La distanza tra promesse e azioni, per un politico italiano, è sempre stata siderale. Il record assoluto lo aveva stabilito Berlusconi, com’è noto, a partire da quel mirabolante “meno tasse per tutti” che era stato il sigillo posto sul suo Ventennio.
Renzi sta avvicinandosi a tappe forzate a quei livelli. Mentre fustiga i lavoratori pubblici, pone le base per lo sradicamento dei sindacati, santifica la precarietà del lavoro e la distruzione di tutti i servizi pubbli essenziali, si ricorda ad ogni passo di premiare quanti lo hanno messo dove sta: le banche, i mercati finanziari.
Non ci credete? Bene. Saprete però che uno dei pochi – faticosissimi – successi dei consumatori nei confronti degli istituti di credito era stata la riduzione (abolizione sembrava eccessivo) dell’anatocismo. Una parola contorta per indicare una pratica truffaldina che così viene descritta sui testi:
la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Nella prassi bancaria, tali interessi vengono definiti “composti”. Un esempio di anatocismo è quello di capitalizzare (ossia sommare al capitale di debito residuo) gli interessi ad ogni scadenza di pagamento, anche se sono regolarmente pagati.
Volgarmente, paghi sempre di più dell’interesse fissato al momento del prestito, secondo una dinamica esponenziale tipica dell’usura.
Le associazioni di consumatori sono andate avanti per una ventina d’anni a forza di reclami e ricorsi. Infine una sentenza della Cassazione – confermata da un’altra della Corte Costituzionale – l’aveva sanzionata come una truffa.
Così sembrava, nel 2010, che tutta la questione fosse stata risolta. È vero, l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti aveva infilato in un “decreto milleproroghe” il solito codicillo incomprensibile ai profani che bloccava per un anno i rimborsi richiesti dai clienti. Una sanatoria di fatto, un rinvio, che ancora una volta la Corte Costituzionale provvedeva a cancellare (ma solo nel 2012, per i tempi tecnici di una sentenza, lasciando così intoccato il “rinvio” e l’indebito vantaggio per le banche; sia pure per un solo anno).
Tutto finito? Ma quando mai… IL governo Renzi, mentre i media mainstream indirizzavano l’attenzione generale verso i suoi “successi in Europa” (chi li ha visti? Chiamate la Sciarelli…) ha reintrodotto l’anatocismo nel decreto del 25 giugno (91/14). Siccome reintrodurlo non sarebbe sembrato logico, in una fase di salari in picchiata e persino di profitti deboli per le piccole inprese, è sembrato necessario applicargli una una robusta “cura linguistica”, rivestendolo di parole “positive”. Cosa hanno fatto? Lo hanno chiamato “Disposizioni urgenti per il rilancio e lo sviluppo delle imprese”. Non quelle che producono qualcosa, naturalmente (le quali anzi verranno danneggiate dal provvedimento), ma le banche (che sempre “imprese” sono, ma di tutt’altro genere).
Ma possibile che Renzi si rovini la reputazione di “innovatore” per una cazzata come questa? Basta cambiare un paio di meccanismi e il tutto può essere spacciato per “nuovo”. E infatti, se prima il calcolo degli interessi sugli interessi avveniva a scadenza trimestrale, ora potrà avvenire soltanto su base annuale. In effetti, per le banche sarebbe stato meglio addirittura su base mensile. Ma non si può pretendere troppo da un giovane alle prime armi…
Le associazioni hanno ovviamente reagito con un nuovo ricorso, che Cassazione e Consulta non potranno che accettare, viste le sentenze precedenti. Ma intanto il tempo passa e le banche incassano…
Questo e non altro è Renzi. Tutto chiacchiere e distintivo.
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