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“Bolobene” vs “Bolofeccia”: giovani mani pesanti per vecchie coscienze leggere

Bologna, la rissa di alcuni studenti delle superiori sta mettendo a nudo il mondo degli adulti

Era passato ormai lo shock della prima ora per questa cosiddetta maxirissa. Ci siamo visti costretti a subire manifestazioni di rammarico e sgomento gocciolanti come lacrime dai corsivi della stampa locale. Le dichiarazioni più strazianti sono senz’altro apparse in sogno a Dionigi, il quale, evidentemente baciato da Calliope, sì è lanciato in un’orgasmica composizione lirica, mostrandosi capace di un tripudio parolaio fatto di “agghiacciato, ineffabile, indicibile, infraumano, subumano, videoanalfabetismo, subcultura, non riesco a commentarlo, mi dà da pensare, mi preoccupa”, tutto in un minuto di intervista. Il ragazzo non è mica rettore per caso. Tra gli allarmati titoli del Carlino, siamo stati testimoni dell’indignazione di molti studenti universitari, “bolognesi di Bologna”, che non perdevano l’occasione tramite facebook per tentare di soffiare a Crepet l’intervista dell’indomani per i microfoni di Uno Mattina, imbarazzandosi di fronte all’idiozia palesata da questa nuova generazione (mentre la loro aveva garantito a lungo ottimi risultati di share a Smack Down, programma dall’elevato contenuto educativo). Una cosa intanto l’avevamo intuita: alla lista stilata recentemente dal Guardian dei dieci libri più letti per finta, dobbiamo aggiungere tutta quella letteratura che va dalla Guerra dei Bottoni a I Ragazzi della Via Pàl, passando per i romanzi di Mark Twain. Evidentemente la smania perbenista di alcuni nostri concittadini non riesce a ridimensionare la portata di una rissa, ma anzi schizza incontenibile quando una scazzottata tra ragazzetti li porta a temere che le placide passeggiate per i portici di Via Saragozza viste nei ricordi di Avati in Gli Amici del Bar Margherita possano essere disturbate dalle scorrerie delle bande de La Città di Dio. Una notevole propensione a sovrapporre contesti e immagini, non c’è che dire.

L’ingenua speranza che con l’arrivo del lunedì successivo non saremmo dovuti incorrere nel proseguo di tali litanie, non aveva fatto i conti con le tempistiche previste dalla liturgia del perbenismo: l’inesorabile commento della politica ci attendeva alle porte! È stato tutto un susseguirsi di inviti al dialogo (secondo Merola, gli adulti litigano troppo e danno il cattivo esempio), di dichiarazioni d’intenti in favore dell’istituzione di “percorsi mirati per famiglie e ragazzi” con compartecipazioni tra Ausl e procura dei minori (aldilà dell’improbabile accozzaglia, pare che gli assessori Frascaroli e Pillati non considerino un ostacolo le già scarsissime risorse dei servizi sociali), di conferenze stampa con pertinentissima presenza della preside di un liceo privato a fianco dello psicologo della Polizia (siamo o no nell’era dei tecnici?), senza scordare proposte che saranno indubbiamente state accolte dagli studenti con enorme gioia, come quella che Zacchiroli ha rivolto a tutti i colleghi consiglieri di “andare a trovare i ragazzi nelle scuole”. L’inaugurazione dell’anno con esponenti del mondo dell’imprenditoria e dell’amministrazione a sedere tra i banchi non era stata già una botta sufficiente. Il genio si spreca, l’incompetenza altrettanto.

Non siamo esperti pedagoghi, e lasciamo a questi l’eventuale proposta operativa su ciò che sarebbe utile fare nell’immediato per andare incontro ai ragazzi coinvolti. Ma crediamo anche che non bisogna aver studiato Freire o Fanon per arrivare a dire che lontanissimi si è stati finora dal rivolgersi alle loro teste e alle loro pance, quanto invece si è fatta un po’ di sana propaganda per tranquillizzare i genitori elettori.

Sotto l’analisi di lenti diverse da quelle proprie della pura pedagogia, ci sentiamo invece di notare due cose. Innanzitutto, constatiamo che il securitarismo è dai tempi di Cofferati la grande panacea a tutti i problemi di questa città, tanto che l’unica proposta esecutiva che prenderà realisticamente piede in tempi brevissimi sarà l’aumento di pattuglie e telecamere ai Giardini Margherita, luogo dove si sono verificati i fatti, idea da tempo in cantiere e confermata ora da Merola e Giorgetti (presidente del relativo quartiere). Cresce la consapevolezza di come la difesa dell’ordine costituito sia una priorità sempre più stringente quando non è permesso imboccare percorsi alternativi. In secondo luogo, in via direttamente conseguente, non possiamo non notare la miopia, conscia o meno, con cui viene affrontata questa situazione e che si mostra quindi come una generale ristrettezza di vedute, e conseguentemente di agibilità, a cui è stata relegata la sfera della politica. Pochissime sono state le parole in merito alla composizione sociale dei gruppi di appartenenza dei vari ragazzi, ancora meno gli effetti che questa panoramica avrebbe dovuto avere nella formulazione di una catena di cause e conseguenze relative, individuando i micro e i macro fenomeni che si sono sviluppati prima, durante e intorno a questa fantomatica rissa. Inesistente quindi l’acquisizione di un punto di vista complessivo che sappia indicare criticamente i nodi strutturali che si sono palesati in quest’occasione, facendone sponda per una proposta generale sul mondo della formazione. Desiderio ingenuo il nostro d’altronde, quando da decenni non esiste nel Palazzo visione alternativa al lungo ciclo di destrutturazione del sistema educativo nazionale, soprattutto oggi che mangiamo pane e austerity, in un contesto in cui l’unica visione generale ammessa è dettata dalla Troika.

Eppure, ci pare che alcuni di questi nodi siano chiari. Bologna aspira a diventare Città Metropolitana. Soprattutto dal momento in cui questo avviene nel paradigma della crisi come unico spazio di progettualità per il futuro, sarebbe bene che chi l’amministra ne tenesse conto per garantire la salvaguardia dei beni comuni. Ma è difficile, se gli interessi sono contrastanti e parte di questi non trovano rappresentanza, ovvero proprio quelli di buona parte della popolazione delle periferie, da cui vengono molti dei ragazzi della cosiddetta “Bolofeccia” (definizione non autoprodottasi, ma così pensata dai figli di chi sa di appartenere alla “Bolobene”, non scordiamolo). Lo sviluppo di politiche di esclusione dalla partecipazione alla spartizione del plusprodotto porta inevitabilmente con sé l’avanzamento della costituzione di aree a cui vengono affidati ruoli e “status” diversi. Ciò vale tanto nei termini della divisione internazionale del lavoro, tanto in riferimento geografico agli Stati e alle loro stesse città. Rimandando ad altri nostri interventi per una disamina del fenomeno nel panorama urbanistico italiano, possiamo qui dire che i giovani della Bolognina (da dove provengono metà dei ragazzi coinvolti nella rissa) si stanno letteralmente contendendo l’agibilità di spazi dai quali si cerca di allontanarli da tempo. La loro presenza in centro, e nel relativo parco, non piace a chi quei luoghi li abita e se ne sente padrone. Se pare questa un’accusa esagerata all’altra metà di giovani, i benestanti, la si legga più come una constatazione del comportamento dei loro “genitori” (in senso lato, s’intende) e di un sistema di cose che continua a produrre questa separazione, mentre anzi andiamo proprio verso la sua accentuazione. Infatti negli ultimi anni stiamo assistendo alla riqualificazione della Bolognina, processo che sta assumendo tutti i caratteri tipici della gentrification. Tra la nuova area residenziale della Trilogia Navile, le nuove sedi degli uffici comunali, la stazione dell’alta velocità e alcune modifiche alla viabilità, si sta integrando quest’area periferica nel nuovo cuore amministrativo cittadino, secondo la logica ormai diffusa in Europa di lasciare il centro come vetrina. Mentre intanto in Bolognina gli affitti salgono e chi abita oggi il quartiere deve immaginare di trasferirsi in aree ancora più lontane dal centro. Il tutto in un panorama che da un decennio a questa parte vede solo le lotte dei movimenti per l’abitare intente a cercare di arginare la totale assenza di politiche abitative pubbliche.

Punto secondo: i Bolofeccia sono per lo più studenti degli istituti tecnici, molti dei quali immigrati. I dati già ci dicono che gli immigrati sono una percentuale sempre maggiore sul totale della popolazione studentesca, vivono situazioni di dispersione scolastica, di rallentamento nel percorso di studi obbligatori rispetto ai coetanei italiani, frequentano corsi superiori professionalizzanti che portano a lavori dal reddito medio corrispondente al 72% di quello delle persone meglio istruite (lavori infatti perlopiù evitati dagli italiani). In generale, valgono le considerazioni che abbiamo fatto altrove, e che abbiamo confermato recentemente in riferimento alle disposizioni del Ministro Carrozza, per cui tra tagli al mondo della scuola, ostacoli all’accesso agli atenei che contano e incanalamento in percorsi di serie A e di serie B sin dalla scelta degli studi secondari (rafforzata dalla recente decisione di anticipare i test d’ingresso in primavera), si spacca in due il mondo dei giovani tra chi “si realizzerà” e quelli che vivranno di precarietà.

Ma niente di tutto questo è stato neppure accennato da chi sarebbe presupposto all’amministrazione della città. Si tratta pur sempre di quella Bologna in cui, proprio in merito ai temi che abbiamo toccato, vediamo che si confermano i finanziamenti agli asili privati (senza considerazione alcuna per gli esiti di un referendum consultivo che indicava una direzione diversa), in cui l’Acer ha liste d’attesa sempre più lunghe e impossibili da sanare con le politiche attuali, in cui si chiudono inesorabilmente gli spazi a suon di sgomberi e militarizzazione (i casi di Bartleby e piazza Verdi risalgono a non più tardi della primavera scorsa). La stessa Bologna amministrata dal partito che siede al governo nazionale e il cui Ministro dell’Istruzione ha ben specificato di voler continuare nel solco delle riforme precedenti, stanziando in questi giorni 400 milioni di euro come specchietto per le allodole a fronte dei tagli miliardari eseguiti negli ultimi anni.

Ciò che occorre fare dunque, inutile dirlo, potrebbe essere organizzare e articolare un progetto di rilancio politico che catalizzi le voci del dissenso legato sempre più a bisogni primari, come quello di poter immaginare e modellare uno spazio urbano a misura anti-crisi, fondato sul riuso, sulla partecipazione, sulla costruzione comunitaria e sulla garanzia di diritti materiali e immateriali, dall’abitare al dialogare, dal lavoro alla cultura, dall’istruzione alla sanità. Questi giovanissimi ragazzi vivono la crisi sulla loro pelle, vedono molte porte già chiuse prima ancora di essersi potuti fare un’idea di cosa ci sia oltre. Come è stato scritto da molti compagni in riferimento alle mobilitazioni studentesche dell’autunno passato, un fenomeno tutto nuovo vede gli studenti medi come parte di un corpo sociale pulsante che non ha bisogno di essere eterodiretto per esprimere il proprio disagio. Sarebbe sciocco immaginare che chissà quali future tendenze, figlie del web 2.0, siano venute alla luce dalla zuffa in questione, e che una solida coscienza di classe ne abbia mosso i meccanismi: le scazzottate ci sono sempre state e se non si alimentavano sui social network c’erano i bar fuori da scuola e le pareti dei bagni per lanciarsi reciproci insulti. Ma altrettanto sbagliato sarebbe sottovalutare la presenza di un’acquisizione, seppur incosciente, di certe ben più ampie contraddizioni di classe che abbiamo qui cercato di mostrare, nella misura in cui diventano materiale vivo sul quale qualunque compagno è tenuto a sviluppare l’azione politica in questa città purché la si voglia  feconda e foriera di risultati credibili. Questa è la nostra risposta alle ansie di Helen Lovejoy.

 

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