Quando i “grandi giornalisti” ci danno ragione, per prima cosa, ci chiediamo “dove abbiamo sbagliato”? Ma qualche volta capita che scoprano in ritardo cose avevamo individuato qualche anno prima.
Accade con il sempre divertente pezzo del vice-direttore de La Stampa di Torino, Massimo Gramellini, che stamattina è arrivato a conclusioni decisamente uguali a quelle proposte da questo giornale – decisamente meno “importante” – nel tirar le somme dei programmi di governo da qualche anno a questa parte.
Gli argomenti sono noti: l’Italia ha un debito pubblico alto, spende troppo rispetto alla richezza creata (e, con la perdurante recessione, la richezza prodotta – ovvero il Pil – cala di continuo), ha un welfare che “non ci possiamo più permettere”. Quindi? Se si morisse un po’ prima – magari il giorno stesso dell’andata in pensione – i conti pubblici andrebbero molto meglio…
Ma come raggiungere questo ambizioso traguardo? Semplicissimo: basta pagare pensioni da fame (la povertà “incentiva” la dipartita precoce), ridurre la spesa sanitaria, aumentare i ticket (già ora il 50% degli anziani rinuncia a comprare i medicinali prescritti dal medico), “flessibilizzare” il lavoro (lo stress e le paure per il futuro, spiegano i medici, riducono le aspettative di vita), ecc.
Non era difficile accorgersene. Bastava tenere acceso il cervello.
Se ora un vicedirettore di un giornale mainstream, sebbene col pallino della battuta salace, arriva ad ammettere che – sì – il programma economico della Troika e quindi anche di Renzi è proprio questo, beh, a noi suona come una “conferma autorevole”.
Qui di seguito alcuni articoli pubblicati da questo giornale in epoca precedente, fino al “capostipite” del “dovete morire”, nell’ormai lontano 2007.
https://contropiano.org/economia/item/23352-il-fmi-dovete-morire-prima-anche-di-fame-se-necessario?
https://contropiano.org/politica/item/22451-dovete-morire-prima-ma-lo-saprete-dopo
https://contropiano.org/politica/item/23356-alcuni-farmaci-salvavita-diventano-a-pagamento
https://contropiano.org/news-politica/item/2107-in-pensione?-possibilmente-mai
Dovete morire (un po’) prima
Francesco Piccioni
Su un solo punto Tommaso Padoa Schioppa ha sicuramente ragione: viviamo tutti un po’ di più. La sua conclusione è un po’ meno scientifica (ossia: meno veritiera), anche perché si traduce in una ricetta con due soli ingredienti: «è necessario prolungare l’età lavorativa» e anche «accettare maggiore flessibilità sul lavoro».
Ma perché campiamo più a lungo? Un merito indubbio ed enorme ce l’ha la sanità pubblica. E’ vero, ci sono un sacco di casi di «malasanità», infingardi e profittatori, persino qualche «fannullone» ormai nel mirino di Pietro Ichino. Ma – statisticamente parlando – un ospedale pubblico ne salva infinitamente più di quanti non ne ammazzerebbe la sanità privata (dove o hai i soldi, oppure accomodati fuori).
Un altro merito enorme va agli obsoleti «diritti dei lavoratori»: contrattazione nazionale collettiva (che difende in genere i più deboli), otto ore, contratto a tempo indeterminato, ferie e malattie (e maternità) pagate, misure (quasi sempre disattese) per la sicurezza sul lavoro. Un lavoro «inflessibile» che corrisponde solo in piccola parte a quanto ci consiglia ogni medico che consultiamo («conduci una vita regolare, mangia e dormi ad orari stabili, riduci stress e preoccupazioni, aumenta il tuo tempo libero»).
Un peso incalcolabile ce l’ha la scuola pubblica e (quasi) gratuita, che ha permesso a un paese di contadini e plebaglia urbana di alfabetizzare i propri figli, lanciandoli verso mestieri meno usuranti.
E non possiamo dimenticare la sbertucciata amministrazione pubblica – dal più audace dei pompieri al più metodico degli assenteisti – che ha reso «lo Stato» qualcosa di più vicino, e «sociale», per tutti.
E poi la pace, con una Costituzione che ci vieta di andare in massa a morire in guerra; qualche morto lo registriamo comunque, ma «fuori casa»; e poi, statisticamente, non ce ne accorgiamo quasi.
Le pensioni, infine, e il tfr che non avremo (quasi) più. Hanno permesso ai vecchi di sopravvivere un po’ più dignitosamente, e addirittura di comprare una casa ai figli con «la liquidazione», contribuendo così alla crescita economica (speculazione edilizia compresa). Quando eravamo tutti keynesiani le pensioni erano considerate un «investimento sulla produttività futura», ossia un «moltiplicatore» della crescita. Ora che siamo tutti liberisti sono soltanto un costo. Da abbattere, of course.
Campiamo di più, e tutto quello che ci ha allungato la vita viene ora riguardato come una voce di spesa «improduttiva». Chi ci propone un programma di governo che taglia le pensioni, la sanità, la spesa pubblica (e aumenta gli interventi armati all’estero) è come se ci stesse perciò dicendo: «dovete morire prima».
da il Manifesto del 6.2.07 p. 9
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Se non ve ne foste accorti in Italia l’età media per il passaggio a miglior vita è tra le più elevate del mondo e, cosa ancor più rilevante, in continua crescita.
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