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L’Expo dà alla testa. Di Renzi…

Un politico mentitore seriale prima o poi arriva al dunque. Quando la frequenza delle sue menzogne supera una determinata soglia, il divario tra quel che dice e la realtà empirica percepita da tutti diventa solare, palpabile, senso generale.

È lì che il mentitore seriale deborda in fascismo, ansioso di colmare con una overdose di autorità il vuoto di autorevolezza che collassa nelle sue parole.

Il discorso di Renzi a Milano, nell’Hangar Bicocca, in un incontro in preparazione dell’Expo, ha avvicinato pericolosamente ma chiaramente questo momento. Lo scarto si è potuto registrare su due livelli apparentemente lontani ma coincidenti: situazione internazionale e conflitto sindacale.

Andiamo con ordine. Mentre si cantano le grandiose sorti di un’esposizione universale che dovrebbe contribuire – con il sostanzioso aiuto del quantitative easing della Bce – a stimolare un singulto di crescita (lo 0,6%, nelle previsioni), è assolutamente normale che si esageri in ottimismo. Non è dunque strano che Renzi si sia sbracciato nell’assicurare che per l’Italia il 2015 “è un anno felix, che non vuol dire semplicemente felice, ma fertile”; un anno in cui “ci sono tutte le condizioni per tornare a correre”. “Dall’Europa – ha detto – qualcosa si muove: la comunicazione sulla flessibilità, il piano degli investimenti, le misure della Bce”. Anche per questo “sforzo pressante il rapporto fra euro e dollaro è tornato nei canoni della normalità che aiuta le nostre imprese. Se a questo si somma la crisi del petrolio le condizione economiche internazionali ci lasciano un anno di opportunità”.

Naturalmente, visto che parlava davanti a una platea di 500 esperti, industriali, nove ministri (Poletti, Galletti, Guidi, Martina, Orlando, Franceschini, Boschi, Giannini e Lupi), i rappresentanti degli oltre 140 Paesi partecipanti all’esposizione universale, era altrettanto logico che lodasse in primo luogo se stesso: i provvedimenti del governo, come aver tolto il costo del lavoro dall’Irap, “non lasciano più alibi a nessuno”. Insomma: industriali, vi ho spianato la strada, abbassato le tasse, precarizzato completamente il lavoro, eliminato l’art. 18 e quindi riaperto la ghigliottina sul conflitto sindacale, ora datevi da fare…

Nelle stesse ore, i leader europei davvero importanti – Merkel e Hollande – tornavano da Mosca pronunciando parole di tutt’altro tenore: “Era l’ultimo tentativo – ha riassunto Hollande – se non riusciamo a trovare un accordo sappiamo che c’è un solo scenario all’orizzonte… E si chiama guerra”. Scettica anche la cancelliera tedesca Angela Merkel: “Dopo i colloqui di ieri posso dire che è incerto che questi abbiano avuto successo, ma ha certamente avuto valore il tentativo”.

L’Europa si trova dunque sull’orlo di una guerra, contro un avversario dotato di un buon potenziale bellico convenzionale, di un ottimo sistema missilistico (la “nostra Samantha” e tutti gli altri astronauti possono partecipare alle missioni ed essere riforniti solo grazie ai vettori russi, mentre l’americano sistema Atlas è rovinosamente fallito) e soprattutto di un efficiente armamento nucleare. Una situazione fuori controllo, originata dall’ansia statunitense di trasformare la crisi ucraina in un regolamento dei conti globale, che “sta uscendo fuori dal nostro controllo” (come ha ammesso il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier).

Siamo insomma sull’orlo di una guerra simmetrica, stavolta. Non contro un piccolo satrapo mediorientale, non contro “terroristi” in grado al massimo di entrare in una redazione o in un supermercato. Stiamo sull’orlo del baratro delle civiltà e il presidente del consiglio ne prescinde totalmente? Si gode la sua platea di committenti (è stato Sergio Marchionne a dire “ce l’abbiamo messo noi, lì”) e disegna sulla sabbia le meravigliose opportunità del fututo breve? Ma cosa ha nella testa?

Non molto, temiamo. L’attuale classe politica italiana è fatta di piccoli uomini e donne, con interessi e orizzonti tragicamente ristretti, impegnatissimi giorno e notte nella concorrenza reciproca per emergere o non affondare. Piccole teste abili quasi soltanto nel tessere trame con pochi complici (se diventano tanti “si perde il controllo”); consapevoli di esser lì conto terzi e per un tempo breve, piccoli Goebbels armati da un ristretto elenco di frasi mandate e memoria e ripetute sempre uguali, sia che si parli di eleggere il presidente della repubblica o di sistemare un amico alla guida di una partecipata.

Per loro le nubi di guerra sono un fenomeno fuori portata, cui penserà qualcun altro più dotato. Se necessario, diranno che bisogna fare ciò che l’Unione Europea e la Nato decideranno, senza eccepire nulla.

Quel che è alla loro portata è soltanto il conflitto sociale interno, le regole del mercato del lavoro, i tagli alla spesa pubblica, la distruzione del welfare e dell’architettura costituzionale. Qui, con buona pace dei vendoliani speranzosi, Renzi ha fatto capire meglio di che pasta sarà fatto il suo regime, prima di crollare.

“Dobbiamo recuperare non dico un po’ di amor proprio, ma di amore per la realtà dei fatti – ha buttato lì -. E il passo successivo è che ciascuno di noi si senta chiamato in campo”. Vecchia retorica del “siamo tutti nella stessa barca”, riadattata però in “fare squadra nazionale”. Una squadra dove gli imprenditori prendono e i lavoratori devono mettere, in totale silenzio. In questo senso, va letta l’annuncio che il governo “è pronto a tutto” perché il primo maggio, giorno dei lavoratori, alla Scala vada in scena come in programma la Turandot. Pronto anche a “misure normative”.

Pronto dunque a cambiare la legge, vietare lo sciopero, precettare i lavoratori, mandare la polizia. Il tutto con la regia giustificazione di “evitare una figuraccia internazionale”.

Deve essere per questa ansia di “belle figure internazionali” che ha messo alla guida una figura come Francesco Micheli

Si annuncia una bella primavera, in bilico tra il tragico e il ridicolo (la cifra tipica del fascismo italiano), tra la guerra globale e la casareccia guerra al lavoro. Potremmo scoprire che quando diceva “felix” intendeva il gatto…

 

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