L’uso delle parole è un indicatore chiarissimo dello stato mentale di un paese. Di tutte le componenti principali di un paese. Ne ricaviamo che questo paese sta decisamente male, probabilmente oltre il punto di collasso intellettivo. E’ un processo di azzeramento delle culture consolidate che porta in superficie la “rivendicazione dell’ignoranza” come virtù,
Il movimento operaio era cresciuto grazie ad operai analfabeti che di giorno lavoravano e di notte studiavano, coscienti com’erano che “l’operaio conosce 300 parole, il padrone 3.000, per questo lui è il padrone”. Un modo di dire, certamente, ma un modo di indicare il fatto inoppugnabile che il differenziale di conoscenza è un muro frapposto tra il potere e gli sfruttati. Nessun movimento di liberazione ha mai fatto apologia dell’ignoranza. I fascisti sì, non a caso.
Vediamo invece crescere ovunque la passione per un linguaggio “esagerato”, per una retorica trombonica di derivazione berlusconiana, per cui un grammo diventa un chilo, un atto di insubordinazione diventa “terrorismo”, un bacio ironico su un casco diventa “molestia sessuale”. Potremmo andare avanti a lungo, e l’elenco dispiacerebbe anche a molti compagni. Quelli così richiusi in sè stessi, e nelle proprie due “pratiche”, da definire “ideologia” ogni pensiero che provi ad elevarsi al di sopra della pura “percezione” (guardare, toccare, sentire, ecc), ogni ragionamento che assuma un punto di vista che si stacchi dieci metri da terra. O dalla strada… Come se il non arrivare mai a un livello teorico fosse un’assicurazione sulla capacità di procedere, anziché la certezza di precipitare nel primo burrone che si incontra.
Questo esemplare esercizio di ironia su quella mente che ha osato immaginare una “denuncia formale” contro la ragazza No Tav che aveva sforacchiato l’orgoglio di uno sbirro alitandogli sul casco (quello stesso casco che si sarà magari tolto davanti ai “forconi” e poi rimesso davanti agli studenti di Torino, ieri) dovrebbe far riflettere un po’ tutti sul linguaggio che usiamo, sulle retoriche che ci stanno possedendo, e che ci ottundono la possibilità di afferrare – tutti insieme – il bandolo della matassa da cui vogliamo liberarci.
*****
Volevo dare la mia solidarietà al poliziotto violentato perché deve essere stato davvero terribile vivere quello che ha vissuto lui. Nulla di paragonabile, ovviamente, a quanto hanno vissuto le donne che dopo Bolzaneto denunciavano di aver subito molestie o a quelle che denunciano uno che sta in questura e che in cambio di un permesso di soggiorno chiede servizi sessuali.
Deve essere stato tristissimo per lui restare lì in condizioni di inferiorità quando dall’altra parte c’era una persona che si permetteva di abusare del proprio potere a mettergli le mani addosso. Deve essere stato terribile come lo è stato per quella ragazza stuprata a L’Aquila da un militare, terribile come per lei che è quasi morta per quella vicenda. Io sono più che certa che il poliziotto violentato capirà perfettamente quanto sia stato atroce, triste, sentirsi dire, lei e tutte le altre, prima o dopo, che se l’erano cercata, perché quando una donna denuncia uno stupro, quando viene toccata, palpeggiata, apostrofata in modo negativo, sfottuta, molestata, quello che si sente dire è sempre che se l’è cercata, ed è dura dover combattere contro gli insulti, il sessismo, quando tutto questo ricade sulla tua pelle. Figuriamoci quanto questo possa essere brutto se poi ad agire come gruppo unico è una schiera militare, un plotone di soldati, che si coprono l’un l’altro, e che di fatto vedono spesso le donne come corpo estraneo anche se dicono di volerle difendere.
Sono davvero solidale con questo poliziotto che mentre la notizia passerà di media in media riceverà tanti insulti, gli diranno che non doveva uscire, né vestirsi in quella maniera. Poi beccherà persone che gli diranno che è un puttano, lo chiameranno troio, e nel corso di un eventuale processo gli toccherà ricordare le sue sofferenze passo passo, un grande trauma ché certo alcun processo potrà mai risarcire e serve di sicuro una condanna dura, pena certa, un tot di anni di galera, perché le donne hanno da imparare il rispetto per la divisa e l’uomo. Più per la divisa che per l’uomo, in effetti. Dunque al banco dei testimoni siederà direttamente un casco, il casco violentato, che parlerà descrivendo tutto nei minimi particolari, del livello di umidità trasferito con quelle terribili gocce di saliva, di come aveva sognato di arrivare vergine al matrimonio affinché dall’unione tra lui è una caschessa nascessero tanti bei caschetti, di come si era sentito solo e di come, infine, tutti quanti avevano puntato su di lui l’indice per dirgli che era colpa sua, ché s’era lucidato troppo, che aveva il diritto di restare lì a partecipare allegramente alla barriera umana per non fare passare quella gente.
Sono solidale e partecipo pienamente al suo dolore, così immagino che casco e uomo non usciranno più di casa, che bisognerà incoraggiarli a prendere di nuovo parte ad altre belle operazioni di polizia nelle piazze. Immagino che tutto il paese mormori e che gli sia impedito di studiare, vivere, lavorare, ché è quello, solitamente, il destino riservato a chi subisce una violenza.
Partecipo, davvero, e sono sconcertata per il comportamento dei media che diffonde tesi orribili, che so, come quella in cui si diceva che sfondare vagina e organi interni di una ragazza era stato frutto di “sesso estremo consensuale” o come quella in cui si diceva che “a lei in fondo era piaciuto”. Chissà cosa s’inventeranno ora nei confronti di quest’uomo.
Poi trovo davvero coerente che vi siano uomini che quando c’è da ragionare di stupro contro le donne patteggiano, attenuano, banalizzano, rimuovono, parlano di riduzione pena e garantismo, ma se viene accusata una donna per leccata impropria alla visiera la vogliono spedire dritta al cappio ché queste donne disgraziate devono imparare.
Imparare il rispetto per la divisa, per l’autorità, per il potere. Rispetto, mai sberleffo, sfottò, nulla di nulla, perché la violenza è proprio questo, dicono: è quando uno che sta in basso, su un gradino inferiore della scala sociale, si permette di risalire e ha di che ridire contro quello che sta in alto. Avoja a dire che l’eguaglianza non è una cosa che si deve mai rivendicare. ‘Ste femmine non vogliono proprio imparare.
E’ l’omo quello che può chiamarti puttana se cammini in strada ché se glielo contesti ti fanno un pippone così per il rispetto al diritto di libera espressione. E’ quello che può ostruire il tuo cammino quando sei autodeterminata. E’ quello che può perquisirti, toccarti, violarti, perché quello è l’ordine naturale delle cose. Sta segnato da qualche parte in uno di quei libri scritti da uomini per gli uomini.
Dunque ella va punita perché ha violato questo ordine preciso. Lei di mestiere può solo fare la vittima che il tutore andrà a difendere traendone stima sociale ché se lei non mostra sufficiente rispetto per la divisa non potrà mai arrivare. E’ tutta una questione di onore, di morale, di ripristino delle gerarchie e delle regole sociali.
Lei ha solo da essere grata, con lo sguardo amabile, la posa desiderosa di essere salvata, presa e sedotta dal tutore. Schifarlo pubblicamente non si può. Non lo puoi fare. Perché quella si che è una violenza.
Non avere rispetto per un casco, per la divisa o per l’uomo che la indossa: è quella, davvero, la violenza di cui soffre l’intera società. Ed è una vera emergenza sociale. Direi che bisogna subito fare una legge, una manifestazione, scendere in piazza contro le leccatrici di caschi della polizia. Direi che bisogna immaginare un reato ad hoc perché lo stupro di visiera è cosa proprio atroce. Ci turberà vedere le vittime di questo reato grave sfilare nelle trasmissioni televisive, nascoste per la vergogna, a raccontare di spalle quelle terribili vicende e le atroci sofferenze che a loro sono state inflitte. La trasmissione televisiva che svelerà il dramma che capita sovente dappertutto sarà “Leccata Criminale” e lì si parteciperà alla ricostruzione della vita di quell’uomo, da che era piccolo, con la speranza di fare cose belle nella società, fino al momento tragico di quell’incontro che gli avrebbe segnato per sempre la vita.
Davvero, sono molto dispiaciuta. Perché i tanti “zoccola” che la ragazza ha ricevuto, nei giorni in cui i media raccontavano del suo scarso rispetto per la divisa, effettivamente non sono stati sufficienti. Una crocifissione pubblica è assolutamente necessaria. Necessaria. E così la fame di “giustizia” si placherà.
Solidarietà. E ancora:
Quando toccano uno toccano tutti (i caschi)!
http://abbattoimuri.wordpress.com
+9999999999999999999999999999999=po9i
Volevo dare la mia solidarietà al poliziotto violentato perché deve essere stato davvero terribile vivere quello che ha vissuto lui. Nulla di paragonabile, ovviamente, a quanto hanno vissuto le donne che dopo Bolzaneto denunciavano di aver subito molestie o a quelle che denunciano uno che sta in questura e che in cambio di un permesso di soggiorno chiede servizi sessuali.
Deve essere stato tristissimo per lui restare lì in condizioni di inferiorità quando dall’altra parte c’era una persona che si permetteva di abusare del proprio potere a mettergli le mani addosso. Deve essere stato terribile come lo è stato per quella ragazza stuprata a L’Aquila da un militare, terribile come per lei che è quasi morta per quella vicenda. Io sono più che certa che il poliziotto violentato capirà perfettamente quanto sia stato atroce, triste, sentirsi dire, lei e tutte le altre, prima o dopo, che se l’erano cercata, perché quando una donna denuncia uno stupro, quando viene toccata, palpeggiata, apostrofata in modo negativo, sfottuta, molestata, quello che si sente dire è sempre che se l’è cercata, ed è dura dover combattere contro gli insulti, il sessismo, quando tutto questo ricade sulla tua pelle. Figuriamoci quanto questo possa essere brutto se poi ad agire come gruppo unico è una schiera militare, un plotone di soldati, che si coprono l’un l’altro, e che di fatto vedono spesso le donne come corpo estraneo anche se dicono di volerle difendere.
Sono davvero solidale con questo poliziotto che mentre la notizia passerà di media in media riceverà tanti insulti, gli diranno che non doveva uscire, né vestirsi in quella maniera. Poi beccherà persone che gli diranno che è un puttano, lo chiameranno troio, e nel corso di un eventuale processo gli toccherà ricordare le sue sofferenze passo passo, un grande trauma ché certo alcun processo potrà mai risarcire e serve di sicuro una condanna dura, pena certa, un tot di anni di galera, perché le donne hanno da imparare il rispetto per la divisa e l’uomo. Più per la divisa che per l’uomo, in effetti. Dunque al banco dei testimoni siederà direttamente un casco, il casco violentato, che parlerà descrivendo tutto nei minimi particolari, del livello di umidità trasferito con quelle terribili gocce di saliva, di come aveva sognato di arrivare vergine al matrimonio affinché dall’unione tra lui è una caschessa nascessero tanti bei caschetti, di come si era sentito solo e di come, infine, tutti quanti avevano puntato su di lui l’indice per dirgli che era colpa sua, ché s’era lucidato troppo, che aveva il diritto di restare lì a partecipare allegramente alla barriera umana per non fare passare quella gente.
Sono solidale e partecipo pienamente al suo dolore, così immagino che casco e uomo non usciranno più di casa, che bisognerà incoraggiarli a prendere di nuovo parte ad altre belle operazioni di polizia nelle piazze. Immagino che tutto il paese mormori e che gli sia impedito di studiare, vivere, lavorare, ché è quello, solitamente, il destino riservato a chi subisce una violenza.
Partecipo, davvero, e sono sconcertata per il comportamento dei media che diffonde tesi orribili, che so, come quella in cui si diceva che sfondare vagina e organi interni di una ragazza era stato frutto di “sesso estremo consensuale” o come quella in cui si diceva che “a lei in fondo era piaciuto”. Chissà cosa s’inventeranno ora nei confronti di quest’uomo.
Poi trovo davvero coerente che vi siano uomini che quando c’è da ragionare di stupro contro le donne patteggiano, attenuano, banalizzano, rimuovono, parlano di riduzione pena e garantismo, ma se viene accusata una donna per leccata impropria alla visiera la vogliono spedire dritta al cappio ché queste donne disgraziate devono imparare.
Imparare il rispetto per la divisa, per l’autorità, per il potere. Rispetto, mai sberleffo, sfottò, nulla di nulla, perché la violenza è proprio questo, dicono: è quando uno che sta in basso, su un gradino inferiore della scala sociale, si permette di risalire e ha di che ridire contro quello che sta in alto. Avoja a dire che l’eguaglianza non è una cosa che si deve mai rivendicare. ‘Ste femmine non vogliono proprio imparare.
E’ l’omo quello che può chiamarti puttana se cammini in strada ché se glielo contesti ti fanno un pippone così per il rispetto al diritto di libera espressione. E’ quello che può ostruire il tuo cammino quando sei autodeterminata. E’ quello che può perquisirti, toccarti, violarti, perché quello è l’ordine naturale delle cose. Sta segnato da qualche parte in uno di quei libri scritti da uomini per gli uomini.
Dunque ella va punita perché ha violato questo ordine preciso. Lei di mestiere può solo fare la vittima che il tutore andrà a difendere traendone stima sociale ché se lei non mostra sufficiente rispetto per la divisa non potrà mai arrivare. E’ tutta una questione di onore, di morale, di ripristino delle gerarchie e delle regole sociali.
Lei ha solo da essere grata, con lo sguardo amabile, la posa desiderosa di essere salvata, presa e sedotta dal tutore. Schifarlo pubblicamente non si può. Non lo puoi fare. Perché quella si che è una violenza.
Non avere rispetto per un casco, per la divisa o per l’uomo che la indossa: è quella, davvero, la violenza di cui soffre l’intera società. Ed è una vera emergenza sociale. Direi che bisogna subito fare una legge, una manifestazione, scendere in piazza contro le leccatrici di caschi della polizia. Direi che bisogna immaginare un reato ad hoc perché lo stupro di visiera è cosa proprio atroce. Ci turberà vedere le vittime di questo reato grave sfilare nelle trasmissioni televisive, nascoste per la vergogna, a raccontare di spalle quelle terribili vicende e le atroci sofferenze che a loro sono state inflitte. La trasmissione televisiva che svelerà il dramma che capita sovente dappertutto sarà “Leccata Criminale” e lì si parteciperà alla ricostruzione della vita di quell’uomo, da che era piccolo, con la speranza di fare cose belle nella società, fino al momento tragico di quell’incontro che gli avrebbe segnato per sempre la vita.
Davvero, sono molto dispiaciuta. Perché i tanti “zoccola” che la ragazza ha ricevuto, nei giorni in cui i media raccontavano del suo scarso rispetto per la divisa, effettivamente non sono stati sufficienti. Una crocifissione pubblica è assolutamente necessaria. Necessaria. E così la fame di “giustizia” si placherà.
Solidarietà. E ancora:
Quando toccano uno toccano tutti (i caschi)!
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àòpè
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