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Il “terrorista” al confino da trenta anni

“E’ Enrico Villimburgo. Enrico è stato un militante della colonna romana delle BR. Uno di quelli che si è sottratto alla mannaia delle condanne infinite. Uno di quelli la cui condanna non scade. Adesso Enrico è malato e ha bisogno del sostegno che il piccolo gruppo di compagni che si stanno prendendo cura di lui non sono più in grado di garantire per intero”

Un tema lontano nel tempo, che pur non essendo ancora la Storia di oggi rimane un graffio, un segno tanto indelebile quanto “barbaro” della nostra civiltà giuridica nazionale, è il vissuto dei nostri connazionali, allora poco più che ventenni, che furono costretti ad espatriare dall’Italia. A prescindere da come li vogliamo definire, emigranti, fuoriusciti o sovversivi per motivi politici, non possiamo non riconoscere che i militanti delle formazioni armate che negli anni di piombo riuscirono a rifuggirsi all’Estero hanno avuto illustri precedenti: da Dante a Mazzini, da Garibaldi a Gobetti.

E sono la valenza politica e la battaglia per la “libertà”, intrapresa da quelli che forse troppo semplicisticamente abbiamo bollato come terroristi, le caratteristiche principali che sono state alla base del riconoscimento da parte della Francia di una sorta di Diritto D’asilo, riconosciuto a tutti quei ragazzi che ricercati come terroristi in Italia riuscirono a rifugiarsi oltralpe.   

Era il lontano 1982, quando la Francia non riconobbe i principi giuridici della legislazione anti-terrorismo italiana e noi che sempre ci siamo vantati di essere la Nazione dove il Diritto è nato, in quell’occasione applicammo una legislazione speciale che proprio perché “speciale” di democratico aveva ben poco. Conosciuta come dottrina Mitterrand, essa è diventata famosa per il seguente assunto: «La Francia prenderà in considerazione la possibilità di estradare cittadini di un Paese democratico autori di crimini inaccettabili, ma si riserva di non farlo nel caso di Paesi il cui sistema giudiziario non corrisponda all’idea che Parigi ha delle libertà».

Oggi i tempi sono cambiati e anche le legislazioni sono cambiate con il cambiare dei governi. L’unico dato che non è cambiato è che sono passati oltre trent’anni da quei fatti di sangue che hanno mutato in un modo o nell’altro l’Italia. Quello che non è cambiato è che noi non applichiamo la pene di morte neanche per i delitti più sanguinari ed efferati, ma soprattutto non è cambiato ii nostro sistema delle pene, per cui il massimo della pena possibile, anche se lo chiamiamo ergastolo, è di trent’anni.

Detto questo è arrivato il tempo del perdono e per usare le parole di Barbara è arrivato il tempo di non sorvegliare più i treni della Storia che tornano d’ Oltralpe ed è per questo cha abbiamo deciso di riportare l’appello che Barbara Balzerani, la famosa scrittrice di Compagna Luna e Lascia che il mare entri, ha fatto per Enrico. Un appello che è diventato un affresco di un periodo che conosciamo solo per le parole dei vincitori ma che al suo interno ha i germi e i principi di una nuova Storia che ancora deve essere scritta compiutamente.

Pietro Giunta  

Treni Sorvegliati.

 “Molti militanti delle formazioni armate, più di un trentennio fa, hanno preso un treno e sono partiti. Alla fine del 1980, una massiccia ondata, la prima di quelle che avrebbero caratterizzato il decennio successivo, sbarcava in Francia, con l’urgenza di mettere il più di chilometri possibile di distanza con una Italia che si stava avvitando in una spirale di violenta repressione. Al primo respiro di sollievo in suolo di Francia, ne sono seguiti molti altri, a ogni libertà provvisoria concessa, a ogni avviso sfavorevole emesso dalle Chambres, a ogni decreto d’estradizione non firmato. Di fatto, tra un sospiro e l’altro, si è arrivati a credere che la promessa di François Mitterrand fosse una di quelle serie. Il gruppo degli italiani, difficile definirli comunità, si andava ingrossando ed inventava le più diverse forme di sopravvivenza, insomma investiva il proprio futuro su una dichiarazione ufficiosa. Intorno, si creava la solidarietà della terra d’accoglienza, che seguiva con estrema attenzione le vicissitudini del paese Italia e le sue derive autoritarie. A lustri di calma piatta si alternavano arresti adrenalinici, e gli italiani zampettavano verso i tribunali, valutando il passare del tempo dalle borse stile mercato rionale sotto gli occhi, le tempie ingrigite, uno spessore allarmante del giro vita. Nel 1998, lo spettro Europa cominciò a battere i suoi colpi dal tavolino di Shengen; partirono tre ordini di arresto e gli italiani si svegliano, o meglio vengono svegliati da un tam-tam ben allarmato. E la storia si ripete: prigioni, solidarietà, tribunali ed alla fine l’ulteriore respiro di sollievo, questa volta più udibile: con la messa in libertà dei tre arrestati, arrivarono decine di permessi di soggiorno, che avevano trovato sino ad allora la negativa più ferma, quanto incomprensibile della prefettura. Si poteva andare avanti, restando aggrappati a un puro istinto di sopravvivenza. Dall’altra parte della frontiera, si aggiustava il tiro, nel senso del tiro al piccione. Il concorso del giornalismo ha regalato un’apparenza di legittimità ad una montagna di luoghi comuni a proposito degli italiani in Francia (e di un numero più ristretto altrove), trasformando una storia collettiva in un romanzo d’appendice. L’esilio dorato, per citarne uno, quando lo si incontra scritto e sempre maiuscolo, riesce sempre a stupire: dorato? Basterebbe pensare a Dante, che pur non essendo obbligato a scavalcare le Alpi, trovava alquanto salato “lo pane altrui”. In verità gli italiani diventano oggetto di interesse solo nell’emergenza. O meglio così è stato sino all’estradizione di Paolo Persichetti, quando alla spontanea solidarietà dei suoi colleghi universitari si sono aggiunte le iniziative più diverse.

Ma la reazione più diffusa è stata di stupore e incredulità: dopo vent’anni ritornava il problema degli italiani rifugiati, peggio di guerre stellari! Poi in ordine di tempo è toccato a Cesare Battisti, poi a Marina Petrella. E non dimentichiamo la vergognosa estradizione di Rita Algranati dall’Algeria. La possibilità che in Francia era stata offerta, vivere liberi e preservare la propria memoria, al riparo per quanto possibile da pressioni e ricatti, è stata di nuovo messa in discussione. Oltre frontiera, opinionisti e politici puntarono di nuovo l’indice accusatorio verso la Francia e spesso più si collocano a sinistra e più sono incarogniti. Alla faccia della laicità della critica, qui siamo al peggio del dogmatismo religioso; di fronte a tanta pervicace ostinazione, una sola spiegazione è possibile: non vogliono capire, vogliono punire, schiacciare, umiliare. Eppure continua a restare incomprensibile cosa ci sia di gratificante nell’aver salvato l’Italia dal pericolo “terrorista” per consegnarla a Berlusconi, Fini, Bossi…

Intanto per gli scampati si vive solo il presente, che sia presente del passato, presente del presente, presente del futuro; ma in questa vicenda degli italiani esiliati, è come se tutto restasse sospeso in un tempo senza distinguo fra passato e presente e futuro. Per ritornare all’inizio, i treni che hanno portato in salvo in terra di Francia gli sbaragliati delle lotte armate italiane, sono ancora fermi al binario con il loro carico di salvi a metà, liberi a metà; da questi treni vorrebbero finalmente scendere. “  

da Il carrettino delle idee

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