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Verso il 28 giugno. Intervista al Collettivo Militant (Noi saremo tutto)

Il 28 giugno a Roma si terrà la manifestazione nazionale di apertura del controsemestre popolare che movimenti sociali, sindacati e politici intendono opporre al semestre di presidenza dell’Unione Europea, per il lavoro, il reddito, il welfare e contro la guerra alle porte dell’Europa. Con quale spirito e con quali obiettivi state promuovendo questa mobilitazione? 

Con la piena consapevolezza di come la sinistra di classe oggi non possa fare a meno di affrontare la “questione europea”. L’Unione Europea nasce in aperto conflitto con le organizzazioni e i movimenti comunisti e si pone ai giorni nostri come un polo imperialista autonomo rispetto agli Stati Uniti. Fino a poco tempo fa c’era chi affermava, anche a sinistra, che servisse “più Europa” e che il problema dell’UE fosse il presunto deficit di democraticità. Apriamo gli occhi! L’Unione Europea agisce sulla base di una strategia neoliberista e antiproletaria che ha l’obiettivo di ottimizzare l’appropriazione di valore. Quest’ultima, a fronte di una crisi economica sistemica e non episodica, agisce ormai a livello internazionale, superando i confini dello Stato-nazione e fagocitando il cosiddetto “capitalismo dal volto umano”, su cui tante speranze avevano riposto le varie opzioni socialdemocratiche. Diamo una risposta popolare, di classe, europea! 

Quella del 28 giugno sarà una manifestazione che, nonostante le differenze su alcune questioni tra le varie forze che la promuovono, denuncia esplicitamente le politiche imposte al nostro paese dalle istituzioni europee attraverso una struttura antidemocratica e trattati calati dall’alto. Che bilancio fare rispetto alla relazione tra Italia e Unione Europea? 

C’è un grosso equivoco da chiarire: riguarda l’assunto per cui la crisi economica metterebbe a rischio il processo di costruzione europea, tanto che le politiche di austerità servirebbero a esorcizzare un potenziale passo indietro. È vero esattamente il contrario: la crisi economica incentiva il processo di costruzione europea, tanto che persino la moneta unica può essere indebolita, pur di tenere dentro l’Eurozona i cosiddetti “Piigs” (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). Le cifre parlano da sé: nel luglio 2008 il cambio dell’euro con il dollaro era fissato a 1,60 mentre adesso è a 1,37 e per un lungo periodo è stato a 1,20. Altro che fallimento dei Paesi “deboli”! Provocherebbe una reazione a domino nel sistema bancario europeo, pieno di titoli “tossici”. Le borghesie imperialiste europee hanno bisogno di tutti i Paesi dell’Eurozona, dopo averli spolpati con l’imposizione di politiche “lacrime e sangue”. Ma a noi serve l’euro? 

In Italia sono da tempo presenti decine di lotte e conflitti di vario tipo e natura, che però rimangono spesso sul terreno della singola vertenza e faticano ad individuare un terreno di scontro contro i vincoli che la dimensione sovranazionale – l’Unione Europea – pone al pieno esercizio dei diritti democratici e sociali in questo paese. Che ne pensate? Insomma, si può continuare a denunciare gli effetti dell’austerità senza indicare il meccanismo che genera e impone tali politiche? 

Serve organizzazione. È sempre stata l’unica arma del proletariato e continua a esserlo. Serve la consapevolezza che nessuna sigla politica, nessun collettivo, nessun gruppo di lavoratori impegnati in una lotta autorganizzata è oggi bastante a se stesso. Mettere da parte le proprie particolarità e lavorare insieme intorno a parole d’ordine condivise è un approccio probabilmente nuovo, ma necessario, non facoltativo. Per disarticolare il processo d’impoverimento che la borghesia impone ai subalterni e la lotta di classe che il padrone conduce contro i lavoratori serve far leva sulle contraddizioni insite nell’Unione Europea. Ma non basta! È necessario unire le nostre forze per aumentare le potenzialità di conflitto e rompere la gabbia. 

L’Unione Europea si è dimostrata un nemico non solo per i lavoratori, i giovani e i cittadini europei – in particolare per quelli che subiscono le imposizioni della troika – ma anche per i popoli di aree geografiche più o meno lontane che sono state prese di mira dai meccanismi egemonici di Bruxelles, basti vedere ciò che sta accadendo in Ucraina. Che ne pensate? 

Come sempre, la competizione globale si gioca sulla guerra e sulle ingerenze militari, quando è di stampo inter-imperialista. L’Ucraina del 2014 si aggiunge a una lista di aggressioni che sta diventando piuttosto lunga (Georgia 2008, Libia 2011, Mali 2013 e Siria ancora 2013, solo per citare le principali, senza dimenticare quanto accade in Venezuela) e che vede gli imperialismi statunitense ed europeo ora alleati, ora (e sempre più spesso) concorrenti. Crisi diplomatica e crisi economica viaggiano ormai parallelamente e l’una rappresenta il volto dell’altra. La retorica sull’intervento “umanitario” e sulla necessità di abbattere il despota di turno viene ripetuta, in maniera sempre meno convinta e convincente, dai tempi del primo attacco all’Iraq e dello smembramento della Jugoslavia. All’epoca, però, l’Europa era poco più che un’appendice della Nato, mentre adesso ne diventa una concorrente in politica estera e nella definizione di una sua propria “tendenza alla guerra”. Non è un caso, ovviamente, che i Paesi “attenzionati” dall’imperialismo europeo siano quelli in cui le aziende del Vecchio Continente hanno delocalizzato la produzione o intendano farlo, all’insegna di una ridefinizione del sistema produttivo e dei rapporti tra le classi: un nuovo schiavismo che possa successivamente estendersi dai Sud del mondo ai lavoratori europei. 

Le recenti elezioni europee ed amministrative sembrano aver delineato due scenari: vittoria di un Pd spostato su pozioni ancora più moderate e aumento netto dell’astensionismo. In questo quadro secondo voi quali spazi esistono per accumulare forze a livello sociale e politico contro il governo, le sue politiche e i diktat provenienti dall’Unione Europea e dai suoi apparati coercitivi? 

Il Pd ha vinto le recenti tornate elettorali, soprattutto per assenza di avversari (il centro-destra si è liquefatto e la sinistra istituzionale è da tempo in crisi di credibilità), ma l’astensione è il primo partito del Paese, oltre che il bacino dal quale attingere le energie per rompere la gabbia del neoliberismo. Nel momento in cui l’anomalia grillina si sta velocemente normalizzando emerge la scarsità dell’offerta elettorale per tutti quei lavoratori soffocati dal nodo al collo imposto dalla troika e applicato dai vari scagnozzi locali, tra cui i recenti governi italiani. Ovviamente non è pensabile attendere con le mani in mano che esploda automaticamente la contraddizione sociale. Dare visibilità alle diverse lotte già in atto, manifestare la volontà di coordinarle fornendo mutuo aiuto ed esprimere solidarietà attiva nei confronti di chi viene colpito dalla repressione rappresenta il piano di azione minimale per l’estate e il prossimo autunno. Al suo interno la manifestazione del 28 giugno acquista una evidente centralità. 

In che modo state preparando la vostra partecipazione nazionale del 28 giugno a Roma anche tenendo conto del prevedibile clima di censura da parte dei mezzi di informazione?

Come rete “Noi Saremo Tutto” siamo ben consapevoli del fatto che il 28 giugno rappresenti la prima manifestazione contro l’Unione Europea e le sue politiche neoliberiste organizzata nel nostro Paese da diversi anni a questa parte. Non basta blaterare slogan “contro l’austerità” o “contro la crisi”, come se quest’ultima fosse una iattura decisa da qualche divinità malvagia: dobbiamo essere chiari nell’affermare chi sia colpevole dell’austerità, cioè il capitale europeo e la sua sponda politica, che nel nostro Paese è rappresentato dal Partito Democratico, per quanto sia scalcinato. L’annullamento del vertice contro la disoccupazione giovanile dell’11 luglio a Torino conferma la centralità assunta dalla manifestazione del 28 giugno come unico momento nazionale – prima dell’autunno – per manifestare la nostra contrarietà al governo renziano-europeista. Ovviamente la manifestazione del prossimo sabato rappresenta un punto di partenza, non un traguardo: ha infatti la pretesa di aggregare le forze per un’opposizione continuativa al semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea. In favore, al contrario, di un “semestre popolare”, che difenda la dignità del lavoro, di un salario giusto, di diritti inalienabili, di un welfare efficiente, di un territorio non offeso, di una pace non aggredita.

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