Come ogni anno, in tutta Italia le università, poli del sapere e culla della futura “elite culturale e dirigente” del nostro Paese, mettono in mostra quanto di più vero della propria essenza: l’essere diventate, ormai, il parcheggio di enormi masse di giovani che, spinti dall’aspirazione ad una vita dignitosa, una carriera soddisfacente, o semplicemente dal loro desiderio di conoscenza, investono il loro tempo e denaro nella loro formazione.
Giovani che, all’oggi, non rappresentano altro che un vastissimo esercito di precari nel migliore dei casi, o di disoccupati nel peggiore delle possibilità.
Giovani che, all’oggi, non rappresentano altro che un vastissimo esercito di precari nel migliore dei casi, o di disoccupati nel peggiore delle possibilità.
Si tratta del Recruiting Day, uno dei tanti eventi in cui l’Università apre le sue vetrine e lascia entrare le aziende, per selezionare quello tra i suoi giovani studenti che potrebbe essere il piu adatto ad accettare un lavoro mal pagato, precario, o addirittura volontario.
Una giornata in cui laureandi e neo-laureati possono sfoggiare la propria merce (il proprio curriculum, per lo più vuoto di esperienze lavorative che non siano tirocini formativi) e “aprirsi alle opportunità del mondo del lavoro” di fronte a quelle stesse aziende che hanno contribuito alla creazione dell’attuale modello di sfruttamento del lavoro e di aziendalizzazione dell’istruzione.
Una giornata in cui laureandi e neo-laureati possono sfoggiare la propria merce (il proprio curriculum, per lo più vuoto di esperienze lavorative che non siano tirocini formativi) e “aprirsi alle opportunità del mondo del lavoro” di fronte a quelle stesse aziende che hanno contribuito alla creazione dell’attuale modello di sfruttamento del lavoro e di aziendalizzazione dell’istruzione.
Quello che viene proposto oggi come modello è il Jobs Act, frutto della concertazione tra i grandi poteri economici dell’Unione Europea che hanno poi delegato al governo Renzi la sua formulazione.
È il modello EXPO, dove migliaia di giovani lavoreranno in modo volontario – cioè senza essere pagati – a quello che dovrebbe essere l’evento per il rilancio dell’economia dell’Italia. È il modello FICO, quello che permetterà a centinaia di persone di lavorare qualche mese con un salario misero in quello che dovrebbe diventare il più grande polo dell’agroalimentare del Paese.
È il modello EXPO, dove migliaia di giovani lavoreranno in modo volontario – cioè senza essere pagati – a quello che dovrebbe essere l’evento per il rilancio dell’economia dell’Italia. È il modello FICO, quello che permetterà a centinaia di persone di lavorare qualche mese con un salario misero in quello che dovrebbe diventare il più grande polo dell’agroalimentare del Paese.
A Bologna ieri si è svolta una contestazione rispetto a tutto ciò. “Lavoro precario, lavoro gratuito, assenza di futuro”, hanno scritto “Noi Restiamo” e “Hobo” in un comunicato comune. #iononlavorogratis è invece la campagna lanciata in questi giorni a Bologna contro l’istituzionalizzazione di questo sistema di sfruttamento.
Come ormai di norma di fronte ad ogni forma di dissenso, ad attendere i manifestanti giunti davanti alla sede della kermesse c’erano ben 6 camionette di agenti in assetto antisommossa. Polizia e carabinieri hanno bloccato tutte le vie d’accesso all’evento, impedendo anche l’ingresso a chi voleva consegnare il proprio curriculum, nella vaga speranza di raccogliere qualche briciola di futuro.
Disilludere qualche futuro disoccupato è un danno collaterale accettabile, quando c’è da reprimere il ptenziale dissenso di un’intera generazione.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa