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L’Italia in guerra: le amnesie dell’ex ministro Mauro

Nella puntata di Servizio Pubblico di giovedì scorso (27 marzo) è andato in onda un forte scontro verbale tra Gino Strada e Mario Mauro, senatore e Ministro della Difesa durante il governo Letta. Di fronte alle accuse di servilismo nei confronti degli USA lanciategli dal fondatore di Emergency, in particolare per quanto riguarda il coinvolgimento italiano nella guerra in Afghanistan, l’ex Ministro ha difeso la totale legittimità, dal punto di vista legale, di quell’intervento.

In particolare, il senatore Mauro ha affermato: “Per me l’Afghanistan è un intervento legittimato anche attraverso le Nazioni Unite”.Di fronte poi alle precisazioni di Gino Strada, secondo cui non c’era stata nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza tra l’11 settembre e il 7 novembre (data in cui il Parlamento italiano ha votato l’intervento militare in Afghanistan) l’ex ministro ha rivendicato il forte collegamento esistente tra le due date – “il 7 novembre è figlio dell’11 settembre” – asserendo infine l’esistenza di motivi umanitari quale base giuridica dell’intervento armato.

Se abbiamo capito bene quindi, secondo il senatore Mauro esistono tre basi giuridiche che portano ad affermare la legalità dell’intervento militare italiano in Afghanistan: l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, la legittima difesa (l’affermazione secondo cui “il 7 novembre è figlio dell’11 settembre” sembra richiamare il rapporto di causa-effetto alla base di tale diritto) e l’intervento umanitario.
Ebbene, va chiarito a scanso di equivoci che da nessuno dei punti di vista sopraelencati l’intervento in Afghanistan può essere considerato legittimo.

Partendo dal primo va chiarito che, sebbene il Consiglio di Sicurezza si sia occupato degli eventi dell’11 settembre, per quanto riguarda il periodo in esame, in 2 risoluzioni (Ris. 1368 del  12 settembre e Ris.  1373 del 28 settembre), in nessuna di queste viene autorizzato l’uso della forza. Anzi, volendola dire tutta, in nessuna delle due risoluzioni viene neanche mai menzionato l’Afghanistan. In entrambi i casi difatti il Consiglio ha invitato gli Stati ad adottare una serie di misure in campo legislativo, amministrativo e giudiziario volto a reprimere il terrorismo, e a cooperare al fine di renderle efficaci. Quindi l’ex ministro mente, o magari ricorda male, ma una cosa è certa: il Consiglio di Sicurezza non ha mai autorizzato alcuna azione militare conseguentemente ai fatti dell’11 settembre.
Le Nazioni Unite sono intervenute sulla questione solo con la Risoluzione 1386 del 23 novembre, quindi 16 giorni dopo il voto del Parlamento e 5 giorni dopo l’invio di circa 1450 soldati, autorizzando il dispiegamento di una forza multinazionale, l’ISAF (International Security Assistance Force), con lo scopo dichiarato di proteggere l’operato del governo afghano ad interim e del personale ONU. Volendo essere buoni, potremmo dire che la vicinanza delle date confonde l’ex Ministro. Volendo essere sinceri, dovremmo  dire che un Ministro della Difesa certe cantonate potrebbe evitarsele.
Fatto sta che l’intervento, sia nel momento in cui viene votato che nel momento in cui viene attuato è, da questo punto di vista, illegale.

Per quanto attiene il discorso sulla “legittima difesa”, va premesso che l’ordinamento internazionale riconosce a ciascuno Stato, qualora questi o un suo alleato siano vittime di un’aggressione, un diritto di intervenire militarmente per respingere tale attacco. Si tratta di un diritto esistente da tempi immemori, che la Carta delle Nazioni Unite ha codificato nell’articolo 51.
Ma l’intervento italiano in Afghanistan può essere considerato come un intervento in legittima difesa collettiva? Assolutamente no. Principalmente perché nemmeno l’intervento statunitense può essere qualificato in questo modo, in quanto, anche qualora si dimostrasse (e non è stato fatto) che l’Afghanistan ha attaccato seppure indirettamente gli Stati Uniti, non rispetta i parametri di necessità, proporzionalità e tempestività richiesti affinchè un intervento in legittima difesa possa considerarsi tale (suggeriamo al ministro di prendere visione del caso Caroline del 1841, considerato dall’unanimità della dottrina un leading case del settore).
Ma anche in un mondo parallelo, dove l’intervento USA risponde ai parametri previsti dalla legittima difesa, viene da sé che, nel momento in cui l’Italia prende parte all’azione, l’invasione dell’Afghanistan è già un bel pezzo avanti, ed il carattere difensivo dell’azione si è già esaurito. 

Infine, il terzo punto: la legittimazione umanitaria. Il senatore Mauro afferma che, nell’Afghanistan dei talebani “nello stadio si ammazzavano le persone” e “le donne non potevano studiare”. Possiamo considerare tali motivazioni, per quanto serie esse siano, valide da legittimare dal punto di vista legale un attacco armato? No, ancora una volta, non possiamo.
A così pochi giorni dal 15° anniversario del bombardamento NATO sulla Jugoslavia, considerato unanimemente un atto di aggressione illegale, è assai paradossale che un ex Ministro della Difesa invochi considerazioni di carattere umanitario per giustificare dal punto di vista legale un attacco armato.  Chi ha ricoperto un tale ruolo istituzionale dovrebbe sapere che il sistema di sicurezza collettiva prevede che tutti gli interventi di carattere non difensivo devono avere l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, e dovrebbe conoscere, almeno a grandi linee, sia la risoluzione dell’Assemblea Generale 3314 del 1974, in cui gli Stati, all’unanimità, ribadirono quanto abbiamo appena scritto, sia la prassi statale in materia.

In conclusione, è giusto e necessario che la guerra in Afghanistan venga chiamata per quello che è: un atto di aggressione di natura imperialista, che ad oggi ha causato circa 34.000 morti civili ed un numero non calcolabile di feriti e  profughi. Una guerra che ha incrementato la produzione di oppio ed il traffico  di droga. Una guerra a cui l’Italia, anche se l’ex ministro non condividerà, si è accodata, con servilismo.

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