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Dal Quirinale, un no al proporzionale che sa tanto di patto con il diavolo

Alla luce delle ultime esternazioni del Presidente Napolitano riguardo al come il Parlamento dovrebbe mettere mano alla legge elettorale, ribadendo il superamento del proporzionale, è forse giunta l’ora che qualcuno ricordi al Presidente i suoi doveri, primo fra tutti, quello di essere al servizio della Costituzione.
Un compito molto delicato che non ha nulla a che vedere con l’equidistanza con le forze politiche o un interventismo dalla frequenza asfissiante.
Nulla di più normale e doveroso che Napolitano sia intervenuto più volte per ricordare al Parlamento la necessità di modificare una pessima legge elettorale palesemente incostituzionale; assolutamente irrituale e contrario al suo ruolo, però, l’indicare al Parlamento la non adozione di una soluzione che potrebbe ben rispondere ai rilievi sollevati dalla Consulta nei confronti del Porcellum.
Per quale grave presunta violazione della Costituzione, infatti, si dovrebbe ribadire il superamento di un meccanismo elettorale, il proporzionale puro, sul quale erano e sono ancora disegnati tutti gli equilibri costituzionali?
Evidentemente nessuna.
Siamo quindi di fronte ad una chiara invasione di campo che non tutela la Costituzione ma che, invece, ha la pretesa di intervenire sul merito.
Un’indicazione, peraltro, che non tutela neanche l’istituto referendario e quel volere del corpo elettorale che da più parti viene impropriamente tirato in ballo.
Con il referendum elettorale del 1993 gli elettori non hanno stipulato alcun patto, non più ripensabile, con il diavolo, e questo neanche se lo avessero voluto. Non fosse altro per il rispetto che si deve alla larga parte di elettorato, cittadini dai 18 ai 37 anni, che all’epoca non votava e che, quindi, sulla questione non ha mai avuto la possibilità di dire la propria.
Anzi no, alcuni di loro questa possibilità, soltanto parziale, l’hanno in seguito avuta più volte.
Stiamo parlando dei tre referendum elettorali del 1999, 2000 e 2009, tutti e tre con l’obiettivo di forzare il meccanismo elettorale vigente verso il bipartitismo, ma tutti e tre clamorosamente falliti per il mancato raggiungimento del quorum.
A voler quindi tentare di interpretare il volere dell’intero corpo elettorale, l’ebrezza per l’introduzione della forzatura maggioritaria sembrerebbe essere durata ben poco. Ma si sa, in Italia il popolo è sovrano a fasi alterne, per cui a volte va ascoltato, altre, per il suo bene, un po’ meno.
 
Per concludere, prima di parlare di tradimento del referendum del 1993 in caso di ritorno al proporzionale in conseguenza della decisione della Consulta contro il premio di maggioranza indefinito e l’assenza del voto di preferenza, proviamo a chiedere se e quanti sono coloro che oggi non rifarebbero più l’errore del 1993 che ci ha trascinati nell’incubo degli ultimi 20 anni, ma soprattutto, come e perché quel risultato referendario dovrebbe valere, dopo ben 20 anni, anche per un corpo elettorale nel frattempo profondamente rinnovato.
* coordinatore di www.riforme.net

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