce ne sono tante ancora purtroppo, ma la «velina» è cambiata e la fabbrica del consenso s’è data una linea nuova: ora ti togli la vita solo per depressione e solitudine. E’ regola fissa. Non fa meraviglia perciò se, a dar retta a pennivendoli scribacchini, due giorni fa, sconfitto dalla vita, per queste ragioni s’è ucciso Giovanni Biscardi: il dramma d’un anziano pensionato tristemente maturato nella melanconia e nella solitudine. Pazienza se dietro c’è la lunga lotta d’un uomo che al capitale e ai padroni non s’è mai piegato, che ha saputo dire tutti i no che doveva e paga il prezzo amaro della sconfitta. Sconfitta sindacale, sconfitta di lavoratore in cui la vita e i suoi «spigoli» c’entra veramente poco. Così vuole il circo mediatico, così fa comodo al potere.
Giovanni Biscardi era orgogliosamente figlio d’operai e non l’ha mai dimenticato per tutta la vita. Mai, nemmeno quando la multinazionale in cui lavorava, gli fece ponti d’oro perché diventasse un “cane del padrone”. Che diavolo voleva e di che si lamentava? Un «quadro» è un «quadro» anche se il padre è stato un operaio. Da una parte i soldi, dall’altra i principi d’una vita, lui però non ci stette a pensare. Rifiutò. In piazza, tra le bandiere al vento, potevi magari non trovarlo, Giovanni Biscardi, ma si portava dentro un suo sentimento anarchico convinto e il senso profondo della solidarietà e della giustizia sociale. Quando scattò la rappresaglia, non fece una piega e non si tirò indietro. Vincenzo Gagliano, isolato nella segretaria della Camera del Lavoro di Napoli, giocò le carte che aveva, ma era isolato e la Cgil si limitò alla difesa d’ufficio. Biscardi contrattò il tanto di buonuscita che si poteva strappare e se ne andò sbattendo la porta. Da allora ha vissuto come poteva, con la sua grande dignità e non è stato mai solo. Era circondato da affetti profondi e con profondo affetto li ricambiava. La solitudine, quella di cui ora ciancia la stampa dei padroni, è di natura ben diversa. E’ nata della violenza di tempi barbari e s’è presentata d’un tratto, insidiosa e vile, quando il potere ha deciso di giocarsi ai dadi vita e dignità dei lavoratori e i camerati oggi uniti dalle «larghe intese» decisero che la pensione, faticosamente attesa, sarebbe arrivata solo un anno dopo del previsto. E’ stato quell’anno a decidere di una vita. La pensione lui la pretendeva. Era la sua rivalsa morale, il segno tangibile che nel lungo e amaro scontro in fondo ce l’aveva fatta e l’aveva spuntata .
Al ponte fatale da cui s’è precipitato non l’hanno condotto né la «sorte cinica e bara», come narra la «fiction» del circo mediatico, né una inesistente solitudine che diventa uno schiaffo al dolore di chi l’ha amato. A quel ponte ce l’hanno portato le scelte assassine di chi ci governa. «Avremmo dovuto andare fino in fondo negli anni Settanta», ripeteva negli ultimi tempi, «ora è tardi».
E’ morto venerdì 12. Sabato, all’obitorio, un magistrato che intendeva sottrarlo alla morsa della burocrazia, s’è dovuto arrendere: mancava il referto delle forze dell’ordine. Troppa fatica per il fine settimana. Se tutto andrà bene, la vicenda terrena si chiuderà tra due giorni. Questo è il nostro Paese oggi, un Paese che la «libera stampa» si guarda bene dal raccontare. Il Paese che Giovanni Biscardi ha provato coraggiosamente a cambiare.
Che la terra sia lieve a un combattente.
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Daniele
Maledetti, maledetti, maledetti, non mi posso esprimere come vorrei o le Grandi Antenne di organizzazioni criminali statali potrebbero maltrattarmi, ma il mio odio vi perseguiterà anche dopo la morte, maledetti voi e le vostre stirpi!