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“Rompere con l’UE”: un grido nel cuore della bestia

“Da quanto tempo è che vediamo ministri dall’espressione triste e contrita andare in tv per giustificare sacrifici che altri devono fare? Intanto la crisi diventa sempre più insopportabile e grave. E nonostante siano stati sollecitati più volte a confrontarsi con i lavoratori i ministri competenti si sono ben guardati dal farlo. Affermano che la spesa pubblica è troppo alta e va abbattuta, ma ad essere tagliata è solo la spesa sociale, mentre miliardi di euro vanno alle spese militari, alle banche, alle imprese sotto varie forme”.
L’ennesima sollecitazione critica nei confronti del ministro dell’Economia e delle Finanze Saccomanni e del suo vice Fassina è venuta questa mattina da un’assemblea organizzata dal sindacato Usb e dal centro studi Cestes proprio in una sala del dicastero di Via XX Settembre. “Siamo qui con alcuni intellettuali militanti che da sempre allo studio e alla ricerca scientifica affiancano la loro internità ai conflitti e ai movimenti” ha detto Luciano Vasapollo, docente  di Analisi Dati di Economia Applicata alla «Sapienza»
di Roma e direttore del Centro Studi del sindacato di base. La proposta di rottura con l’Unione Europea contenuta nel libro ‘Il risveglio dei maiali’ è diventata in pochi anni un manifesto politico e sindacale che si sta diffondendo in numerosi paesi europei, anche grazie alla ripubblicazione e alla traduzione in altre lingue. “L’approfondimento e l’aggravamento della crisi ci spingono a cercare soluzioni alternative di tipo radicale ma realizzabili, fattibili. E’ ormai evidente che le varie proposte di riforma e di democratizzazione dell’Unione Europea non hanno nessuna possibilità di essere realizzate e sono quindi puramente propagandistiche e irrealistiche. Per questo occorre costruire le condizioni per uscire dall’Unione Europea e dall’eurozona e dar vita ad un altro processo di integrazione solidale e compensativa tra i paesi che l’integrazione a guida tedesca sta letteralmente stritolando” ha spiegato Vasapollo durante il suo intervento e rispondendo alle domande di studenti e lavoratori.

Prima di lui Fabrizio Tomaselli, membro dell’esecutivo nazionale dell’Usb, aveva riaffermato la necessità di imporre nell’agenda del paese non solo il conflitto e la lotta sui posti di lavoro e nella società ma di legare la vertenzialità diffusa che pure esiste ad una progettualità alta, di tipo strategico globale. Perché, ha denunciato Tomaselli, è proprio la ‘politica’ a mancare in questo paese, dove dominano incontrastate le necessità dell’economia. “Non serve solo chiedere dieci euro in più in busta paga quando poi tagli e controriforme abbattono il salario indiretto e i servizi del 50%. Quindi anche una forza sindacale come la nostra deve sforzarsi di proporre alternative di tipo globale che sono tra l’altro già all’ordine del giorno all’interno dell’iniziativa e del dibattito della Federazione Sindacale Mondiale – alla quale l’Usb aderisce – per imporre una via d’uscita alternativa ai diktat della troika, come quel fiscal compact che obbliga l’Italia al pagamento nei prossimi 20 anni di circa 50 miliardi di euro ogni anno che uccidono ogni possibilità per lo stato di intervenire a favore del lavoro, dei servizi e del welfare”. “Soprattutto – ha spiegato Tomaselli – occorre smentire il terrorismo mediatico e politico e anche quei luoghi comuni che si scatenano contro chi come noi afferma che è possibile rompere con l’UE e con l’Eurozona. A chi ci dice che le conseguenze di questa rottura sarebbero catastrofiche rispondiamo: non sta portando la vostra gestione antipopolare della crisi a una devastazione sociale ed economica dei nostri paesi senza precedenti? Nonostante le vostre ricette la crisi non sta peggiorando invece di risolversi?”. “L’alternativa va costruita con l’organizzazione sindacale e popolare e con il conflitto, non solo teorizzata” ha ribadito il dirigente dell’Usb.

Che rompere con un processo aggressivo e devastante di integrazione come quello portato avanti dall’UE sia possibile farlo lo ha spiegato il docente della Middlesex University di Londra – ma originario del Cile – Francisco Dominguez. Che scherzando con lo slogan che ha reso famoso Obama – Yes, we can (Si, possiamo) – ha ricordato che alcuni paesi dell’Europa vivono oggi sulla propria pelle processi, seppure in forme e ritmi diversi, di devastazione economica e di impoverimento che l’America Latina ha conosciuto dagli anni ’70. Da quando cioè il colpo di stato militare fascista guidato da Augusto Pinochet ha imposto in Cile, nel 1973, una dittatura sanguinaria che tra le altre cose ha implementato con la forza e la sopraffazione i dogmi del neoliberismo. “Hanno privatizzato tutto ciò che si poteva, hanno creato deliberatamente la disoccupazione di massa, hanno eliminato i sindacati e soppresso la democrazia, hanno tagliato salari e pensioni, hanno ridotto quasi del tutto la sovranità nazionale, prima in Cile e poi in tutta l’America Latina” ha ricordato Dominguez. Che dati alla mano ha ricordato come all’inizio degli anni ’90 in tutto il subcontinente regnassero la povertà, la disoccupazione, la miseria. Una situazione gravissima che però in pochissimi anni la rottura di alcuni popoli e alcuni paesi con il meccanismo di dominazione economica e imperiale da parte degli Stati Uniti ha completamente cambiato. La creazione dell’Alba – Alternativa Bolivariana dei Popoli dell’America Latina e dei Caraibi – affiancata ad un forte intervento nello stato nell’economia ha permesso in pochi anni di sradicare l’analfabetismo da alcuni paesi, di ridurre enormemente povertà e disoccupazione e di cominciare a far crescere l’economia a ritmi sostenuti.

“Il mito neoliberista secondo il quale l’intervento dello Stato in economia rappresenta uno ‘spreco’ di risorse e impedisce la crescita economica si è rivelato nella pratica una falsità” ha commentato Joaquin Arriola, economista e docente all’Università del Pais Vasco, secondo il quale le proposte riformiste di cui si fanno promotori i partiti di centrosinistra e i sindacati concertativi dell’Unione Europea sono ingannevoli e inattuabili, perché completamente incompatibili con gli interessi e gli obiettivi delle classi dirigenti della Germania e degli altri paesi del nucleo dominante dell’UE che stanno sfruttando la crisi economica per ridurre i diritti democratici e dei lavoratori e per rafforzarsi. “E’ utopistico pensare che la frazione dominante del capitale europeo faccia semplicemente harakiri accettando la realizzazione delle ipotesi riformiste. Ma proporre la rottura con l’architrave istituzionale e la divisione del lavoro instaurata dal capitale in Europa non è affatto utopistico. Un programma di rottura con l’Unione Monetaria che impoverisce la maggioranza della popolazione e facilita la centralizzazione del capitale e l’arricchimento di una minoranza non è tecnicamente più complicato rispetto alle proposte di semplice riforma e democratizzazione”. Il ricatto della troika sui paesi della periferia europea, in particolare i Piigs – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – prende a pretesto il pagamento del debito estero dei vari paesi, definito pubblico quando in realtà si tratta in buona parte di debito privato o contratto dai governi per salvare banche o istituti finanziari. Secondo Arriola “è la stessa creazione dell’Euro ad aver contribuito all’esplodere della crisi economica globale, perché la moneta unica si può considerare una ‘moneta spazzatura’ che ha nascosto il rischio reale di indebitamente dei paesi dell’eurozona rispetto ai loro stessi mercati”.

Che dopo esser stati al centro di una conferenza internazionale nel fine settimana, temi così importanti e fondamentali per il futuro del nostro paese siano stati dibattuti anche nel ‘cuore della bestia’, cioè a pochi passi dalle stanze dove i responsabili del governo Monti prima e di quello Letta poi continuano a implementare politiche antipopolari e suicide, ci sembra di non poca importanza. 

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