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Un “job act” ancora sotto copertura

Occuparsi del “job act” renziano non è difficile: è fatica quasi sprecata, per ora. Nel testo che il neosegretario del Pd ha messo in circolazione non c’è granché quanto a proposte concrete, ma abbanstanza sul terreno “fisolofico”. Concordiamo con chi dice che è difficile attribuire a Renzi un pensiero proprio, specie di alto profilo teorico; ma in questo straccetto di ordine del giorno una “filosofia” c’è. Non è scritta in linguaggio immaginifico (vendola avrebbe fatto un altro “tema”, scolasticamente parlando), ma è facilmente rintracciabile: nessuno ostacolo alle imprese.

Gli “ostacoli” sono tutto ciò che impresa non è: lo Stato, l’amministrazione (“burocratica” per definizione da luogo comune), i partiti, i sindacati, i comitati locali. Insomma l’articolazione storica della complessità sociale e amministrativa e politica di questo paese. Tutto quel che non è impresa non merita di metter bocca su quel c he l’impresa fa. Muscia per le orecchie dei Marchionne e simili.

C’è un corollario a questa tesi “filosofica”: spostare il baricentro dalla finanza alla creazione di ricchezza. Ma qui il discorso diventa evanescente, fatto di auspici più che di proposte misurabili. Il ragionamento non sarebbe neppure sbagliato (questo paese ha ancora molto know how inutilizzato, e andrebbe rimesso subito “in produzione”, altrimenti si perde e soprattutto non si trasmette a nuove generazioni), masembra decisamente complicato “convincere” le imprese a correggere i comportamenti messi in atto negli ultimi venti anni: delocalizzazione delle attività, preferenza per l’investimento finanziario poco rischioso (titoli di stato, ecc) piuttosto che nella produzione, evasione fiscale, ecc. E non basta certo una riduzione del prezzo dell’energia (soltanto per le aziende, sia chiaro!) o della tassazione sul costo del lavoro. C’è un fugace accenno alla necessità di aumentare la tassazione sulle attività finanziarie (che costituirebbe uno “scoraggiamento” di questo tipo di investimenti), ma l’obiettivo sembra impossibile se non in un contesto omogeneo di norme europee. E sappiamo già che la principale piazza finanziaria d’Europa, lo Stock Exchange di Londra, resterebbe fuori target anche se una “maxi-Tobin tax” fosse deliberata dall’intera eurozona.

Quasi inutile criticare il punto sulla “creazione di posti di lavoro”, perché è solo un breve elenco di capitoli, senza lacuna specificazione né priorità (se non quella alfanumerica).

Sul lavoro, infine. Sono espresse “teorie”, in qualche caso dal titolo accattivante come “riduzione del numero delle forme contrattuali” – attualmente 46, un problema anche per le imprese, pare – e soprattutto “assegno universale per chi perde il posto di lavoro”. Il problema è sapere cosa c’è sotto il titolo: quanti soldi? Per quanto tempo? Attualmente abbiamo un bel caos normativo, con la cassa integrazione che copre solo una parte del mondo dipendente (quelle categorie in cui lavoratori e imprese versano mensilmente contributi appositi per la cig), la “cassa in deroga” (per le categorie in cui questo non avviene, e la cui spesa è tutta a carico dell’Inps). E poi la “mobilità” dopo il licenziamento, che dovrà essere progressivamente sostituita dall’Aspi (assegno di disoccupazione che accomuna sia questo istituto che la “mobilità). Altre settori – per esempio tutti i contratti “atipici” non prevedono invece nessuna forma di tutela.

Insomma: per le forme di “integrazione reddituale” esistenti si sa con chiarezza sia il “quanto” sia per quanto tempo. Dell’assegno universale”, invece, sapppiamo solo il nome. Passare per esempio da due anni di “mobilità” all’80-60% dell’ultima retribuzione a sei mesi di “assegno universale” di 4-500 euro sarebbe una fregatura, non certo un miglioramento.

Non resta dunque che wait and see? Aspettare pazientemente di vedere quale coniglio uscirà dal cilindro dell’ultimo prestigiatore scovato alla “ruota della fortuna”? Al contrario. Secondo noi si tratta di far sentire da subito, forte e chiaro, cos’è che vogliamo: come lavoratori, precari, pensionati, utenti della scuola e della sanità pubbliche, senza casa e senza reddito.

Abbiamo un esempio quasi casuale di questi giorni: il tentativo del governo di riprendersi gli “scatti di anzianità” – decurtati – degli insegnanti. Il boato di sdegno e incazzatura – seppur solo vituale – è stato tale da far fare marcia indietro a Letta e Saccomanni.

Si può fare lo stesso anche con il job act di Renzi e del Pd. Ma non bisogna aspettare un attimo. E la virtualità non basta davvero….

Il testo postato da Renzi, finora.

 

*****

«Abbiamo dato una bella scossa con la prima enews dell’anno, quella del 2 gennaio scorso. Ricordate? Abbiamo messo in campo tre ipotesi di legge elettorale e chiesto a tutti di chiudere. In questo secondo appuntamento del 2014, provo a fare la sintesi del punto in cui siamo e ad anticipare i contenuti della riflessione sul lavoro di cui parliamo dalla campagna elettorale.

Legge elettorale. Abbiamo offerto tre ipotesi di lavoro (rivisitazioni del sistema spagnolo, del Mattarellum, del doppio turno). Gli altri partiti ne stanno discutendo. Noi aspettiamo le loro valutazioni e ci riuniamo il 16 gennaio, in direzione, per chiudere con la nostra proposta. A mio giudizio ci sono le condizioni per definire un accordo che sarebbe davvero straordinario: sistemare in un mese quello che non si è fatto negli ultimi otto anni. Incrociamo le dita e stringiamo i denti. Mi dicono: ma vedrai Berlusconi? E Grillo? E Alfano? Sono pronto a incontrare tutti, purché si chiuda su una cosa che serva agli italiani. Se deve essere il modo di perdere tempo e prendere un caffè, lo prendo con i miei amici che mi diverto di più. Se serve a chiudere sulla legge elettorale, ci siamo.

Riforma del Senato. Noi andiamo in riunione dai Senatori del PD il prossimo 14 gennaio. Ci guardiamo in faccia. E a loro chiediamo di presentare il disegno di legge costituzionale per cambiare il Senato, trasformandolo in Camera delle Autonomie. Il supplemento della domenica del Sole 24 Ore ha rilanciato una proposta suggestiva: coinvolgere i mondi della cultura in questo organismo. Potrebbe essere una base di discussione a condizione che non sia elettivo e sia invece un incarico gratuito. Lo so, non è facile, ma eliminare il bicameralismo come lo conosciamo oggi sarebbe un passaggio storico. E sarebbe il segnale che la politica ha finalmente recepito il messaggio di cambiamento che è arrivato dai cittadini anche con le primarie. Poi, passaggio successivo, abbassamento numeri e compensi dei consiglieri regionali. Uno alla volta, per carità!

Eliminazione dei politici delle Province. Il disegno di legge Delrio è passato alla Camera. Adesso aspettiamo che il Senato dia il via libera definitivo a gennaio. Primo passo verso il miliardo di euro di risparmi dei costi della politica. Sul quale rinnovo l’appello ai deputati 5 stelle: se davvero pensate che sia un bluff, perché non venite a vedere le carte? Vediamo chi è che sta facendo il furbetto: io credo che gli elettori 5 stelle si stiano rendendo conto che protestare e basta non è sufficiente. Ecco perché continuo a sfidare i rappresentanti di quel movimento lì: perché la base, la loro base, quelli che li hanno votati, che stanno chiedendo di fare gli accordi. E a nulla serve che l’imponente apparato di comunicazione di Beppe Grillo – pagato con soldi pubblici, perché per quanto mi risulta i 5 Stelle hanno rinunciato al finanziamento pubblico dei partiti, ma prendono tutti i soldi fino all’ultimo centesimo del finanziamento pubblico dei gruppi parlamentari: chissà se prima o poi ci diranno quanti milioni di euro spendono pagati dal contribuente! – bombardi la rete con i propri utenti, veri e finti: il punto centrale è che Grillo perde consenso. L’avete visto in Trentino Alto Adige? Adesso ha avuto paura a candidarsi in Sardegna. Per forza. Grillo si rende conto che la tattica di non fare niente alla lunga non paga. Eppure tra i 5 Stelle in Parlamento c’è chi urla e chi sbraita, ma alcuni sono veramente bravi, studiano i dossier, sono preparati, sono animati dal desiderio di fare il bene dell’Italia: cosa aspettano a farsi sentire? Non si tratta di fare un accordo vecchio stile o un baratto di poltrone, né di fare un Governo insieme: semplicemente di ridurre i costi della politica. Voi che dite: alla fine ci staranno?

Scuola. Ho fatto tutta la campagna elettorale dicendo: il problema degli insegnanti è di dignità, prima che economico. È vero, guadagnano poco. Ma soprattutto sono poco considerati. Noi cambieremo verso e recupereremo il loro ruolo coinvolgendoli in una grande campagna per la riforma scolastica. Bene. Non ho fatto in tempo a dirlo che una di quelle decisioni ragionieristiche allucinanti del Governo ha tagliato agli insegnanti 150 euro al mese. Ora, a me va bene tutto. Ma le figuracce gratis anche no. Stamattina il Governo ci ha messo una pezza. Era già accaduto con le slot machines, con gli affitti d’oro, con le polemiche dell’ANCI: dobbiamo trovare un modo diverso di lavorare insieme. Non sono affezionato alle liturgie della prima repubblica con gli incontri di delegazioni: mi è sufficiente che si prenda un impegno chiaro con i cittadini e si rispetti.

Vorrei parlarvi di molte altre cose, ma forse dobbiamo limitarci a fare un piccolo passo in avanti su come funzionerà il Jobs Act di cui in molti in queste ore stanno parlando.

Partiamo da due premesse.
Una di metodo. Gli spunti che trovate in questa enews saranno inviati domani ai parlamentari, ai circoli, agli addetti ai lavori per chiedere osservazioni, critiche, integrazioni. Dunque non è un documento chiuso, ma aperto al lavoro di chiunque. Anche vostro.

Una di merito. Non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori. La voglia di buttarsi, di investire, di innovare. L’Italia può farcela, ma deve uscire da questa situazione di bella addormentata nel bosco. Deve rompere l’incantesimo. Per farlo c’è bisogno di una visione per i prossimi anni e di piccoli interventi per i prossimi mesi.

Punto di partenza: l’Italia ha tutto per farcela. È un Paese che ha una forza straordinaria ma è stato gestito in questi anni da una classe dirigente mediocre che ha fatto leva sulla paura per non affrontare la realtà (straordinaria la pennellata di De Rita nella relazione Censis di quest’anno). Un cambiamento radicale è possibile partendo dall’assunto che il sistema Paese ha le risorse per essere leader in Europa e punto di attrazione nel mondo. E che la globalizzazione non è il nostro problema, ma la più grande opportunità per l’Italia. Un mondo piatto, sempre più numeroso e sempre più ricco, che ha fame di bello, quindi di Italia. A noi il compito di non sprecare questa possibilità; abbiamo già sprecato la crisi, adesso non possiamo sciupare anche la ripresa.

Ma l’Italia vive un paradosso. Per responsabilità (diffusa) della classe dirigente, abbiamo perso molto tempo. E i dati dell’Istat di oggi – che proiettano una disoccupazione giovanile ai record dal 1977 – sono una fotografia devastante. Bisogna correre, allora. Fermare l’emorragia dei posti di lavoro. E poi iniziare a risalire la china.

Il PD crede possibile che il JobsAct sia uno strumento per aiutare il Paese a ripartire.

Ma sappiamo benissimo che la credibilità della classe politica parte dalla capacità di dare il buon esempio. Ecco perché è fondamentale che si faccia rapidamente la legge elettorale, si taglino per un miliardo i costi della politica, si eliminino le rappresentanze politiche di Province e Senato, si riduca il numero e il compenso dei consiglieri regionali. Se dobbiamo cambiare – e noi dobbiamo cambiare – bisogna partire dalla politica.

Qui c’è un sommario, con le prime azioni concrete, formulato insieme ai ragazzi della segreteria a partire da Marianna, che si occupa di lavoro, e di Filippo, che è responsabile economia. Nella prossima settimana lo arricchiremo con le osservazioni ricevute e lo discuteremo nella direzione del PD del 16 gennaio. Nessuno si senta escluso: è un documento aperto, politico, che diventerà entro un mese un vero e proprio documento tecnico.

L’obiettivo è creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri (tra il 2008 e il 2012 l’Italia ha attratto 12 miliardi di euro all’anno di investimenti stranieri. Metà della Germania, 25 miliardi un terzo della Francia e della Spagna, 37 miliardi). Per la Banca Mondiale siamo al 73° posto aal mondo per facilità di fare impresa (dopo la Romania, prima delle Seychelles). Per il World Economic Forum siamo al 42° posto per competitività (dopo la Polonia, prima della Turchia). Vi sembra possibile? No, ovviamente no. E allora basta ideologia e mettiamoci sotto

Parte A – Il Sistema

1. Energia. Il dislivello tra aziende italiane e europee è insostenibile e pesa sulla produttività. Il primo segnale è ridurre del 10% il costo per le aziende, soprattutto per le piccole imprese che sono quelle che soffrono di più (Interventi dell’Autorità di Garanzia, riduzione degli incentivi cosiddetti interrompibili).

2. Tasse. Chi produce lavoro paga di meno, chi si muove in ambito finanziario paga di più, consentendo una riduzione del 10% dell’IRAP per le aziende. Segnale di equità oltre che concreto aiuto a chi investe.

3. Revisione della spesa. Vincolo di ogni risparmio di spesa corrente che arriverà dalla revisione della spesa alla corrispettiva riduzione fiscale sul reddito da lavoro.

4. Azioni dell’agenda digitale. Fatturazione elettronica, pagamenti elettronici, investimenti sulla rete.

5. Eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio. Piccolo risparmio per le aziende, ma segnale contro ogni corporazioni. Funzioni delle Camere assegnate a Enti territoriali pubblici.

6. Eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico. Un dipendente pubblico è a tempo indeterminato se vince concorso. Un dirigente no. Stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali.

7. Burocrazia. Intervento di semplificazione amministrativa sulla procedura di spesa pubblica sia per i residui ancora aperti (al Ministero dell’Ambiente circa 1 miliardo di euro sarebbe a disposizione immediatamente) sia per le strutture demaniali sul modello che vale oggi per gli interventi militari. I Sindaci decidono destinazioni, parere in 60 giorni di tutti i soggetti interessati, e poi nessuno può interrompere il processo. Obbligo di certezza della tempistica nel procedimento amministrativo, sia in sede di Conferenza dei servizi che di valutazione di impatto ambientale. Eliminazione della sospensiva nel giudizio amministrativo.

8. Adozione dell’obbligo di trasparenza: amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati hanno il dovere di pubblicare online ogni entrata e ogni uscita, in modo chiaro, preciso e circostanziato.

Parte B – I nuovi posti di lavoro

Per ognuno di questi sette settori, il JobsAct conterrà un singolo piano industriale con indicazione delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro.
a) Cultura, turismo, agricoltura e cibo.
b) Made in Italy (dalla moda al design, passando per l’artigianato e per i makers)
c) ICT
d) Green Economy
e) Nuovo Welfare
f) Edilizia
g) Manifattura

Parte C – Le regole

1. Semplificazione delle norme. Presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero.

2. Riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40, che hanno prodotto uno spezzatino insostenibile. Processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti.

3. Assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro.

4. Obbligo di rendicontazione online ex post per ogni voce dei denari utilizzati per la formazione professionale finanziata da denaro pubblico. Ma presupposto dell’erogazione deve essere l’effettiva domanda delle imprese. Criteri di valutazione meritocratici delle agenzie di formazione con cancellazione dagli elenchi per chi non rispetta determinati standard di performance.

5. Agenzia Unica Federale che coordini e indirizzi i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali.

6. Legge sulla rappresentatività sindacale e presenza dei rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei CDA delle grandi aziende.

Su questi spunti, nei prossimi giorni, ci apriremo alla discussione. Con tutti. Ma con l’idea di fare. Certo ci saranno polemiche, resistenze. Ma pensiamo che un provvedimento del genere arricchito dalle singole azioni concrete e dalla certezza dei tempi della pubblica amministrazione possa dare una spinta agli investitori stranieri. E anche agli italiani. Oggi stimiamo in circa 3.800 miliardi di euro la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane. Insomma, ancora qualcuno ha disponibilità di denari. Ma non investe perché ha paura, perché è bloccato, perché non ha certezze.

Noi vogliamo dire che l’Italia può ripartire se abbandoniamo la rendita e scommettiamo sul lavoro. In questa settimana accoglieremo gli stimoli e le riflessioni di addetti ai lavori e cittadini (matteo@matteorenzi.it). Poi redigeremo il vero e proprio Jobs Act.

Pensierino della Sera: sono stato a Parma all’ospedale a portare l’abbraccio personale mio ma soprattutto l’abbraccio di tutto il PD a Pierluigi Bersani. Non ci ho parlato naturalmente, essendo ancora in terapia intensiva. Ho creduto giusto però esserci a nome di tanti di noi. Appena lo vedrò, voglio dirgli una cosa che lui già sa e cioè che può essere orgoglioso della sua famiglia, della moglie Daniela, delle figlie Elisa e Margherita. E può anche essere fiero della sanità della sua regione che lo ha accompagnato in queste ore difficili. Poi – una volta che gli abbiamo detto che ci siamo spaventati tanto perché comunque gli vogliamo bene – non vedo l’ora di tornare a litigare con lui.
Un sorriso,
Matteo»

 

 

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