Fin dall’apparire della cometa Renzi abbiamo scritto che questo “avvento” era da mettere in relazione a un cambiamento anche drastico nei rapporti di forza interni al blocco dominante. L’Unione Europea, infatti, tra le tante “riforme strutturali” ne chiede una che non piò essere pubblicamente nominata ma risulta fondamentale per costruire gli equilibri adatti: la riduzione al minimo degli interessi “malavitosi”, di quel vasto mondo che viaggia tra appalti, subappalti, corruzione ambientale, amministrazione pubblica, grandi e piccole opere finanziate con soldi pubblici, criminalità organizzata vera e propria.
Partita difficilissima, dall’esito non scontato. Ma che prevede – questo era chiaro fin da subito – un aumento delle inchieste giudiziarie nei gangli vitali in cui si annida quello “sporco” che condiziona lo sviluppo capitalistico di questo paese, la sua “assimilabilità” agli altri sistemi continentali.
Riduzione al minimo, non eliminazione. Perché questo blocco di interessi è solidale col potere in quanto tale, da esso indistinguibile. Ed ha anche diversi “pregi” non confessabili, a cominciare dal mettere in circolazione “redditi spendibili”, tramite clientele più o meno vaste, che rendono più tollerabili le consguenze sociali dell’austerità ufficiale. Fino alle ricadute “positive” in termini di consenso sociale ed elettorale, tanto da portare la contraddizione fin dentro la “proprietà privata” berlusconiana, con i Fitto in rivolta come prima i Fini e gli Alfano.
Expo, Caige, Mose (e in piccolo anche il ridimensionamento dei Caltagirone dentro l’Acea) sono dunque capitoli dello stesso romanzo di formazione: l’affermarsi di una “borghesia che si comporta come tale”, di stampo anglosassone anziché “sanfedista”, presentabile ed esportabile in Europa. Certo, c’è sempre il richio che troppa efficacia repressiva della corruzione si rovesci in un risultato indesiderato: l’allontanamento dal paese di investitori esteri che non possono accettare la logica del “pizzo diffuso” (sia questo praticato a livello ministeriale, regionale, comunale o territoriale). Ma il passaggio andava fatto e comporta prezzi da pagare per tutti. Anche per il Pd, o almeno la sua componente più legata alle pratiche ora sotto mira.
Il Renzi che tuona contro i “corrotti da trattare come l’alto tradimento”. che chiede “il Daspo per i politici” (per gli imprenditori no, quelli va bene che paghino le mazzette?) è solo la faccia “distraente” dallo scontro in atto, ridotto a semplice “questione morale” (l’equivalente – all’interno del potere – del conflitto sociale ridotto a problema di “ordine pubblico”).
C’è però un problema di strumenti operativi, di distribuzione di poteri effettivi (incidenti “sulle cause” del malaffare, più che sugli “effetti”). Strillare a “pene esemplari” è un modo di far rumore per nulla.
Il “programma” è spiegato oggi con la massima chiarezza non da un politico di mezza tacca appena ammesso al “cerchio magico” del presidente del consiglio, ma da un tecnocrate “progressista” di gradissima competenza ed esperienza come Angelo De Mattia. “Comunista non moderato”, autore per oltre dieci anni di articoli di fondo su il manifesto, funzionario e poi dirigente in Banca d’Italia, per qualche tempo “responsabile credito” del Pci, poi di nuovo in Bankitalia come “uomo ombra” del governatore Fazio.
Oggi su Milano Finanza spiega come si dovrebbe combattere la corruzione sistemica dentro il sistema degli appalti pubblici e delle grandi opere. Da manuale. Riassumiamo soltanto i punti in scaletta, lasciandovi poi il compito di sapere come si (potrebbe) far pulizia senza indulgere alle frasi fatte dei “grillini” o de “Il Fatto”. Tecnicamente. Se ci fosse volontà politica.
a) voluntary disclosure per il rientro dei capitali e anche per quelli in nero detenuti in italia. serviranno per la patrimonializzazione delle imprese.
b) colpire a fondo corruzione, evasione, contenzioso lavori pubblici e autoriciclaggio.
L’articolo di
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