Una recita a soggetto, su mandato di Napolitano, per mantenere in piedi un simulacro di governo. Enrico Letta ha sdraiato il suo corpo sulla missione affidatagli, al punto da dire che “Dalla relazione Pansa è inoppugnabile il mancato coinvolgimento del governo e l’estraneità del ministro Alfano”.
Anzi; “le indagini hanno dimostrato che le operazioni di espulsione non sono state comunicate al governo”. Quindi dovremmo tutti prendere per buona la favola che in questo paese un ambasciatore qualsiasi di un paese minore, addirittura in sospetto (si fa per dire) di essere solo una satrapia orientale vecchio stampo, può insediarsi nell’ufficio del capo di gabinetto del ministro dell’interno e di lì dirigere le operazioni della “nostra polizia”; che si affanna mandando ben 40 “teste di cuoio” per arrestare una signora e una bambina di sei. Per rispedirle nel giro di 48 ore tra le braccia di Nazarbayev. Il tutto senza che il ministro stesso si accorgesse di nulla (anche se il capo di gabinetto, Procaccini, ammette di averlo “relazionato” sulla vicenda), e quindi tutto il governo.
Se così fosse, dovremmo fuggire immediatamente in qualsiasi altro posto, perché è impossibile vivere tranquilli in un paese dove ti chiedono tasse abnormi e non hai nemmeno la garanzia che il ministro di polizia controlli almeno la polizia.
Insomma: il governo non sa nulla di quello che in genere costituisce il cuore di un’attività di governo. Però deve restare in sella per evitare guai peggiori.
Il mantra di Napolitano viene declinato in mille tonalità da ogni componente della maggioranza, Laura Puppato a parte, che insiste nel chiedere le dimissioni di Alfano. Anche se dopo il discorso di Letta – arrivato a chiedere in pratica una “nuova fiducia” – logica vorrebbe che si chiedesse le dimissioni dell’intero esecutivo.
Il Pd quindi voterà contro la mozione di sfiducia personale, giurando che Angelino proprio non s’è mai accorto di quanto avveniva nella propria suite al Viminale. Chi pensava che il punto più basso del Parlamento era stato il voto (Pdl e Lega) su “Ruby nipote di Mubarak” è ora servito (l’efficace battuta è di Paolo Ferrero, segretario Prc): si può fare di peggio.
Ci ha pensato, su questa strada, il presidente del Senato, quando ha richiamato il senatore Morra, del Movimento 5 Stelle, invitandolo a a non nominare Giorgio Napolitano. “Non sono ammessi riferimenti al Capo dello Stato, lasciamolo fuori da quest’aula”, ha detto.
E poiché Morra insisteva: “Io faccio riferimenti a voce alta, se sbaglierò decideranno i cittadini”, Grasso ribadiva: “Ma lei non può citarlo”. Monarchia assoluta, allora, non è più una battuta…
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