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“Tutti contro Renzi”, sconfitta senza appello

Il secondo turno delle elezioni amministrative si è concluso nel peggiore dei modi per un Partito Democratico già apparso in profonda crisi al primo turno. Una vera e propria batosta, quella subita da Renzi e company, che nessuna capriola semantica, nessuna giustificazione politicista possono nascondere.

Persa Napoli direttamente al primo turno, il Pd e i suoi poco consistenti alleati sono stati pesantemente sconfitti in due delle principali città del paese, Roma e Torino. In entrambi i casi al secondo turno i candidati renziani riescono a mobilitare quasi esclusivamente gli elettori della prima tornata, mentre le due sfidanti del Movimento 5 Stelle riescono a catalizzare ampi consensi trasversali. Nella capitale le periferie determinano un risultato schiacciante a favore di Virginia Raggi, voto che si riproduce anche nei Municipi. A Torino il candidato d’ordine, Fassino, partito con un certo vantaggio, subisce l’onta del sorpasso in una roccaforte storica del Partito Democratico e nonostante un massiccio sostegno mediatico e imprenditoriale.
Il centrosinistra perde anche Trieste, conquistato dal centrodestra (che nel resto del paese esce dal voto con le ossa rotte), e molte altre città di dimensioni medio-piccole dove sono spesso i candidati del M5S ad imporsi.

Il risultato del voto va letto in molti casi più come una sconfitta dei candidati del Partito Democratico che come una vittoria di quelli grillini. A dimostrazione che la tracotanza dimostrata da Matteo Renzi non solo non ha pagato, ma viene punita in maniera eclatante da quella parte di elettorato che decide di recarsi alle urne (non dimentichiamo che la tendenza all’aumento dell’astensionismo viene ampiamente confermata). Renzi è riuscito a farsi nemici ovunque, all’interno e all’esterno, nonostante il tentativo in parte riuscito di sfasciare il centrodestra per cooptarne alcuni spezzoni biecamente clientelari con cui puntellare il suo progetto neoautoritario. Ed inoltre la trasversale mobilitazione delle città contro i candidati renziani dimostra che la rabbia, il risentimento popolare nei confronti del Pd e delle sue politiche – nonostante le misure ‘populiste’ come gli ormai famigerati 80 euro – in particolare in campo sociale ed economico a cominciare dal Jobs Act, dopo aver macerato sottotraccia ha trovato uno sfogo di massa trasformandosi in un ‘tutti contro il Pd’ che si è espresso nel primo e soprattutto nel secondo turno delle elezioni locali.

Una tendenza, una parola d’ordine – punire il Pd e Renzi – che si esprime in maniera plastica quasi ovunque, ma soprattutto nelle principali aree metropolitane del paese, in particolare a Napoli, Roma e Torino. E’ nelle aree metropolitane del centro-sud – e nel capoluogo piemontese, per certi versi “meridionalizzato” da politiche di deindustrializzazione e destrutturazione del tessuto economico che hanno creato un forte aumento della povertà e della diseguaglianza – che le imposizioni di un Renzi imbeccato dall’Unione Europea e dal sistema bancario hanno creato i maggiori sconquassi. Il che ha generato un’ondata di disagio che si è trasformato in risentimento e in mobilitazione di tipo politico contro il Partito Democratico e il suo blocco di potere.

Il ‘tutti contro il Pd’ ha funzionato anche a Bologna, dove Merola si afferma solo con il 55% dei voti. In questo caso il risentimento sociale è stato catalizzato dalla candidata leghista Borgonzoni in una misura che non sta ad indicare tanto l’aumento dei consensi del partito di Salvini quanto che  fette consistenti di un elettorato stanco di Renzi sono disponibili a convergere su chiunque si opponga al Pd.

L’unica eccezione consistente ad una tendenza rivelatasi in modo abbastanza omogeneo su tutto il territorio nazionale è Milano, dove il candidato del centrosinistra si afferma, ma solo di misura, contro quello del centrodestra, a dimostrazione che il capoluogo lombardo conserva una geografia politica e una qualche capacità di resistenza da parte dei blocchi tradizionali che quasi ovunque il voto di ieri ha spazzato via.

La netta e inequivocabile sconfitta del Pd e di Renzi in quanto leader supremo e incontrastato del partito rappresentano la peggiore premessa per un blocco dominante che va alla battaglia per il referendum contro costituzionale in una posizione di estrema debolezza. E’ evidente che il meccanismo del ‘tutti contro Renzi’ andato in scena ieri potrebbe addirittura diventare più efficace e generale in occasione del voto di ottobre.

Non è affatto detto che ulteriori elargizioni populiste del governo ad alcune categorie sociali e le capriole propagandistiche del saltimbanco Renzi riescano a bloccare la mobilitazione dell’elettorato contro il Pd e contro le sue priorità sul fronte istituzionale-politico.

Lo smottamento elettorale di ieri dimostra anche l’inconsistenza di un sistema politico che gli apparati dominanti interni e l’establishment continentale hanno messo a punto dopo il fallimento di quelli precedentemente approntati dopo la fine dell’egemonia berlusconiana.

Riemerge con forza l’inconsistenza di una borghesia che in Italia non riesce ad esprimere egemonia e controllo stabile sulle classi subalterne le quali manifestano una loro autonomia elettorale. E’ successo con Berlusconi negli anni ’90 e sta accadendo oggi con il movimento 5 Stelle e con De Magistris a Napoli. La precarietà di questa egemonia produce un sistema di potere che come il dio Cronos “mangia i propri figli”; se dal 2006 vengono liquidati i diversi governi la stessa fine sembra ora prevedibile anche per l’enfant prodige Renzi e la sua allegra brigata. 

Dopo le veloci parabole di Monti e poi di Letta, nonostante la (auto)distruzione della sinistra radicale e la cooptazione di pezzi consistenti del centrodestra nel blocco politico renziano, anche il progetto costruito su misura per l’ex sindaco di Firenze non regge al confronto con le contraddizioni sociali e politiche generate dal processo di centralizzazione e gerarchizzazione europea. Da ora in poi Renzi dovrà guardarsi più dagli ‘amici’ e dagli sponsor che dai nemici.

Si apre quindi una fase di instabilità, di messa in discussione dello status quo nel quale i comunisti devono intervenire con il massimo della determinazione e dell’efficacia, nel tentativo di allargare le contraddizioni e di trasformare il risentimento sociale, che per ora si esprime nelle aree metropolitane del paese quasi esclusivamente dal punto di vista politico, in organizzazione e mobilitazione popolare, in conflitto organizzato. Magari tentando di unificare queste aree metropolitane sull’obiettivo del non pagamento del debito e contro le privatizzazioni e su piattaforme unitarie, affermando un progetto alternativo non solo al Pd ma alle classi dominanti intese nel loro complesso.

Il lavorio in atto nelle aree metropolitane di Napoli e Roma (comitati di scopo, assemblee territoriali, lotte e vertenze di natura sociale e sul lavoro,, mobilitazioni del sindacalismo conflittuale) é un buon viatico entro il quale far lievitare una ipotesi di ripresa generalizzata del conflitto e di una nuova e più avanzata ipotesi di rappresentanza politica e sociale degli interessi popolari.

 

Rete dei Comunisti, 20 giugno 2016

da www.retedeicomunisti.org

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1 Commento


  • Francisco

    Si ha la vaga impressione che giriate poco per le periferie… alimentando o sperando nel disagio sociale per accrescere le contraddizioni ha già prodotto la trasformazione in negativo, becero, razzista, xenofobo e fascista di fin troppe realtà popolari del paese una volta con un barlume di coscienza di classe.
    Constato negli ultimi anni un veleno progressivamente letale nel linguaggio e nei gesti di larghe frange dei cosiddetti “ceti popolari delle periferie”… si sta consolidando una fusione tra fascisti e grillini che ci darà molto più filo da torcere.
    Se si è fuori non si combina nulla, c’era l’ennesima possibilità di “interferire” e invece s’è scelta la via del “vediamo se gli altri lo sanno fare per noi visto che si dicono di sinistra”… roba da chiodi!
    Napoli è lì a dimostrare che si può, ma come al solito s’è cincischiato sul tutto e subito, anacronistico e controproducente, s’è messo De Magistris sul piano di Podemos e Syriza, ma non sul come erano all’inizio ma come dopo, lasciati soli nella palude, senza capire che si poteva ripartire da lì con una adeguata partecipazione, stare dentro per proteggere dal nemico l’avanzata a sinistra e soprattutto non farlo entrare questo nemico.
    Adesso becchiamoci questa speranzosa “deriva” che ci libererà da Renzi, questi da movimento sono diventati partito, giustamente, e dovremmo mirare a questo visto che altri movimenti più vicini a noi non aspettano altro.
    Aprite bene occhi e orecchi, siamo al “non faremo prigionieri” di Previti (cosa importa se la Raggi navigava in quelle stanze?)… se ben ricordo chi ne ha fatto le spese più consistenti siamo stati proprio noi.

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